sabato 29 aprile 2006

Le onde

(Sogno del 18/4)

Disteso sulla spiaggia sabbiosa guardo sonnecchiando e pigro il leggero movimento delle onde che si ripete mai uguale.

Fatalmente, avendo scelto una posizione troppo vicino al mare, un'onda un po' più lunga arriva a pizzicare il bordo dell'asciugamano. In fretta rimedio arretrando di qualche passo; però non è sufficiente, il mare si sta ingrossando e ogni onda raggiunge e supera la precedente, minacciando la mia nuova posizione. L'arretramento diventa sempre più profondo e quando finalmente riesco a raggiungere un punto sicuro il mare è laggiù, almeno un centinaio di metri.

Sono al sicuro ma rimango con la sensazione di aver vissuto un pericolo superiore a quanto avessi percepito sul momento.

Il mare è un elemento ricorrente nei miei sogni. Il mare che si muove fa pensare all'inconscio, al tumulto del mondo interiore fatto di impulsi che non sempre riescono a venire fuori e che si agitano; è una forza che qualche volta viene percepita come un pericolo perchè trascina con sè; turba l'idea del "cambiamento"; sembra che non si possa arrestare il suo vigore e che possa mettere in gioco gli equilibri esistenti... E il tutto mi riporta a un episodio reale della mia infanzia.

Passeggiata a mare di Nervi: ero seduto accanto alla mamma, su una roccia che affiorava dalla superficie dell'acqua, i piedi a bagno sguazzavano ad ogni movimento della risacca che arrivava a lambirli; il mare era inquiteto e sbuffava come un vecchio che impreca a bassa voce senza sosta, ma le rocce alte e lisce che formavano una piccola insenatura sembravano un ostacolo e una barriera insormontabile anche per un mare ben più mosso di quel pomeriggio. Improvvisamente mi sentii leggero, sollevato come da una dolce mano che si insinuava sotto di me e sembrava volermi cullare; invece mi stava trascinando via senza neanche il tempo di capire il pericolo. Una mano forte e decisa interruppe quello scivolamento, mi trascinò indietro e poi verso di sè.

Poi la vidi piangere e piansi anch'io, per un pericolo che fino ad allora non conoscevo.

lunedì 24 aprile 2006

FIASCO! (Elizabethtown)

Da questo film, un'altra storia dove il protagonista si trova a dover fronteggiare una difficile situazione che richiede il saper "cambiare".

Un fallimento, anzi un fiasco clamoroso in un progetto di lavoro; il licenziamento. Il desiderio di chiudere con la propria vita, la morte del papà che interrompe questo piano.

Con queste premesse Drew incontra Claire, la donna che, attraverso un percorso che passa dalla riconciliazione con la famiglia e dall'accettazione del proprio fiasco, gli permette di guardare nuovamente avanti e ricominciare.

Trascrivo alcune battute che mi sono piaciute.

Tutti quanti dovrebbero fare un viaggio da soli nella vita.

Non ho bisogno di un gelatino...Cos'è un gelatino? Qualcosa che ti fa star bene, qualcosa di dolce che si scioglie in due minuti.

- ...Il più spettacolare fallito della mia professione che è l'unica cosa che so fare... -

-Quindi hai fallito...hai fallito, fallito...fallito... e credi che mi importi qualcosa? Sei un artista, il tuo compito è quello di rompere gli schemi, non di addossarti la colpa. Devi avere il coraggio di sbagliare alla grande e di rimanere in circolazione; lascia che si chiedano cos'hai ancora da ridere. Questa è la vera grandezza per me.-

Comincia il tuo viaggio e non saltare avanti.

Hai cinque minuti per crogiolarti nelle deliziose voluttà della sofferenza, gotitela, abbracciala, abbandonala...e procedi.

La tristezza è più facile perchè è una resa, io dico: -Trova il tempo di ballare da solo...-

Nessun vero fiasco è derivato dalla mera ricerca del minimo indispensabile; il motto delle forze speciali dell'aereonautica britannica è: - Chi osa, vince-

Ho deciso di imparare a ridere, però ho capito una cosa: ci vuole tempo per imparare ad essere spiritosi e ci vuole tempo per tirare fuori la gioia dalla vita...quindi mi sono iscritta a una scuola per comici.

giovedì 20 aprile 2006

Perso in un paese straniero (2)

Il commento al mio sogno è:



Per ritrovarsi qualche volta bisogna perdersi.







(foto presa da http://www.viamaestra114.com/mostre/calendariopassato.asp)


Che è come dire, con le parole del Poeta :


Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
..........
Lo duca e io per quel cammino ascoso
intrammo a ritornar nel chiaro mondo
e sanza cura aver d'alcun riposo,
salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.
E quindi uscimmo a riveder le stelle.

mercoledì 19 aprile 2006

Perso in un paese straniero

(Sogno del 16/4)

Sono arrivato per lavoro in questo paese straniero, potrebbe essere una città dell l'India neo-tecnologica o una del Sud America post-tecnologico.

Mi allontano dalla zona degli alberghi, dei grattacieli e delle zone verdi dei parchi, per esplorare la città. Mi imbatto in una manifestazione operaia contro la polizia. Gli uni asserragliati dentro una fabbrica gli altri mobilitati per stanarli con gas e cariche. Passo oltre, accelerando il passo quel tanto da non rimanere invischiato; svolto uno dopo l'altro gli angoli delle strade, passando di quartire in quartiere.

In una piazzetta avvisto un negozio di cibo italiano; entro in un piccolo locale dove una non più giovane donna mi spiega che viene dall'Italia e che abita lì da molto tempo. Di italiano, il cibo, non ha niente: si cucina una specie di lunga e sottile erba verde, condita con sconosciuti e poco invitanti aromi. Non mi azzardo ad assaggiare e invece esco e continuo a vagare fra porte scolorite, marciapiedi dissestati e finestre sconnesse che prima o poi precipiteranno a terra. Solo di quando in quando dai muri di un palazzo affiorano i resti di qualche decorazione, segno di un'antica dignità.

Ormai ho completamente perso il senso dell'orientamento e non so più come tornare indietro: in questa zona non ci sono taxi, non ci sono mezzi pubblici, è impossibile parlare con le poche persone che si incontrano perchè usano un idioma incomprensibile. Sono perso in un paese straniero.

Sono prigioniero di questo mondo e non mi rimane altro da fare che affittare una minuscola casa da abitare e tirare avanti tra un espediente e un altro. Vivo in uno di questi caseggiati con ripide e consumate scale, un paio di stanze e mobili sgangherati.

Non so quanti giorni, settimane o mesi passano in questa situazione di miseria: stremato e affamato; finchè un giorno, in fondo a un vicolo stretto, là dove si apre una piazzetta con una striminzita palma dalle foglie invecchiate, intravvedo una comitiva di turisti, con la loro guida e i loro vestiti colorati si guardano intorno scattando fotografie; mi avvicino a loro, mi faccio riconoscere, spiego la mia situazione, la mia prigione senza sbarre fatta di impossibilità a comunicare, impossibilità a ritrovare la strada perduta.

Mi fanno salire nel loro pullman e mi portano in salvo.

venerdì 14 aprile 2006

Io posso!

"Io posso" nel linguaggio gergale con MariaTeresa, è una persona arrogante.
Stamane nel posteggio del supermercato, qualcuno ha posteggiato la macchina proprio davanti all'ingresso; comodo per lui, un intralcio per tutti gli altri.
Ecco quello è il tipico signor "Io posso".
Per capire meglio le sfumature del termine, racconto come nacque alcuni anni fa.
Eravamo a Scoglitti, bellissima località sul mare di Sicilia, purchè non si abbia l'idea di andarci d'Agosto, in quel mese diventa caotica, affollata di macchine che percorrono senza sosta le strette strade dalle sei del mattino alle due di notte.
Naturalmente l'amministrazione comunale tenta dei rimedi, così alcune strade del centro, arrivata la sera, vengono chiuse al traffico per consentire il passeggio pedonale e un minimo di quiete.
Quella sera era mezzanotte e ci accingevamo a rientrare in casa; l'imbocco della via Triestre che stavamo percorrendo, coincideva proprio con il confine della zona interdetta.
Un signore, con una utilitaria un po' malandata, amplificatori a stecca, si ferma davanti alla transenna; scende e comincia rumorosamnete a spostarla di lato per passare.
"Guardi che non si può andare di lì"
Lo apostrofa MariaTeresa, molto ingenuamente, per avvertirlo.
Lui in tutta risposta si ferma un attimo e con forte accento siciliano, stringendo un po' gli occhi, ci guarda con assoluta indifferenza e risponde :
"Io, posso!"
E dal tono si capiva che il breve messaggio includeva altri significati.
"Io posso", non perchè ho un permesso, non perchè ho il garage o l'abitazione, non perchè c'è un'emergenza.
No.
"Io posso" perchè mi interessa il mio tornaconto o perchè intanto ho gli agganci giusti in caso di contravvenzione o ancora perchè voglio dimostrare di saper sfidare le regole.

Così, mentre lui proseguiva imperterrito nella strada a circolazione vietata, per noi, più divertiti che indignati, nasceva il signor "Io posso".
E putroppo da allora a tutte le latitudini continuiamo ad incontrarne.

venerdì 7 aprile 2006

Monte Cinque


E' la storia del profeta Elia scritta da Paulo Coelho.
In un crescendo di avvenimenti quest'uomo si adatta ai voleri di Dio, poi schiantato dai fallimenti, dai dolori, e dalle distruzioni, si ribella e arriva a dirgli basta e urlargli:

"Non capisco i Tuoi Disegni. Non vedo giustizia nei Tuoi atti. Non sono in grado di sopportare la sofferenza che mi hai imposto. AllontanaTi dalla mia vita".

Il Signore ascolta la sua preghiera e lui non udrà più l'angelo e non lo incontrerà più...
Elia da quel giorno fa di testa sua, dalle macerie ricostruisce la città di Akbar.

"Ho lottato contro di Te, Signore, e non me ne vergogno. E per questo che sono sul mio cammino, perchè così desidero, perchè non mi è stato imposto..."

Dopo tanto tempo torna sulle pendici del Monte Cinque a pregare Dio:
"Ho un lungo elenco di peccati nei Tuoi confronti" disse.
"Tuttavia, Signore, ho anche un lungo elenco dei tuoi peccati nei miei confronti.
Mi hai fatto soffrire immensamente, portando via da questo mondo qualcuno che amavo".
"Hai confuso la mia ricerca. La Tua durezza mi ha fatto quasi dimenticare l'amore che provo per te".
"Se confrontiamo l'elenco dei miei peccati con quello dei Tuoi peccati, vedrai che mi sei debitore".
"Ma oggi", "Tu perdoni me e io perdono Te in modo che possiamo continuare a camminare insieme".

In quel momento il vento si mise a spirare ed Elia sentì parlare di nuovo l'angelo che gli mancava da tanto tempo.

"Hai fatto bene, Elia. Dio ha accettato il tuo combattimento".
"Quando un guerriero lotta con il proprio maestro, lo sta forse offendendo? No, è la sua unica maniera per poter apprendere la tecnica di cui ha bisogno".
"Continua così".

Elia scopre che la volontà di Dio era proprio questa:
che lui finalmente imparasse a ragionare con la sua testa, che imparasse a prendere nelle sue mani la propria vita.


Fra i tanti post che citano Monte Cinque, segnalo questo per l'accostamento con una bellissima scultura:
Secret tears: Lasciami andare

martedì 4 aprile 2006

Par condicio


In periodo di elezioni e di "par condicio", mi è venuto in mente un episodio di "par condicio" opportunista che mi vedeva protagonista quando avevo non più di quattro anni.

Lo scenario è quello di un paese siciliano, Vittoria, occorre immaginarsi un'ampia strada non asfaltata, le case basse e bianche con i portoncini che dalla strada portano subito nel cuore della casa, una zona dove tutti conoscono tutti e spesso i vicini di casa sono legati anche da vincoli di parentela. E naturalmente nella parentela ci sono zii e nonni socialisti, nonne e zie molto devote alla religione ma anche viceversa.

Il nostro piccolo protagonista, Enzo, o meglio ancora Enzomangialegnate, vive quotidianamente di queste atmosfere e ha trovato il modo di trarre il massimo vantaggio da questa situazione.

"Nonna, mi compri la mafalda con la mortadella?"

"Sì, ma quando incontri le persone come devi dire?"

"Pace e bene"

rispondeva convinto il picciriddu, alzando la mano destra nel tipico saluto francescano.

Più tardi, lo zio Mario, rientrava dalla campagna con ceste di profumati mandarini prodotti dalla sua terra e il piccolo Enzo non resiteva a quel richiamo.

"Zio me lo dai un mandarino?"

Lo zio sorrideva sornione, gettava uno sguardo agli altri uomini della stanza e poi dettava le sue condizioni:

"Te lo do, ma tu quando incontri le persone come le saluti?"

Anche in questo caso la risposta era pronta e senza tentennamenti, con la mano sinistra che si alzava a pugno chiuso:

"Compagno!"

sabato 1 aprile 2006

Il Tram

Il tragitto Nervi-Genova lo percorrevo così tante volte che, in pratica, sapevo a memoria tutte le curve, tutti i saliscendi, i nomi dei ristoranti che si affacciavano sul mare, i ponti della ferrovia che lambivano la strada, la posizione di tutte le edicole...

Prima c'era il Tram: le linee numero quindici e sedici.
La mamma diceva: "Andiamo a prendere papà".

Significava raggiungerlo all'uscita del suo lavoro (vedi la bottega del falegname); si partiva per Genova dalla fermata del Ponte Nuovo di Nervi; il mio posto privilegiato era in piedi, davanti, vicino all'autista, la mamma appena dietro di me, anche lei in piedi (pativa il mal d'auto). Per un'ora era un sogno ad occhi aperti. Incredibili storie che avevano sempre una cosa in comune: io ero l'eroe. Salvavo i passeggeri da uno squilibrato che saliva sul mezzo o da un improvviso incendio che minacciava l'autobus. Ero il bagnino in azione in una delle tante spiagge che si intravvedevano lungo il litorale oppure inseguivo con successo dei malviventi lungo le strade. La mamma mi riportava alla realtà: "La prossima si scende!".

Quando il papà era ripulito dalla polvere di legno e dagli odori delle colle, tutti insieme si andava a fare la spesa. Si attraversavano i portici di via XX Settembre affollati di gente e si entrava alla Standa per uscirne dopo un'oretta con le mani dei miei genitori occupate da ingombranti i sacchetti di plastica contenenti, verdure, carni, scatolame, pasta. Si risaliva insieme sul tram quando ormai era buio, aspettando però che ne arrivasse uno con qualche posto libero per sedersi. Sebbene il ritorno fosse meno affascinante dell'andata perchè la stanchezza oramai aveva preso il sopravvento e il tram sembrava riflettere l'aria triste o forse solo stanca dei pendolari che tornavano a casa dopo una giornata di lavoro, io ero comunque molto fiero di essere insieme al papà e alla mamma. La famiglia era ricomposta.
Poi il tram a Genova è sparito, ma non la necessità di percorrere lo stesso tragitto per ancora tanti anni.
E, qualche volta, ancora adesso, ripercorrendo, di tanto in tanto, le stesse strade in automobile, rivivo una familiarità di luoghi e situazioni interiori e mi chiedo quanto, quel percorso con la mamma, verso papà e poi insieme a casa, non racchiudesse altri arcani, importanti, significati nella storia che legava e lega Enzo a Salvina, e Toledo.