mercoledì 29 giugno 2005

Quando...

La mamma l’ho perduta e poi l’ho ritrovata.
Il papà l’ho trovato e non l’ho più perduto.


Quando ero piccolo vivevo in simbiosi con la mamma, mi nutrivo del suo amore esclusivo che contraccambiavo totalmente.

Quando ero adolescente vivevo con profondo disagio il contatto con il mondo che si affollava intorno a me: l’altro sesso, i coetanei, la socialità, alieni di cui aver paura.

Quando ho trovato un ideale così grande da superare il cielo e così totalizzante da cancellare ogni altro interesse, mi illudevo di essere finalmente autonomo. Non mi rendevo conto che stavo sostituendo alla mamma una MAMMA; un simulacro che richiedeva e pretendeva la stessa devozione e lo steso attaccamento e alla quale ero disposto a sacrificare tutto. La voglia di emergere e di primeggiare, diventava regola quotidiana e ordine imperativo interno, in una assurda salita senza fine.

Quando poi il crollo è arrivato….mi sono arroccato in angolo del mio letto, una prigione!

Quando l'ora della consapevolezza è cominciata, le mie debolezze sono diventate la mia forza.
Quelle che credevo le mie forze sono diventate le mie debolezze.

Il papà è comparso nella mia vita, per assurdo, proprio quando fisicamente e intellettualmente, cominciava ad assentarsi e a morire. Era un papà così piccolo da poter essere contenuto, nel palmo della mia mano, in un sogno. Ma pur così piccolo, come un seme in un terreno adatto, è cresciuto. L’ho trovato e non l’ho più perduto.
La mamma finalmente, poteva ritornare, posso permettermi di pensare a lei con tenerezza e accoccolarmi come ogni figlio che ha bisogno di conforto e non teme il suo abbraccio.
Papà e mamma sono con me, sono parte di me.

L'obiettivo

L’obiettivo era proprio questo, crescere e separarsi da ciò che più si ama, senza vivere il distacco come un difetto d’amore, ma come il suo completo compimento.

Il paradosso

Vedere nello specchio come sarei dopo il cambiamento ma non riuscire a cambiare per la paura di non essere più in grado di vedere il "cambiamento".
Infatti, diventerei l’immagine riflessa nello specchio ma l’originale e reale figura che genera l'immagine nello specchio non ci sarebbe più. Sembrerebbe che cambiare vuol dire sparire.

ragnatela

Mi sono riempito la testa con una ragnatela che strappo a pezzi tanto è spessa e tanto è abbondante.
Sembra non finire mai.
Cerco uno specchio che finalmente trovo (in un bagno senza gabinetto).
Mi guardo,
ho i capelli, tanti capelli,
ma insieme alla ragnatela vengono via anche loro.

Progredire

Nella nostra vita c’è sempre un evento che è responsabile del fatto che abbiamo smesso di progredire. Un trauma, una sconfitta particolarmente amare, una delusione d’amore o persino una vittoria, in qualche modo inspiegabile.

Gli occhi

(sogno)
Sto guardano dietro di me. Il grigiore del buio mi penetra negli occhi e invade il mio essere.
E’ il buio delle mie angosce che come un demone che mi ipnotizza. Se rimango a fissarlo ancora un poco, mi distruggerà.

Con un grande sforzo, attingendo ad energie e volontà che non sapevo di possedere, riesco a girarmi nell’altra direzione, guardare davanti a me.

Sento il male che preme nella schiena, spinge e vorrebbe completare la sua opera, ma ora non può più raggiungere i miei occhi. E senza i miei occhi non ha più il potere di agire.

Lentamente la vista si libera dalla nebbia residua. Si vede un chiarore, una luce, in fondo a una strada da percorrere.
Avanzo ed esco.
Ma non c’è il giorno come mi aspettavo,
c’è una notte stellata.

DD

Dati Dati, cioè informazioni fornite.

Il criminale viene catturato. E’ stato intrappolato con l’inganno di un finto agguato alla sua donna, ma lui credeva di aver capito tutto e infatti sequestra l’agente, lo minaccia di morte e lo blocca, armato di una pistola fotonica rubata al suo nemico.
Ma il detective è sereno e gli dice: “Sei arrivato al termine”
“come puoi dire una cosa del genere, sei sotto la mia minaccia, puoi morire da un momento all’altro” risponde il criminale.
Ma non è così, la vera trappola è l’arma fotonica, è disinnescata, l’obiettivo era farla impugnare al criminale, perché in realtà è disarmato.
Viene catturato.
(sogno)

sindacalista e padrone

Il sindacalista e il padrone discutono fra di loro. Si studiano reciprocamente, valutano le mosse e calibrano le parole per non concedere vantaggi all’avversario. Io rimango estraneo li guardo senza intervenire, sono limpido

Piccoli alieni


Piccoli alieni vivono fra noi.
Vengono casualmente scoperti e distrutti.
Ma è vero o sono ancora nascosti, pronti a colpire?

martedì 28 giugno 2005

diamante


L'uomo ha in mano un grumo di fango, gli verrebbe la voglia di disfarsene, di gettarlo via, anche se rappresenta la sua vita. Ma poi scopre che lì in mezzo, lì dentro c’è qualcosa di compatto.
Toglie lo strato di sporco e scopre di avere in mano un diamante, sporco, sì, ma diamante.
E' una pietra dura che non si scalfisce che al massimo si può solo sporcare.


E’ un cristallo che è cresciuto, si è arricchito, c’è, anche se lo si ignora.
L'uomo si prende tutto il tempo necessario per visualizzarlo, per
fare intorno a lui lo spazio necessario a riconoscerlo, imprimesi la sua immagine nella mente e perchè no per ammirarlo.

Il posto migliore per nascondere...


Dopo un primo silenzio l'ometto (padre Brown) disse all'altro (il detective Flambeau):
"Un uomo saggio dove nasconderebbe un sasso?" E l'uomo alto rispose sottovoce:
"Sulla spiaggia".
L'ometto annu', e dopo un breve silenzio riprese:
"un uomo saggio dove nasconderebbe una foglia?"
E l'altro rispose: "Nella foresta".

"Ma cosa farebbe se non ci fossero foreste?" "Bè" esclamò Flambeu irritato "che cosa farebbe?" "pianterebbe una foresta per nasconderci la foglia", disse il prete in tono vago.
.....
Ho raccontato diverse volte questa storia a gruppi di uomini e donne intelligenti che volevano riflettere sulla propria vita...Dopo aver raccontato la storia, domando loro se l'hanno capita e tutti rispondono subito che ovviamente l'hanno capita; poi invito a farmi qualche esempio concreto nella loro esperienza, in cui possa apparire come si aggrappino ancora a qualche vecchia posizione contro ogni evidenza.
...Un improvviso silenzio riempie la stanza.

da La rana nel pozzo di Carlos G. Valles

Io ho delle pietre da nascondere nella spiaggia o delle foreste da creare intorno alla mia foglia?
Penso di sì, cambiare è sempre un'impresa da non sottovalutare.

lunedì 27 giugno 2005

L’abbandono degli abbandoni

Il Bambino entrò nella Favola. Non ci fu bisogno di alcuna magia, formula o concentrazione, semplicemente entrò.
Si potrebbe addirittura pensare che la cosa è semplicemente scontata se non fosse che al Bambino erano occorsi anni e anni per acquisire questa capacità.

Ora era di nuovo lì, dentro la Favola.

Il Re gli sorrise, vestito con i suoi abiti solenni con tanto di mantello e corona in testa.
Il suo sguardo era sicuro, forte ma non aggressivo, era un condottiero non un tiranno.

Il Re, dalle pareti della sfera opaca che aleggiava nell’aria proprio lì davanti a lui, lo osservava, gli sorrideva e con la sua mano lo invitava a guardare oltre. Dietro la sua figura si mise a fuoco la grande stanza del castello, le grandiose finestre che lasciavano filtrare la luce verde dei monti sullo sfondo, gli specchi che moltiplicavano la profondità delle pareti, i tappeti ricchi di colori e ornati di disegni fantasiosi, e proprio al centro della stanza, il Bambino vide la famiglia del Re: La regina, i Principi, le Principesse, allineati uno a fianco all’altro in ordine sparso, guardavano proprio lui e sapevano di essere a loro volta osservati.

“Vieni” indicava la mano del Re, ed era proprio quello che il Bambino aspettava di sentirsi dire, nient’altro aspettava da anni che far parte di quella famiglia, sapeva che fra loro sarebbe stato il suo posto.
“Vieni” significava un tuffo al cuore, l’emozione di riunirsi a chi si ama.

Il turbine lo sfiorò appena e lui cominciò a muoversi nella stessa direzione, prima lentamente come sui bordi di un corso d’acqua dove l’acqua sembra impigrirsi gigioneggiando tra i sassi e il muschio.
Ma una forza lenta e inesorabile cominciò a trascinarlo all’interno, come in un ottovolante che prende velocità come un delle trombe d’aria che qualche volta aveva visto correre sulla superficie del mare, come quelle animazioni che raffiguravano quegli strani oggetti spaziali chiamati buchi neri.
Senza più un orientamento, senza più equilibrio, senza il tempo di lasciar scorrere la paura, ora si ritrovava dentro una enorme caverna dominata da una diffusa luce rossastra.
Lui sospeso un po’ in alto poteva osservare la folla di disperati che sembravano affannarsi, sudare e imprecare mentre con lunghe pale versavano carbone e polvere nelle bocche rosse di gigantesche fornaci.

Che quella fosse la sala macchine del motore del mondo dove gli infelici non trovano pace, in fondo non gli interessava granché.
La visione durò solo pochi istanti poi il Bambino si ritrovò al punto di partenza, senza la sfera opaca, senza il Re, fuori dalla Favola.

Rimase un po’ a testa bassa, il suo viso era triste e accigliato e un forte senso di delusione lo minacciava; veramente era tornato al punto di partenza? Veramente si erano cancellate d’un colpo tutte le speranze e le certezze che stava costruendo?
Gli sembrava di essere abbandonato a se stesso.

Abbandonato? Quanti abbandoni aveva vissuto il Bambino?
Quanti anni può avere un bambino per accumulare un grande numero di abbandoni? Ma su, che domanda, nelle Favole il tempo è una fisarmonica, lo sanno anche i bambini: otto anni possono racchiudere una vita e una vita può dilatarsi quasi all’infinito dove esiste quel diaframma che separa il Qui e il Là.

Il Bambino si domandava cosa fosse andato storto. Lì vicino alla meta una anomalia nel vortice l’aveva portato lontano ed ora i ricordi dei suoi abbandoni gli passavano nella mente come una giostra che ripropone all’infinito la sua tiritera.

“Abbandonare gli abbandoni”, qualcosa lo spingeva a ripetere dentro di se questa intuizione, “abbandonare gli abbandoni”.
Era troppo presto per capire il significato, ma almeno adesso aveva riacquistato la consapevolezza di non essere al punto di partenza, che la Favola era ancora lì e con quella facilità che aveva ormai appreso da un po’ di tempo poteva in ogni momento decidere di rientrare.
Decise di farlo e il Bambino entrò ancora una volta nella Favola.

La rana nel pozzo



Un'intera colonia di rane viveva in un pozzo grande e profondo.
Le rane conducevano la propria vita, mantenevano le proprie usanze, cercavano il cibo e gracidavano a più non posso, riempendo di movimento e di suoni le ombrose profondità di quel pozzo ospitale.
Il loro isolamento dal mondo esterno lo proteggeva ed esse vivevano in pace, attente solo a evitare il secchio che di tanto in tanto qualcuno calava dall'alto per attingere acqua dal pozzo.
Non appena sentivano la corrucola cigolare lanciavano l'allarme si tuffavano sott'acqua o si aggrappavano all aparete, e aspettavano lì trattendendo il respirofinchè il secchio pieno d'acqua non veniva tirato su di nuovo e il pericolo passava.

Una giovane rana dopo essersi messa al riparo in una di queste occasini, cominciò a pensare che il secchio, anzichè un pericolo, poteva rappresentare un'opportunità. Lassù in cima riusciva a scorgere un'apertura luminosa come un grande lucernario, il cui aspetto mutava con il giorno e la notte e sulla quale passavano ombre e proficli, forme e colori che suggerivano che c'era qualcosa che valeva la pena di conoscere da quella parte del pozzo.
E soprattutto, c'era il bel visetto della ragazza dalle trecce d'oro che per un istante ogni giorno si chinava sul parapetto del pozzo per gettare il secchio e tirarlo su in quell'apparizine temuta e attesa.
Tutto ciò andava esplorato.

La giovane rana parlò e tutte le altre lo redarguirono aspramente.
Non è mai stato fatto.
Sarebbe la rovina della nostra razza.
Il cielo ci punirebbe.
Saresti persa per sempre.
Siamo state fatte per vivere qui e possiamo stare bene ed essere felici.
Fuori dal pozzo c'è solo desolazione e distruzione.
Non ti azzardare a disubbidire alle leggi dei nostri antenati.
Come può una giovane rana pretendere di saperne più di loro!

La giovane rana attese pazientemente che il secchio fosse calato di nuovo. Si acquattò nel posto giusto, saltò nel secchio nel momento in cui veniva sollevato e salì con esso tra la meraviglia e l'orrore della comunità degli anfibi.
Il consiglio degli anziani scomunicò la rana fuggitiva e proibì a tutti di parlarne. La dignità del pozzo andava salvaguardata.

I mesi passarono senza che nessuno la nominasse nè la dimenticasse, finchè un bel giorno dal parapetto del pozzo si udì gracidio familiare: tutte le rane, incuriosite, si radurarono la sotto e videro stagliarsi contro il cielo il noto profilo della rana intraprendente. Poi al suo fianco apparve un'altra rana e intorno a loro si radunarono sette ranocchietti.
Erano tutti lì a guardare senza azzardarsi a dire nulla, quando la rana parlò da lassù:
" Qui c'è un mondo meraviglioso che vi aspetta. C'è l'acqua che scorre, non come quella laggiù e c'è erba verde e tenera che spunta dal terreno ed è una gioia muovercisi in mezzo, e c'è una gran quantità di piccoli scarabei e insetti gustosi ovunque; ogni giorno si posso mangiare cose diverse.
E poi ci sono molte rane di moti tipi, molto colte e simpatiche, e io ho sposato una di loro e siamo felicissimi e abbiamo questi sette piccoli che vedete qui con noi. C'è spazio in abbondanza qui perchè i campi sono immensi al punto che non se ne scorge la fine."

In fondo al pozzo le autorità ufficiali minacciarono la rana che, se fosse tornata giù, sarebbe stata giustiziata per alto tradimento; ma lei disse che non aveva nessuna intenzione di tornare laggiù, fece gli auguri a tutte e se ne andò con la propria compagna e i sette ranocchietti.

Nelle profondità del pozzo si scatenò un gran tumulto e alcune rane di larghe vedute volevano discutere la proposta, ma le autorità le rimproverarono, proibirono di menzionare lo spiacevole incidente e la vita tornò alla normalità tra le ripide pareti di quell'oscuro pozzo.

La mattina dopo, quando la ragazza dalle trecce d'oro tirò su il secchio dal pozzo, rimase sbalordita nel veder che era pieno di rane.

da LA RANA NEL POZZO di Carlos G. Valles

“CUORE SACRO” : Dialogo fra psichiatra e protagonista


Trascrizione da "Cuore sacro" regia di Ozpetek

-Cominciamo allora, cominciamo col suo nome. Come si chiama?
-Sara, Annamaria, Caterina, Giovanna….
-Lei è tutte queste donne?
(fa cenno di si)
-Sono tutte dentro lei?
-Si, ma anche fuori.
-In che senso?
-Le conosco, conosco il loro dolore.
-E’ anche il suo?
-Si. Se lei vuole sapere solo il mio nome anagrafico lo so: mi chiamo Irene Ravelli.
-E sa dove si trova adesso Irene?
-In un ospedale
-Sa perché è stata qui?
-Sono stata male,
-Sa che cosa ha fatto?
- Ho dato quello che avevo agli altri.
-E perché?
-Non voglio avere più niente. Ho esagerato lo so.
-Esagerare è una parola che mi piace, anch’io esagero ogni tanto, l’importante è esserne consapevoli.
(silenzio) (si volta verso una pianta accanto alla finestra)
-Le piace quella pianta?
-(fa cenno di Si)
-Una amica la stava buttando via, non sa com’era ridotta. Da quando sta con me, la signorina si è ripresa.
-Che pianta è?
-Non lo so, non so come si chiama.
-Si è presa cura di lei?
-Si.
(silenzio)
-Cos’è che la fa sorridere?
-Niente, stavo pensando quanto deve essere felice di essere con lei.
-Forse mi riconosce anche.
-E magari ha imparato anche il suo nome.
-Questo non ha importanza.
(silenzio)
-Mi vuol dire qualcosa?
-Si. Volevo dirle…..
(sorriso)
-Stamattina ho visitato la paziente n.616: Irene Ravelli; la sua diagnosi di ingresso era di disturbo dissociativo di identità, compulsioni altruistiche incontenibili. Dopo un lungo colloquio con la paziente e avendola anche sottoposta ai test adeguati al caso, ho verificato in lei una notevole capacità di recupero cognitivo ed emotivo che le ha fatto raggiungere un ottimo equilibrio del sé. La paziente in perfetta sintonia con se stessa e in piena consapevolezza delle scelte che ha inteso fare, non presenta alcun pericolo né per sé ne per gli altri.
Per questo ritengo che non sia necessario il suo ricovero.



Dopo Piscina

Benny?
No, non ti girare.
Aiutami madre mia, aiutami, perdonami per aver dimenticato le tue parole,
mi do la colpa di non avere più memoria di te,
come se il mio corpo non fosse parte del tuo,
come se il mio respiro non soffiasse più dentro il tuo,
e fa che nel mio cuore batte parte del tuo…
per tutti quelli che soffrono e non hanno più le parole…
Madre mia ti prego fa che nel mio cuore batta di nuovo anche il tuo, ti prego fallo.

L'angelo dei sogni

Dietro i monti un leggero chiarore annunciava l’approssimarsi dell’alba, anche se la campagna era ancora immersa nell’oscurità.
La figura si avvicinò alla casa con passi veloci e affrettati di chi è leggermente in ritardo; aprì la porta d’ingresso, salì senza indugio al piano superiore.
Nessun rumore, nessun respiro, nessun cigolio delle vecchie e ripide scale di legno.

La figura si muoveva con familiarità nella camera in cui io e mia moglie dormivamo; senza imbarazzo e senza paura di disturbare andò ad occupare il suo solito posto.

Io improvvisamente mi svegliai; forse un timore, un movimento del sogno, forse una istintiva percezione della nuova presenza nella stanza. Dal bordo della coperta i miei occhi misero a fuoco la sua figura: oltre il basso schienale del letto, seduta in una di quelle vecchie sedie di legno e vimini, con lo sguardo vigile, fissava un punto qualunque della stanza.

Mi tranquillizzai, lei era lì al suo posto, potevo riprendere il mio riposo.

Ho aperto gli occhi e lei è lì che veglia, posso richiuderli e riaprirli ancora e, poi rifarlo una volta e una volta ancora, lei è lì.

Ma sì!
E' un po’ come un angelo.
Per me è come un angelo che Veglia sui miei Sogni.

Il regno delle luci

C’era una volta un Re,
che governava un grande, ricco e pacifico regno. Un giorno dovette partire per terre lontane e non potendo sapere quando sarebbe tornato, decise di dividere il territorio in tante province e di assegnare il governo di ciascuna ad un suo figlio.

Nei primi tempi tutto filò liscio: ognuno ricordando l’esempio del Padre, cercava di imitarlo, ma ben presto il carattere dei figli prese il sopravvento…

Nella prima provincia ogni cosa doveva essere al suo posto; la legge e i comandi dovevano essere rispettati senza alcuna eccezione; ogni cambiamento veniva respinto perché tutte le regole erano state fissate e si sa il bene non può cambiare. Non c’era spazio per creare e progredire. Per un effetto sconosciuto la forza di gravità locale cresceva a dismisura, ogni passo e ogni movimento diventava sempre più pesante, tutto divenne statico e immobile fino a far sentire ogni persona oppressa e schiacciata. Era la provincia delle PIETRE FOSSILI.

Nella seconda provincia regnava il tutti-uguali e per carità, chi poteva dargli torto…ma la mania e la pedanteria con cui questa idea veniva praticata provocò dopo un po’ un senso di malessere, indifferenza, inutilità: ognuno si guardava allo specchio e non capiva se era lui o il vicino di casa! E quando un uomo abbracciava la moglie aveva sempre il dubbio di abbracciare una persona qualunque. Era come non esistere, era il regno del LABIRINTO DEGLI SPECCHI.

Nella terza provincia, vi dirò subito che si chiamava le terre DEI FRUTTI SEMPRE ACERBI, regnava un figlio che del Padre ricordava soprattutto l’abbraccio amorevole e il senso di sicurezza; finché si convinse che per i suoi sudditi sarebbe stato un bene pensare al loro posto, prendere in loro nome ogni decisione. Così tolse ogni fastidio del dover decidere, tolse il dubbio e l’insicurezza. Il risultato fu che nessuno sapeva più stare in piedi da solo, ogni volta che qualcuno provava ad alzarsi in piedi le gambe gli mollavano e ricadeva a terra, il massimo che riuscivano a fare era gattonare come tanti bambini piccoli; insomma anche qui regnava l’infelicità.

E così via, potremmo parlarvi delle altre province: le TERRE TREMANTI, le TROMBE SILENZIOSE, le NEBBIE ASFISSIANTI… Ogni figlio una provincia, ogni figlio un frammento di Verità che diventava Assoluta e che alla fine cancellava l’amore.

Infine l’ultima provincia, la più piccola, fin dall’inizio la più fragile. Il figlio che la governava era consapevole dei propri limiti, tanto più ogni volta che il ricordo del Padre saliva alla sua mente.
Ci sarebbe voluta una vita intera per conoscere le eredità del Padre; ci sarebbe voluta una vita intera per condividere, per ascoltare, per dare un senso.
Eppure con grande sorpresa delle altre province e dei fratelli, proprio lì nel regno della CANDELA ACCESA un senso di giocosa speranza poteva alleviare le fatiche quotidiane che non mancavano.
Forse il segreto stava in quel lumicino che ognuno teneva sul davanzale della finestra preoccupandosi di non spegnerlo mai, né di notte né di giorno, né col sole né con la pioggia.
Dopo un tempo che nessuno conosce maturò l’ora in cui il Padre rientrò dal lungo viaggio.
Guardò ogni cosa, soppesò il cuore e la mente di ogni suo figlio e poi prese la sua decisione…
Dal suo zaino di viaggio estrasse un piccolo flauto, poi iniziò a suonare un’antica melodia e ad ogni nuova nota, una fiammella si accendeva nei territori del regno.
Come in un lento corteo, le luci formavano un rivo che nasceva flebile dai punti più remoti della prima provincia e man mano s’ingrossava di nuova luce passando per la seconda, la terza e via avanti fino a diventare un fiume quando raggiungeva l'ultima provincia, delle CANDELE ACCESE.
Era un sentiero lungo il quale ogni figlio s’incamminava e gli specchi tornavano a specchiare ogni differenza, la gravità finiva di schiacciare e irrigidire, chi gattonava poteva nuovamente rialzarsi in piedi e camminare con le proprie gambe.

L’antico manoscritto dal quale è stata tratta questa storia parla di una grande festa e quel giorno fu da tutti considerato per sempre un nuovo punto di partenza.

Vincenzo - Gennaio 2004

Il RE, questo sconosciuto

C’era una volta… - Un Re! - Diranno subito i miei piccoli lettori.
Così comincia la favola di Pinocchio, così cominciano tante favole che nonne e mamme ci hanno raccontato prima di dormire.

Se il Re c’era una volta, vuol dire che ora non c’è più.
Allora chi è il Re “Cristo” che ogni anno verso la fine di novembre diciamo di festeggiare?.
Vi confido: sono perplesso; è più facile pensare a Cristo come Salvatore, Fratello, Figlio di Dio, Amico, ma Re…
Forse gli olandesi, i belgi o gli inglesi che sono governati da monarchie possono avere un riferimento culturale, ma noi figli della Repubblica, cosa dovremmo festeggiare: “Cristo Presidente” ?
La cosa non quadra.
E’ giunto per me il momento di fare luce!
Ho sentito dire che su internet si trovano tutte le conoscenze a portata di mano.
Provo: motore di ricerca; digito “Re” e premo il pulsante Cerca. Il computer mi risponde:
“Ho trovato circa 895.000 pagine in italiano che contengono la parola Re”.

Troppa grazia! Si comincia:
RE NUDO : rivista di incontro e confronto tra passioni e ricerche. Il re nudo è il simbolo del potere arrogante sbeffeggiato dal popolo.
I SETTE RE DI ROMA : questi li so: Anco Marzio, Tullio….no…li sapevo.
SCACCO AL RE : Ho vinto! Sono entrato nel cuore del tuo regno e ti ho sconfitto.
RE ARTÙ : il mito, l’eroe liberatore ma implacabile, con la sua spada invincibile.
IL RE SOLE : che esempio di megalomania!
IL RE TENTENNA : siamo fritti, se tentenna lui.
L’ERBA VOGLIO NON CRESCE NEANCHE NEL GIARDINO DEL RE : pazienza, mi ero illuso…
Proverbio Siciliano: TRI SUNU LI PUTENTI: ‘U PAPA, ‘U RE E CU NUN AVI NENTI (Tre sono i potenti: il papa, il re e chi non ha niente).
RE : persona di sesso maschile a capo di un Regno. Un po’ troppo dizionario.
IL BANCHETTO DEL RE – Ovvero le illusioni del proletariato. ...Questo deve essere proprio arrabbiato.
STARE COME UN RE
L’ORO E’ IL RE DEI METALLI
IL LEONE E’ IL RE DELLA FORESTA : mi sa che in questa foresta mi ci sono proprio perso.

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1997/documents/hf_jp-ii_hom_23111997_it.html://

1. In questa domenica, che chiude l'anno liturgico, la Chiesa celebra la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'universo. Nel Vangelo abbiamo ascoltato la domanda posta da Ponzio Pilato a Gesù: "Tu sei il re dei Giudei?" (Gv 18,33). Gesù risponde chiedendo a sua volta: "Dici questo da te, oppure altri te l'hanno detto sul mio conto?" (Gv 18,34). E Pilato replica: "Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?" (Gv 18,35).
A questo punto del dialogo, Cristo afferma: "Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù" (Gv 18,36).
Ora tutto è chiaro e trasparente. Di fronte all'accusa dei sacerdoti, Gesù rivela che si tratta di un altro tipo di regalità, una regalità divina e spirituale. Pilato chiede conferma: "Dunque, tu sei re?" (Gv 18,37). Qui Gesù, esclusa ogni erronea interpretazione della sua dignità regale, indica quella vera: "Io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce" (Gv 18,37).
Egli non è re come lo intendevano i rappresentanti del Sinedrio: non aspira, infatti, a nessun potere politico in Israele. Il suo regno, al contrario, va ben al di là dei confini della Palestina. Tutti coloro che sono dalla verità ascoltano la sua voce (cfr. Gv 18,37), e lo riconoscono come Re. Ecco l'ambito universale del Regno di Cristo e la sua dimensione spirituale.
2. "Rendere testimonianza alla verità" (Gv 18,37). Nella Lettura tratta dal Libro dell'Apocalisse si dice che Gesù Cristo è "il testimone fedele" (1,5). Egli è testimone fedele perché rivela il mistero di Dio e ne annunzia il Regno ormai presente. Di questo Regno Egli è il primo servitore. Facendosi "obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8), Egli testimonierà il potere del Padre sulla creazione e sul mondo. Ed il luogo dell'esercizio di questa sua regalità è la Croce abbracciata sul Golgota. Morte ignominiosa la sua, che rappresenta però una conferma dell'annunzio evangelico del Regno di Dio. Agli occhi dei suoi nemici, infatti, quella morte avrebbe dovuto essere la prova che tutto ciò che Egli aveva detto e fatto era falso: "E' il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo" (Mt 27,42). Non scese dalla croce ma, come il Buon Pastore, diede la vita per le sue pecore (cfr Gv 10,11). La conferma del suo potere regale venne tuttavia poco dopo, quando il terzo giorno risuscitò dai morti, rivelandosi come "il primogenito dei morti" (Ap 1,5).
Egli, Servo obbediente, è Re, perché ha "potere sopra la morte e sopra gli inferi" (Ap, 1,18). E, in quanto vincitore della morte, degli inferi e di satana, è "il principe dei re della terra" (Ap, 1,5). Ogni cosa terrena, infatti, è inevitabilmente soggetta alla morte. Invece Colui che ha potere sopra la morte, apre a tutta l'umanità le prospettive della vita immortale. Egli è l'Alfa e l'Omega, il principio e il compimento dell'intero creato (cfr Ap, 1,8), cosicché ogni generazione può ripetere: Benedetto il suo regno che viene (cfr Mc 11,10).
….
La Solennità di Cristo Re dell'universo ci invita a ripetere con fede l'invo-cazione del Padre Nostro, che Gesù stesso ha insegnato: "Venga il tuo Regno".
Venga il tuo Regno, Signore! "Regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace" (Prefazio). Amen!
OMELIA Solennità di Cristo Re Domenica 23 novembre 1997- Giovanni Paolo II

Bingo. Ricerca conclusa.

Vincenzo

Parlando fra noi di matrimonio



La visione del film “CASOMAI” ha registrato una larga partecipazione di persone con una forte presenza giovanile.
Che l’argomento fosse di notevole interesse è confermato dal dibattito vivace e particolarmente stimolante che ne è seguito.
Abbiamo riassunto e riorganizzato tutti gli interventi della serata.
All’interno della vita di coppia esiste un cammino di crescita che inizia col giorno del “sì” e non finisce più, perché se è vero che come singoli cresciamo in continuazione fino all’ultimo respiro, è anche vero che come coppia cresciamo in continuazione.
Il matrimonio è una grossa sfida, tutta da giocare; contiene in sé dei momenti privati che riguardano solo gli sposi, ma non è per sua natura un evento privato, un fatto che riguarda solo i due.
E’ un impegno di fronte a tutta la comunità. Gli sposi contano su di essa ed essa conta sugli sposi. Per chi è credente, poi, ci si sposa in tre: quel giorno, invisibile ma reale, c’è anche Dio con la coppia e continua ad esserci sempre. Abbiamo tutti bisogno di confrontarci con altri, di condividere di parlare con qualcuno che ci aiuti o semplicemente ci faccia da specchio. Per questo è importante il ruolo degli amici, che, se sono veri, sostengono, danno buoni consigli, sdrammatizzano e riequilibrano.
Al contrario, possono invece essere causa di ulteriori problemi, se avvolgono la coppia nella nebbia delle chiacchiere fine a se stesse e dei pettegolezzi distruggenti, se si pongono come esempi negativi e la coppia guarda più a loro che all’interno di se stessa e del proprio potenziale.
E’ eroico che due persone possano restare insieme tutta la vita, anche quando la danza dei pattinatori si fa caduta, quando il gelo inaridisce e blocca, quando il dolore bussa forte. E’ eroico, ma noi pensiamo sia possibile, sappiamo che è possibile attraversare notti oscure e venirne fuori insieme, più forti, più adulti e anche, perché no, più felici.
Il matrimonio non è sempre solo dovere, fatica, lavoro, serietà, impegno, ma è anche passione, gioia, risata, buonumore, spensieratezza e ironia, è anche gioco, divertimento, tornare bambini.
Viene voglia di non rimanere inerti, di fare qualcosa per dare uno slancio alla famiglia, quella che sa superare tutti i possibili “casomai”.
Da una parte Leggi e politiche sociali, dall’altra una revisione personale e una condivisione fra coppie “nei dintorni di casa mia”.
Mariateresa e Enzo

“Nei dintorni di casa mia”

IL MANIFESTO DI
“Nei dintorni di casa mia”

Da alcuni anni un gruppo di persone che abitano “nei dintorni” hanno preso l’abitudine di incontrarsi e hanno dato vita ad alcune iniziative della parrocchia: spettacoli, gite, momenti di preghiera, canti, catechismo, aggregazione per ragazzi e ragazze.
Infine hanno raccolto alcune esigenze che la nostra comunità sente come proprie:
Tenere tutti informati con le notizie sulle attività dei gruppi parrocchiali,
Suggerire qualche spunto di riflessione, in particolare sui temi della famiglia e degli anziani,
Suscitare in qualcuno il desiderio di lasciarsi coinvolgere almeno un po’.

Ma la radice di questa scelta è un’altra:

Vuole significare che nei dintorni di casa mia non sono “condannato” a sentirmi solo.
Nel mio palazzo o al massimo in quello accanto, mentre percorro le scalinate che portano su e giù da via Cantore o fra i viali di Villa Scassi, nelle code dei negozi di Corso Magellano o di Via Carrea c’è qualcuno che è disponibile ad essere mio vicino.

Nei dintorni di casa mia, qualcuno prova a guardarsi attorno e a dire “Ciao!, ci sono, esistiamo, vogliamo provare a stringere un legame non formale e non banale fra noi?”

Nei dintorni di casa mia, è uno spazio da scoprire con persone a me simili e da me così diverse.

Nei dintorni di casa mia, c’è voglia, ogni tanto, di passare una serata con il televisore spento, di muoversi per incontrare, anche solo per un’ora, nuovi amici, per pregare o per vedere insieme un film, per cantare o per discutere dei nostri figli, per mangiare una pizza in compagnia, per aiutare un anziano in difficoltà.

Nei dintorni di casa mia, non ci sono tessere da firmare o pagare, non ci sono i “Buoni” che pretendono di insegnare a tutti i costi le verità della vita, non ci sono appelli per contare quante volte si partecipa.
Nei dintorni di casa mia, ci sono voglia di ascoltare, voglia di imparare.
Nei dintorni di casa mia, c’è spazio per nuove iniziative concrete di solidarietà.

Ecco, per questi motivi, superando anche le difficoltà di non avere mezzi e risorse particolari, con la coscienza di non essere né giornalisti né opinionisti, abbiamo deciso di lanciarci nell’avventura.

La nostra redazione è molto sui generis: non ci sono gerarchie, né esperti; si parla del prossimo numero del giornalino o del prossimo incontro da preparare, con la stessa spontaneità con cui ci si raccontano le preoccupazioni per un familiare ricoverato o per le scelte discutibili di un figlio.
E quando qualche malinteso, inevitabilmente, si insinua fra noi, ci si sforza di reagire mettendo da parte pregiudizi, rigidità e orgoglio.

Questo manifesto e questo spazio ci forniscono una opportunità in più per lanciare il nostro messaggio: ci puoi trovare, nei dintorni di casa tua.

domenica 26 giugno 2005

25 fiori diversi

5 Gennaio 2005

Ma come potevo regalarti 25 rose rosse, tutte uguali?
Sono forse stati "uguali" questi venticinque anni?
Venticinque anni colorati!
Ma i fioristi non sono stati in grado di accontentarmi....
I colori mancanti vanno aggiunti con la fantasia e,
nella mia immaginazione, racchiudono tutti, ma proprio tutti, i momenti del nostro stare insieme: una ricchezza di colori e di amore che nonostante tutto e nonostante noi, abbiamo la consapevolezza di possedere e la voglia di condividere.

Dal bianco al nero, dal rosso al violetto,
ti amo.

Troppo

VITA, una storia di emigrazione vista dall'Italia.


Qualche spunto di riflessione può fornirlo la lettura del libro qui sotto recensito.
Autore: Melania G. Mazzucco Titolo: Vita
1903, New York è la città dove sbarcano dodicimila stranieri al giorno e gli italiani sono considerati solo come criminali.
Diamante e Vita, due ragazzini di dodici e nove anni approdano da un minuscolo paese in provincia di Caserta; lui è taciturno, orgoglioso e temerario, lei istintiva e gelosa. L'America con le sue ricchezze è il loro sogno. Tra fame, angherie, prepotenze i due ragazzini scoprono insieme la morte e l'alfabeto, l’illusione, l'amore, il tradimento e la fedeltà.
In dieci anni Diamante, sempre in attesa di fortuna, sarà strillone, raccoglitore di stracci, fattorino in una ditta di pompe funebri, waterboy alle ferrovie; Vita cucitrice di fiori artificiali, ladra, sguattera, cuoca, amante di un guappo, venditrice di baci, parole e case inesistenti - entrambi sempre convinti di progredire verso la felicità riconosciuta come un diritto dalla Costituzione degli Stati Uniti d'America. Ma i loro sogni infantili non sono destinati a realizzarsi - almeno, non a New York e non insieme.
Vita non è però solo un romanzo: I due ragazzini sono realmente esistiti, come sono esistiti i molti personaggi che animano questa storia. Per scriverla l'autrice ha scavato e ricostruito racconti di suo padre, documenti e indizi sui giornali dell'epoca, archivi della polizia di Brooklyn, liste passeggeri dei piroscafi.
La storia di una famiglia ma anche la storia di tutti noi alla ricerca della felicità. Un libro epico, scritto proprio mentre l'Italia sembra essere diventata l'America per chi abita sulla riva di un altro mondo.

mercoledì 22 giugno 2005

Happy Birthday

Compleanno del 2000.

Marianna ritrae il papà,

visto di fronte

e di retro (con colorazione di Antonio).