martedì 30 agosto 2005

Fichi, cioccolata e melanzane (2)

Qualcuno mi ha chiesto di commentare queste ermetiche righe.
Sono parte di un sogno, come tante delle pagine di questo blog. Perchè niente meglio del sogno è capace di svelare l'anima che è dentro di te, e il sogno è capace di ignorare quello strato di cultura e struttura che si stratificano nei pensieri razionali.

Fichi, cioccolata e melanzane: un mix di cibi che adoro mangiare, ricordano la Sicilia, le mie origini, ma in questo sogno l'ambientazione è una riviera dai nomi esotici: Uruguay, Argentina, Venezuela.
Purtroppo nel sogno non risco a mangiare il cibo che mi piace, perchè altrimenti, mi verrebbe mal di pancia.
Non è certo un caso che in quei giorni ho avuto problemi al lavoro con le agenzie del Sud America (le riviere) e che la fastidiosa "ernia iatale" mi ha distrurbato e inquietato...

Che cosa ti aspetti da me?

L’amore non è un sentimento a consumo, non si esaurisce mai, ne abbiamo riserve infinite. La vera difficoltà sta nello scoprirle, nell’oltrepassare il confine profondo tracciato dall’individualismo, dall’indifferenza, dall’egoismo, dal narcisismo, dalla paura, dall’attaccamento alle cose, dall’orgoglio, dall’odio, dalla vita stessa.
...
Non aver paura ad ammettere il tuo bisogno di ricevere tenerezza, e di darne, non aver paura a dirmi che mi ami.
...
Mi spiegò per esempio che il segreto della piena realizzazione è riuscire a comunicare agli altri ciò che si è attraverso quel che si fa, ma che per essere veramente equilibrati e sereni è indispensabile che ciò che si fa sia realmente quello che si vuole e non quello che vogliono gli altri.
Fin da bambini chi più chi meno ci modelliamo secondo l’immagine che gli altri, prima di tutto i genitori, ma anche gli insegnanti, gli amici, i nostri compagni di vita, e perfino i nostri colleghi di lavoro, hanno di noi o che vorrebbero avere. E molti crescono, si formano, si trasformano addirittura, per corrispondere a quell’immagine. Certe volte non se ne accorgono neppure perché è così radicato nella loro personalità questo bisogno continuo di essere all’altezza di un’idea che finisce di diventare l’idea stessa che hanno di loro.
Mi raccomando liberati da questo, perché verrà il giorno in cui ti accorgerai che comunque ti sia andata la strada che hai fatto è stata più interessante di quella che ti aspetta , che i ricordi hanno preso il posto dei progetti e che la tua vita non potrà più cambiare, se non in minima parte.Ecco quel giorno non dovrai avere rimpianti, dovrai consolarti con la consapevolezza che le scelte che hai fatto sono state le tue e non quelle che ti sei trovato a fare per pigrizia o peggio ancora per compiacere qualcuno.

da "Cosa ti aspetti da me?" di Lorenzo Licalzi

Cito questo brano, da un libro di Liscalzi perchè in questa storia di un anziano scenziato, ritrovo motivazioni e forza che consentono di non fermare mai la speranza di poter cambiare. Mi ritrovo in questa necessità di modellare me stesso secondo l'immagine voluta dai miei genitori, e trovarsi poi schiavi della necessità di essere all'altezza. Il percorso per risalire alle radici di se stessi sembra coincidere con quello della scoperta dell'amore.

giovedì 18 agosto 2005

Fichi, cioccolata e melanzane

(Sogno)

Questo negozio sembra quasi un banchetto della fiera: offre fichi e cioccolata, sembrano deliziosi, e in più sono conditi con dadini di melanzana; l'odore che sprigionano è davvero invitante; la commessa sembra un'esperta cuoca, lo si capisce dal tocco delle sue mani e dalle parole che sceglie per descrivere il gusto.
Per me è un richiamo irresistibile.
Peccato che non posso mangiarli, mi farebbero male, il sacchetto con le leccornie finisce tutto in una borsa.

Un campo di bocce

Ci sono tanti modi per onorare il ricordo dei propri cari. Spesso sono seriosi o intellettuosi.
L'idea di Pietro è tanto giocosa quanto tenera e profonda: ripristinare l'antico campo di bocce accanto alla casa di campagna di Montezemolo (al confine tra la provincia di Savona e Cuneo). L'idea è piaciuta se quasi ogni sera tanti amici si alternano e si auto-invitano per poter accostare e bocciare, contestare un punto e applaudire (a denti stretti) un colpo dell'avversario.
Beh, si capisce che anch'io ci ho provato, e nonostante il competente e consistente apporto di punti di Mariateresa, ho perso...
Una piccola piastrella ricorda il nome del papà Antonio che quel campo l'aveva ideato e che ora è tornato alla sua funzione di semplice e spontanea aggregazione fra anime.

§§

Questo bisogno di aver sempre presenti le proprie radici mi ricorda che sei anni fa quando traslocammo nella casa che ancora abito, ci fu da decidere come arredare l'ingresso.
Ebbene il nome che abbiamo dato a quel piccolo vano è, un po' pomposamente: "la stanza degli avi". Per entrare in casa Trichini bisogna attraversare il ricordo delle persone che ci hanno generato e che danno storia alla nostra vita.
A destra la macchina da cucire di Angela ricorda che anche nonna Salvina era sarta e subito sopra le foto in cornice di radica, dei nonni Trichini con il piccolo Toledo, più in là ancora un ricordo di Toledo: il flicorno e il berretto della banda musicale. Di fronte, la pendola di nonno Luigi Giacopinelli, e ancora l'armadio della bisnonna Teresa.
E infine per completare il viaggio, una cornice che racchiude vecchie foto dell'infanzia mia e di MariaTeresa.

Poi il viaggio, istantaneo, inconsapevole ma reale, finisce; ognuno può saldamente prendere il controllo della propria personalità.

mercoledì 17 agosto 2005

Senza barba

Dopo nove anni ho tagliato la barba! Farla crescere era stato un avvenimento niente affatto banale. MariaTeresa mi spronava a provare da vari anni, ma io solo all'idea, avvertivo un senso di disagio, probabilmente perchè mi sembrava di trasgredire agli ordini dei miei genitori, che, quando ero adolescete, erano contrari. Quando mi sono deciso a provare è stata una piccola conquista, un segno che stava cambiando qualcosa dentro di me, che volevo diventare pienamente adulto ed autonomo (avevo 43 anni!).
In nove anni quella barba nera è diventata sempre più brizzolata accompagnando una trasformazione che intanto procedeva dentro di me.
Qualche settimana fa ho "sentito" che era il momento di tagliarla e questo è il mio nuovo aspetto.


Me medesimo senza barba Posted by Picasa

Pomeriggio di Ferragosto: un grazie a questi genitori d'Aosta.

Pomeriggio di Ferragosto, seduto in una sdraio nel prato di Torrazza con MariaTeresa : cosa c'è di meglio, mentre mezza Italia sgomita nelle autostrade, che godere del silenzio, del verde del frutteto, di una brezza inaspettata e della compagnia degli amici Daniela e Claudio.
E così che nascono discorsi che non ti aspetti e non avevi programmato.
C'è spazio per raccontarsi della morte delle persone che si sono amate, di quelle che si vorrebbe aver amato di più, dell'abbandono ma anche a volte della serenità che ti lasciano dentro.
C'è spazio per meditare sulla rigidità mentale di alcune persone che non sanno guardare al di là delle delle regole e dei principi morali scordando che che il nostro primo compito non è giudicare ma amare.
C'è spazio per sperare che certi gesti semplici e veramente controcorrente diventino parte del nostro patrimonio di cristiani.

Come questo che Claudio mi ha segnalato tratto da:
l’editoriale di Giuseppe Frangi
(“VITA” – n° 12 - 26 agosto 2005)


Un grazie a questi genitori di Aosta

Con una notizia così certamente ci avremmo aperto un telegiornale.
Questi i fatti. È martedì 2agosto. Tre ragazzi valdostani, tre amici, stanno scendendo verso il mare per godersi una vacanza post maturità. Sono più o meno le 11, la loro auto s’è lasciata alle spalle il casello di Masone e si dirige verso Genova Voltri. D’improvviso un camion carico di carta, che viaggia senza più controllo, dopo aver divelto un centinaio di metri del viadotto piomba addosso alla loro auto e la scaraventa disotto. Sono 70 metri di volo che non lasciano scampo. Il bilancio finale è tragico morti Delio Denzel, 20 anni, Luca Miozzi, 19 anni e Michele Vai, 19 anni pure lui. E morto, dissanguato tra le lamiere del suo mezzo, anche Bamba Kebe Mamadou, senegalese, 47 anni, autista del camion che ha causato il disastro. Ma questa tragedia delle strade estive ha un epilogo imprevisto e umanamente sorprendente. I genitori dei tre ragazzi, al funerale, propongono una colletta. Hanno saputo che l’autista senegalese al paese aveva moglie e sei figli e vogliono in qualche modo aiutarli. Alla fine della messa contano 4.840 euro. Dice Roberto Miozzi, padre di Luca: “È stato un gesto di solidarietà, per non aggiungere dolore a dolore. Lui era qui per guadagnare la vita per sé e per i propri figli”. La esemplarità dei fatti parla da sé: non ci sono commenti da fare. Semmai c’è da ringraziare che persone con un cuore così e capaci di simili gesti gratuiti esistano. (Confrontare alla semplicità di quel gesto, cme sembrano vuote, inutili, supponenti le montagne di parole che si sono sprecate sull’emergenza immigrazione, sul pericolo islamico, sulla guerra di civiltà).
Certo, ci sarebbero altri ragionamenti da fare. Che riguardano lo stile di un’informazione patologica, incapace di cogliere i segnali di positività che la realtà trasmette ogni momento. Che riguardano quest’Italia, impantanata nelle polemiche estive dei nuovi e vecchi pirati della finanza e incapace di chinarsi sulla realtà della vita di tutti i giorni. E che riguardano anche la Chiesa. I tre ragazzi valdostani erano cattolici e profondamente cattolico è il gesto con cui i loro genitori hanno voluto ricordarli. Ma la Chiesa di oggi è capace di valorizzare comportamenti come questi? Sa ripartire dall’umano? Sa educare all’apertura verso l’altro, al rispetto nei suoi confronti, alla commozione verso il suo destino? Francamente vediamo prevalere più affanno di schieramento, più preoccupazione di fissare regole, più ambizione di conquistare un’egemonia intellettuale.....

venerdì 12 agosto 2005

Figli per sempre

19 Luglio 2005, Marianna e Dario hanno acquistato la loro casa.


Figli per sempre
Ivana Castoldi - Feltrinelli

Prefazione

Dario, sessantadue anni, sposato con figli, arriva in terapia con una strana, ma solo apparentemente strana, richiesta: “Dottoressa, mi aiuti a dialogare con mio padre... non ci sono mai riuscito”. Il padre, novantenne, era morto sei mesi prima.Dario non sapeva darsi pace. Era caduto in uno stato di profonda depressione e si tormentava al pensiero di aver ormai definitivamente perso l’occasione per dire a suo padre quello che da più di quarant’anni gli pesava sul cuore.È possibile tacere a un genitore, per così lungo tempo, pensieri e timori, sentimenti e risentimenti personali, pur desiderando aprirgli il cuore e farlo partecipe del nostro mondo interiore? Quali paure, quali rancori, quale pudore ci trattengono, a mano a mano che cresciamo in età e in consapevolezza, dal mostrare ai nostri genitori le tracce e i postumi della nostra esperienza di figli? A volte, questi esiti somigliano a profondi solchi incisi nella carne come ferite che faticano a rimarginarsi; altre volte, all’impronta di una carezza che ci fa palpitare il cuore di amore e riconoscenza. Non è solo il dolore a far morire le parole sulle labbra, a farci chiudere nell’isolamento; spesso, a inibirci è la nostra incapacità a parlare d’amore e di gratitudine.Con i genitori rimane sempre qualche conto in sospeso: molti segreti non si sveleranno mai; alcuni nodi non si scioglieranno mai e ci peseranno sul cuore per tutta la vita. In effetti, anche se diventando adulti prenderemo fisicamente o simbolicamente congedo dai nostri genitori per conquistare la nostra autonomia, rimarremo dei figli per tutta la vita. Anche quando resteremo orfani; anche quando, a nostra volta, diventeremo genitori.Questo legame viscerale tra genitori e figli è l’unico davvero inscindibile, nonostante tentiamo spesso di negarlo, di reciderlo, di dimenticarlo. Nella nostra esperienza di adulti non c’è “amore eterno” che tenga, al confronto. Il nostro destino di figli è la nostra fortuna e, insieme, la nostra condanna: una fortuna, se avremo potuto godere del calore affettivo e della comprensione dei nostri genitori; una condanna, se il loro atteggiamento insensibile e intransigente ci avrà tarpato le ali.Alcuni momenti particolarmente significativi (momenti di passaggio e di cambiamento per i figli come l’ingresso nei diversi ordini scolastici, l’inizio dell’attività lavorativa, il trasferimento in una casa propria, il matrimonio...) dovrebbero rappresentare altrettante occasioni di rafforzamento del dialogo con i genitori, anziché di conflitto e di incomprensione. È soprattutto l’abbandono della casa paterna, che andrebbe ritualizzato come un traguardo propizio di autonomia acquisita e di definitivo ingresso nel mondo adulto, a trasformarsi spesso in un evento carico di tensioni e diatribe.Quando ci chiudiamo la porta della casa paterna alle spalle per andare incontro al nostro destino di individui emancipati e responsabili, dovremmo poterci avviare con passo leggero, liberi dal peso dei sensi di colpa e delle recriminazioni. Dovremmo potercene andare non per reazione, esasperati dal deludente corso del rapporto con i nostri genitori, ma per un naturale bisogno di espansione e di potenziamento delle nostre risorse.Quanti figli come Dario rimpiangono di non aver avuto un dialogo costruttivo con i loro genitori? Quanti sono diventati degli adulti insicuri, profondamente segnati dalla sfiducia, persuasi del loro scarso valore e incapaci di mettere a frutto le loro doti personali?Altri invece, più fortunati, sostenuti dalla guida sollecita e dall’incoraggiamento di genitori più competenti nel loro ruolo educativo e affettivo, sono riusciti a conseguire una buona consapevolezza delle loro aspirazioni e dei mezzi per realizzarle. Anche questi figli, tuttavia, al momento di lasciare la famiglia, possono sentire il bisogno di ripristinare un dialogo che il pudore dei sentimenti, e delle parole, ha spesso penalizzato. Non c’è solo il silenzio delle ostilità, ma anche quello dell’inibizione, che deriva da un carente apprendimento del linguaggio analogico dell’affettività: quello dei sentimenti e degli slanci del cuore. La comunicazione genitori-figli ha sempre sofferto di un’afasia che riguarda non tanto la parola, quanto le emozioni che l’accompagnano.Pertanto, i figli in procinto di separarsi dalla famiglia d’origine avvertono quasi sempre l’esigenza di effettuare un bilancio del loro rapporto con i genitori, facendo una verifica della loro esperienza di figli.Tutti gli individui fanno il loro ingresso nell’età adulta con un variegato bagaglio di fallimenti e conquiste, di delusioni e speranze, che segnerà inevitabilmente la loro vita futura. Non sempre si ritrovano debitamente equipaggiati per farsene carico in maniera vantaggiosa. Sono ancora troppo invischiati in nodi da sciogliere, in danni da riparare, in dilemmi da chiarire.Rancori e dubbi a lungo covati, domande e bisogni inevasi alimentano legami di dipendenza difficili da risolvere. Per farlo, occorrerebbe finalmente poter stabilire un dialogo aperto, che non tema la crudeltà delle parole e l’inclemenza dei giudizi. Occorrerebbe accettare, in alcuni casi, il rischio di perdersi di vista, almeno temporaneamente, recidendo un vincolo che, in realtà, di affettivo ha conservato ben poco. È possibile ritrovarsi, comunque, magari a distanza di tempo, dopo che il dolore del distacco e la dissolvenza della memoria hanno affinato la nostra comprensione degli eventi, hanno smorzato i risentimenti e risvegliato gli affetti. Molte storie di genitori e figli lo testimoniano.Partendo da queste considerazioni ho voluto raccogliere, attraverso le interviste fatte nel corso di sedute psicoterapiche o di semplici colloqui, le parole di alcuni giovani adulti, che ho riportato nella forma di confessioni-rivelazioni ai genitori. Il materiale è autentico: io l’ho semplicemente ordinato e rielaborato, dandogli una veste un po’ più “letteraria”. Ne deriva un’uniformità di stile di scrittura e di espressione che rende irriconoscibili le “voci” dei singoli personaggi, i quali hanno diritto a un rigoroso anonimato.Credo possa essere utile anche per gli adulti, attraverso le testimonianze proposte, accostarsi all’esperienza di alcuni figli che, malgrado o grazie ai loro genitori, hanno raggiunto una buona consapevolezza di sé e hanno già intravisto la possibile soluzione dei loro problemi. Spero che qualche eco possa valicare i confini dei singoli casi per focalizzare l’attenzione del lettore sulle difficoltà dalle quali nessun rapporto tra genitori e figli è esente. Mi auguro che lo sforzo di raccontarsi e le esperienze di vita dei protagonisti delle diverse storie possano servire da incoraggiamento per altri figli cresciuti, i quali, già con la mano sulla maniglia della porta di casa nell’atto di andarsene, ancora tentennano timorosi, chiedendosi se valga la pena cercare un chiarimento con i genitori per le molte questioni rimaste irrisolte. Questi figli rischiano di lasciarsi alle spalle una voragine di silenzio che non verrà mai più colmata. Il rimpianto può far male più del dolore procurato da un conflitto aperto.Il tema di fondo del libro è quello della conquista dell’autonomia, che ho già trattato al femminile e al maschile in precedenti pubblicazioni. Questa volta è riferito ai giovani che, in maniera molto spesso conflittuale, si trovano a vivere la delicata fase dello svincolo dalla famiglia d’origine.Il superamento della dipendenza dai genitori si configura, in ogni caso, come un processo impegnativo e sofferto, anche se non necessariamente traumatico. In effetti, il rapporto con i genitori non si rivela sempre fallimentare. In diversi casi (ma dovrebbe valere per tutti), rappresenta un fondamento prezioso e determinante agli effetti della maturazione e dell’equilibrio psicologico degli individui. Anche dei successi vale la pena parlare, perché il dialogo tra genitori e figli non si riduca sempre e soltanto a un doloroso e sterile elenco di accuse e recriminazioni.

Lettera alla tua famiglia


Vittorino Andreoli - Lettera alla tua famiglia



Un viaggio nel cuore dei nostri affetti La famiglia è come un ensemble musicale. Ciascuno strumento segue la propria voce, ma è solo dall'armonia del loro intreccio che scaturisce la musica e prende vita la partitura. È a questo insieme che Vittorino Andreoli rivolge, con la consueta passione, la sua lettera, una lettera che è prima di tutto un invito a rinunciare alla passività e a vincere la paura. La vita familiare, quando si fonda sulla paura, può generare conflitti, lacerazioni e ferite difficili da rimarginare. Ma se è arpeggiata sulle corde dei sentimenti diventa la fonte primaria di energia, uno strumento di libertà, il luogo dove ciascuno è chiamato a esprimere le proprie differenze in nome della ricchezza di tutti. In questo libro Andreoli ci conduce lungo le strade che percorriamo ogni giorno, dal risveglio affrettato e spesso già stanco fino al ritorno a casa la sera, dopo aver affrontato le sfide del mondo. Nelle piccole come nelle grandi esperienze, nella cena quotidiana come nella generazione dei figli, il suo sguardo affettuoso ed esperto si sofferma su quelli che possono apparire semplici dettagli ma che in realtà costituiscono la trama della melodia: la coloritura degli affetti. Sempre tese a cercare il significato più profondo delle relazioni, queste pagine evocano il dialogo ma rispettano il silenzio, parlano di dolore e insieme celebrano la gioia. E chiamano ogni membro della famiglia - mariti e mogli, padri e madri, figli, nonni, zii, - a mettersi in gioco, a considerare le conseguenze che hanno parole e gesti sugli altri familiari, a riflettere con serenità sul senso intorno al quale ruota il loro progetto comune. Perché solo accettando di aver bisogno degli altri possiamo essere veramente noi stessi.

I migliori anni della nostra vita

Dedicato a
tutti coloro che hanno provato su se stessi che "nessuna notte è infinita"
tutti quelli che "vogliono tutto per poi accorgersi che è niente"
quelli che capiscono l'intensità "restare al buio abbracciati e nudi"
quelli che finalmente scoprono che "non ci siamo mai perduti
che tutta quella tristezza in realtà non è mai esistita"
, anzi è esistita ma è il loro tesoro.

I migliori anni della nostra vita
Renato Zero

Penso che ogni giorno sia come una pesca miracolosa
e che bello pescare sospesi su di una soffice nuvola rosa
tu come un gentiluomo ed io come una sposa
mentre fuori dalla finestra si alza in volo soltanto la polvere,
c'è aria di tempesta.
Sarà che noi due siamo di un altro lontanissimo pianeta
ma il mondo da qui sembra soltanto una botola segreta
tutti vogliono tutto per poi accorgersi che è niente,
noi non faremo come l'altra gente
questi sono e resteranno per sempre
i migliori anni della nostra vita
i migliori anni della nostra vita,
stringimi forte che nessuna notte è infinita, i migliori anni della nostra vita

I migliori anni della nostra vita
i migliori anni della nostra vita
Stringimi forte che nessuna notte è infinita
i migliori anni della nostra vita.

Penso che è stupendo restare al buio abbracciati e nudi
come pugili dopo un incontro come gli ultimi sopravvissuti,
forse un giorno scopriremo che non ci siamo mai perduti
e che tutta quella tristezza in realtà non è mai esistita.
I migliori anni della nostra vita
i migliori anni della nostra vita,
stringimi forte che nessuna notte è infinita,
i migliori anni della nostra vita.

I migliori anni della nostra vita i migliori anni della nostra vita
Stringimi forte che nessuna notte è infinita
i migliori anni della nostra vita.

La cremagliera

Viaggiamo in una comoda e larga superstrada, poi imbocco una deviazione, ma la pendenza è così ripida che subito ci viene il dubbio di aver sbagliato strada.
Torno indietro e dopo vari tentativi mi ritrovo nello stesso punto.
No, non c'è storia, la via da percorrere e quella!
Metto la prima marcia e avvio, anche la carreggiata si stringe e compaiono per terra i binari di una funivia.
La salita è faticosa e arrampicarsi a piedi lungo il percorso della cremagliera costringe a sbuffare ad ogni passo; borse e maglioni sotto braccio intralciano e affaticano il respiro.

Lo sferragliare di freni annuncia che stiamo per incrociare il convoglio che sta procedendo in senso inverso.
Qui bisogna preoccuparsi di trovare un angolo dove ripararsi o appiattirsi al bordo di un muretto se non si vuole essere travolti.

Ecco la carrozza ci incrocia procedendo lentamente, i cavalli sono incuriositi dalla nostra presenza e intanto che tirano il carretto cercano di afferrare con il muso una giacca a vento o una borsa.

Bene, siamo tutti in salvo! Giusto a pochi metri un piccolo bar ristoro dove potersi rifocillare con qualcosa di caldo.

martedì 2 agosto 2005

7 giorni in montagna: lo spazio


Se lo spazio che ti serve per cambiare lo hai dentro, allora lo riconosci anche fuori di te.
Sette giorni in montagna: lo spazio c'era.