mercoledì 16 maggio 2007

La mia Chiesa

Mai come in questo periodo la Chiesa è stata oggetto di "attenzioni". Le considerazioni sono spesso negative e hanno un effetto ad espansione.
Purtroppo sembra che la semplificazione mediatica dei nostri tempi impedisca di avere, su un qualsiasi argomento, un'opinione articolata, e così si fomentano posizioni integraliste, cioè di difesa ad oltranza o attacco ad oltranza.

Sperando che sia decantato un po' il can-can delle manifestazioni pubbliche di questi giorni, provo ad esprimere un'idea che naturalmente a che fare con il "cambiare".

Quando la Chiesa, ma meglio sarebbe a dire le gerarchie ecclesiastiche, esprimono posizioni ufficiali incomprensibili alla coscienza, la tentazione di dissociarsi pubblicamente è forte.

"Se dite così, io non ho più niente da fare con voi!".

La ragione impone di riflettere, di separare l'istintiva e legittima irritazione, dall'azione reale.

Allora a riflettere ci provo e mi rendo conto che non può esserci un credente senza Chiesa, perché la fede non è un fatto privato, non è solo un fatto privato, non può essere solo un fatto privato perché sarebbe un tradimento degli ideali portati da Gesù, ma coinvolge una comunità di persone. Appunto, la Chiesa, se proprio vogliamo andare all'etimologia.

Che facciamo? Azzeriamo quella che c'è e ne facciamo un'altra? Naturalmente quella vera! Quella che si ispira alla fondazione di Gesù, non compromessa con il potere.

Facile no? In fondo da chi sarebbe fatta questa "Vera Chiesa"? Da gente come me e te, che abbiamo sempre la mente lucida, la capacità di riconoscere il bene e il male, di essere tolleranti e fedeli, aperti e solidali, difensori dei principi e disponibili al progresso...o no?

Carlo Carretto si esprime alla maniera degli uomini che con sana umiltà leggono dentro la propria coscienza.


"Quanto sei contestabile, Chiesa, eppure quanto ti amo!

Quanto mi hai fatto soffrire, eppure quanto a te devo!

Vorrei vederti distrutta, eppure ho bisogno della tua presenza.

Mi hai dato tanti scandali, eppure mi hai fatto capire la santità!

Nulla ho visto nel mondo di più oscurantista, più compromesso, più falso, e nulla ho toccato di più duro, di più generoso, di più bello.
Quante volte ho avuto la voglia di sbatterti in faccia la porta della mia anima, e quante volte ho pregato di poter morire tra le tue braccia sicure.
No, non posso liberarmi di te, perché sono te, pur non essendo completamente te.
E poi, dove andrei? A costruirne un'altra?
Ma non potrò costruirla se non con gli stessi difetti, perché sono i miei che porto dentro. E se la costruirò sarà la Mia Chiesa, non più quella di Cristo.
L'altro ieri un amico ha scritto una lettera ad un giornale: "Lascio la Chiesa perché, con la sua compromissione con i ricchi non è più credibile". Mi fa pena!
O è un sentimentale che non ha esperienza e lo scuso; o è un orgoglioso che crede di essere migliore degli altri.
Nessuno di noi è credibile finché è su questa terra. (…)
"Quando ero giovane non capivo perché Gesù, nonostante il rinnegamento di Pietro, lo volle capo, suo successore, primo papa. Ora non mi stupisco più e comprendo sempre meglio che avere fondato la Chiesa sulla tomba di un traditore, di un uomo che si spaventa per le chiacchiere di una serva, era un avvertimento continuo per mantenere ognuno di noi nella umiltà e nella coscienza della propria fragilità.
No, non vado fuori di questa Chiesa fondata su una pietra così debole, perché ne fonderei un'altra su una pietra ancora più debole che sono io".



Fratel Carlo Carretto

Temo che non si accontenta del "bianco o nero", ma apprezzi anche tutte le sfumature intermedie, rimarrà sempre nell'equilibrio di una lama. Solo chi sa maneggiare "i cambiamenti" ha la forza di riconoscere la propria debolezza.

3 commenti :

Anonimo ha detto...

L'argomento è interessante.Sono d'accordo sul fatto che la ragione imponga di riflettere, e se l'azione reale istintiva fosse quella del " Se dite così,io non ho più niente a che fare con voi", sarebbe senz'altro comprensibile e legittima anche se probabilmente la meno efficace.Credo però che quando le gerarchie ecclesiastiche esprimono posizioni ufficiali incomprensibili alla coscienza,e che fanno male dentro, la tentazione di dissociarsi pubblicamente non e' una tentazione, ma un preciso dovere di ogni cristiano che pur imperfetto e peccatore vive in questa Chiesa. Il gridare alto e forte :" Io non sono d'accordo con te gerarchia ecclesiastica che violenti la mia coscienza", non vuol dire non voler avere più a che fare con questa mia Chiesa , ma precisamente il contrario. Si fa un grande servizio alla Chiesa di Gesù se ( quando la nostra coscienza lo ritiene necessario) gridiamo indignati la nostra riflessione alla luce del Vangelo, senza voler ergerci a giudici di nessuno, ma soltanto pretendendo da chi e' stato posto nelle alte cariche della gerarchia ecclesiale ( e quindi secondo me con molta più responsabilità di servizio) una maggiore umanità, una maggiore adesione a TUTTO il vangelo di Gesù.Mi pare che Gesù non abbia fatto sconti alle gerarchie ecclesiastiche del suo tempo. Mi si obbietterà: eh, ma Lui era Gesù. Appunto, un uomo libero che gridava la sua indignazione e amava.

Vincenzo Trichini ha detto...

Il tuo ragionamento non fa una piega.
Ma quello che intendo dire è che quando il male è fatto da qualcuno che ami, più che gridarlo sui tetti, o prima di gridarlo sui tetti, soffri.
Anche perchè l'adesione al Vangelo che pretendo dalla Chiesa posso garantilo per me stesso? O qualcuno potrebbe gridare la sua indignazione verso di me?

Anonimo ha detto...

ad es. una notizia cosi' e' molto consolante:"CRISTO NON IMPRIGIONA LE PERSONE NEL LORO PASSATO".VESCOVO FRANCESE APRE AI DIVORZIATI RISPOSATI. MONTPELLIER-ADISTA. Ascolto, rispetto e solidarietà: è quanto si aspettano i divorziati risposati credenti della diocesi di Montpellier, in Francia, dopo la creazione di un gruppo di lavoro a loro dedicato, voluto fortemente dal vescovo, mons. Guy Thomazeau, per riflettere in modo organico su un tema tanto urgente ma ancora irrisolto. Il gruppo, di cui dà notizia il quotidiano cattolico La Croix (6/5), intervistandone alcuni membri, si era riunito per la prima volta alla fine dello scorso anno intorno al gesuita p. Jean-Luc Ragonneau, per studiare una lettera sui divorziati risposati che il vescovo avrebbe pubblicato nel giornale diocesano (Eglise en Pays d’Herault, n. 141), e un secondo incontro si è tenuto il 5 maggio scorso. "Qualsiasi cosa capiti nella vita – esordiva la lettera, che non è firmata esplicitamente dal vescovo – ciascuno, se vuole, resta membro della Chiesa". Pur sottolineando come una coppia, nel matrimonio religioso, desideri profondamente portare avanti il matrimonio nell’amore e nella fedeltà, il vescovo ammette che "accade tuttavia che le circostanze, le prove della vita e la debolezza umana la espongano a grandi difficoltà, fino al fallimento e alla separazione. Alcuni si prendono allora la responsabilità di iniziare una vita comune con un altro partner". In tale contesto, afferma la lettera, "se la Chiesa non può celebrare un altro sacramento del matrimonio per fedeltà al Dio dell’Alleanza, essa proclama che Cristo non rinchiude le persone nel passato o in vicoli ciechi. Gesù Cristo apre sempre un futuro. Gesù Cristo chiama sempre a camminare verso la santità". Da qui la proposta della diocesi alle persone direttamente coinvolte di "accompagnarle" per rileggere la prova subita in un contesto comunitario: "Vi invitiamo a trovare il vostro posto nella Chiesa integrandovi in una comunità cristiana per camminare con altri nella fede. Siamo pronti ad aiutarvi", afferma la lettera, assicurando che "questo compito di accompagnamento e di accoglienza resterà una preoccupazione pastorale".Pur evitando, per ora, di affrontare la spinosa questione della partecipazione alla comunione, la lettera ha avuto il merito di dare speranza e di animare una sorta di "terapia di gruppo", riuscendo a sottrarre le storie individuali – come è stato confermato durante l’incontro del 5 maggio - all’isolamento e al senso di solitudine. Ma essa ha anche suscitato forti attese di un riconoscimento da parte della Chiesa, spingendo alcuni ad esprimere la speranza che "le cose procedano più velocemente" e che "preti e vescovi abbiano il coraggio di andare più lontano di un semplice amore compassionevole". Quanto alla questione della comunione, la maggior parte dei divorziati risposati intervistati da La Croix ha affermato di non avervi mai rinunciato, sentendosi parte "non di un’assemblea di giusti, ma di peccatori perdonati", e di porsi "direttamente sotto lo sguardo di Dio". Per tutti loro, la soluzione avrebbe potuto essere rappresentata dalla richiesta di annullamento del vincolo matrimoniale, ma nessuno ci ha pensato, nessuno ha voluto negare l’esistenza di qualcosa che è esistito, in particolare se da quel vincolo sono nati dei figli. In ogni caso, il fallimento matrimoniale ha spesso cambiato il rapporto degli interessati con la propria fede: c’è chi vi si è avvicinato in modo più autentico, e chi se ne è allontanato, provando un "disamore" nei confronti di "questa Chiesa al di fuori del mondo e tagliata fuori dalla realtà". (ludovica eugenio)