mercoledì 30 maggio 2007

Un paese senza speranza

L'auto imbrocca la strada asfaltata che indica la direzione del paese adagiato sulla collina. Una strada stretta con l'erba ai lati che avanza rubando terreno al catrame che si sfalda.
Più avanti l'asfalto è solo un ricordo del tempo; la strada prosegue con ampi avvallamenti che costringono l'auto ad avanzare lentamente, inclinata da un lato, scossa. Un largo tornante e, proprio a qualche decina di metri dalle case, una frana blocca l'accesso. Come si fa a passare? Il conducente si gira, torcendo le spalle e la testa, e innesta la retromarcia. In effetti un po' più indietro, a lato della strada, si apre uno stretto anonimo passaggio di terra battuta, largo quanto basta per far passare una macchina. Da lì finalmente raggiunge il paese.
No, non è disabitato, qualcuno è seduto fuori dalla porta, alcuni negozi deserti sono aperti, c'è una piazza con automobili posteggiate.
Ma tutto l'insieme dà l'impressione di una grande stanchezza, di rinuncia, di attesa fatalistica.
Verrà il 2015, o forse il 2030 o un altro anno ancora e tutto cambierà. Ci saranno di nuovo ampie strade percorribili, la gente riacquisterà la sua vitalità; il paese rinascerà.
Ma tutto è raccontato monotonamente, come un sogno nel sogno. Impossibile credere che possa diventare realtà. Si preferisce ricordare un tempo migliore, un grande progetto di sviluppo irrealizzato, seduti sull'uscio si chiacchiera con l'ospite inatteso, lo straniero in automobile che si è preso la briga di arrivare fin lassù, dove il tempo sta chiudendo un sipario.

(sogno 30/5)

Un popolo, un paese, la singola persona, hanno bisogno di mete, per non implodere. Di un sogno da realizzare. La precarietà è come una bomba ad orologeria; trascina per una strada che parte dall'ansia e porta alla rassegnazione.

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