martedì 13 giugno 2006

Ma allora che ci guadagni?

Quel pomeriggio di settembre, sapevo che l'avrei rivista. C'era la finale del torneo di ping-pong al bar dell'Acli.
Erano passati quindici giorni dall'ultima volta che ci eravamo incontrati. Io studiavo, lì, in campagna, ospite di un amico, uno degli ultimi esami e, nelle pause, lei spesso arrivava per scambiare qualche parola; discorsi anche profondi; qualche volta si leggeva insieme qualche pagina del Vangelo; spesso una risata schietta e aperta con gli occhi ridenti che si chiudevano come due fessure; una semplicità disarmante; qualche canzone intonata insieme dietro la chitarra di un amico; la sera si giocava radunandosi con altri giovani fino a tarda notte.
Poi ero tornato a casa, ma quella ragazza così magra e così alta, cioè voglio dire, alta più di me, tanto che gli amici ci avrebbero poi chiamato l'alticolo "il", aveva sconvolto i miei programmi, mi ero innamorato... e il sentimento dominante era lo stupore.

Incoraggiato da un amico tanto caro quanto petulante (così lo giudicavo in quel momento, perchè continuava a dirmi "vai! Su vai, cosa aspetti?"), mi decisi.

"Vieni, devo parlarti, ti offro da bere".

Sul tavolinetto rotondo del bar erano stati serviti una cocacola e un'acqua frizzante che cominciavano a svuotarsi.
"Sai, ho passato quindici giorni bellissimi, qui...saranno indimenticabili perchè, mi sono innamorato di MariaTeresa".
Non gli dissi: "Mi sono innamorato di te", ma "Mi sono innamorato di MariaTeresa", come se parlassi di qualcun'altra. E infatti ci furono alcuni secondi di silenzio completo. Stupore!

"E' stato bello, ma non mi aspettavo...non sospettavo, non pensavo..." furono all'incirca le prime parole di lei.

Poi il primo appuntamento, una passeggiata sul lungomare di Recco, un gelato colorato e rinfrescante e dalla tasca tirai fuori un libretto. Era "Il piccolo Principe" di Antoine de Saint-Exupéry.
Avevo bisogno di un brano delicato che mi aiutasse a comunicare quello che provavo e che pure tracciasse una strada, la nostra.
Il dialogo fra la volpe e il piccolo principe simboleggiava bene quel momento in cui ci accostavamo uno all'altra, per addomesticarci a vicenda.

"...in quel momento apparve la volpe: "Buon giorno".
"Buon giorno" disse gentilmente il piccolo principe voltandosi: ma non vide nessuno.
"Sono qui", disse la voce, "...sotto il melo".
"Chi sei?" chiese il piccolo principe, "Sono una volpe", disse la volpe.
"Vieni a giocare con me?", le propose il piccolo principe "sono così triste...".
"Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata".
"Ah, scusa!", fece il piccolo principe.
"Che cosa vuol dire addomesticare?"
"E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami".
"Creare di legami?". "Certo", disse la volpe, "tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale acentomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo. (...)
Se tu mi addomestichi la mia vita sarà come illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi faranno nascondere sotto terra. Il tuo mi farà uscire dalla tana come una musica.
E poi guarda! Vedi laggiù in fondo dei campi di grano? Io non mangio il pane, e per me il grano è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai i capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano..."
La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: "Per favore ... addomesticami", disse.
"Volentieri, che bisogna fare?", domandò il piccolo principe.
"Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino...".
Il piccolo principe ritornò l'indomani. "Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincio ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore... ci vogliono i riti".
"Che cos'è un rito?", disse il piccolo principe. "Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe". E' quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore"

Così il piccolo principe addomesticò la volpe ... E quando l'ora della partenza del piccolo principe fu vicina: "Ah!", disse la volpe, "... piangerò".
"La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi e che diventassimo amici...".
"E' vero", disse la volpe.
"Ma sapevi che avresti pianto!", disse il piccolo principe.
"Certo", disse la volpe.
"Ma allora che ci guadagni?"
"Ci guadagno", disse la volpe, "il colore del grano".



1 commento :

Anonimo ha detto...

anch'io mi sono sentito a volte volpe a volte piccolo principe all'inizio e nel corso di una storia che dura ormai da molti anni è bello pensare che pur nelle diversità caratteriali di pensiero di ideologia ci sia qualcosa che accomuna tutti gli esseri umani una sensibilità per il vero per il profondo per quello che conta veramente per l'amore con una a supermaiuscola ? grazie per aver regalato ad un amico lontano una suggestione così grande e semplice