mercoledì 26 luglio 2006

Refrigerio

Domenica pomeriggio, di ritorno da una settimana di montagna la calura è ancora più insopportabile. Quasi inutile rifugiarsi nella casa di campagna sperando che le spesse mura e il verde del frutteto possano alleviare il disagio.
L'unica idea è sdraiarsi sul letto e assopirsi.
Il rumore sordo di un tuono, una, due, tre volte. Non sto dormendo, ho gli occhi chiusi e le gambe immobili, ma sono ancora in grado di distinguere che proviene dal mondo reale.

Un attimo dopo mi ritrovo affacciato alla finestra; il cielo è quasi completamente coperto di nuvole e nella valletta che si apre fra le colline alla mia sinistra avanza un minaccioso, cupo, incarognito temporale.

I
mprovvisamente un vento poderoso scuote gli alberi sollevando una marea di foglie secche che volteggiano in tutte le direzioni.
Le finestre spalancate sbattono ripetutamente chiudendosi e riaprendosi di nuovo, freneticamente, come torturate
malignamente da un irrispettoso ragazzino.
Poi odore di bagnato. Ma ancora non piove, è il vento che trascina con sè le goccie di acqua nebulizzate cadute qualche chilometro più lontano.
Polvere d'acqua che in pochi secondi satura l'orizzonte visivo. E' come stare in una sospensione di felicità. Un raggio di sole filtra quanto basta a illuminare e accendere i colori dell'iride; un tripudio di lucentezza che lascia sbigottiti, rinfrancati, gratificati, sfiatati.
Chiamo qualcuno "Guardate, guardate!"

Quando mi risveglio mi dirigo verso la finestra, fuori l'aria è stagnante e rovente, nessun segno che confermi i miei ricordi. Richiudo gli occhi e riassaporo il rifrigerio, prima che svanisca per sempre nelle stanze della mia mente che l'ha generato.

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