sabato 30 giugno 2007

La piazza più grande

Giovedì Santo.
Come in tanti paesi della Sicilia, nella piazza più grande si svolge la rappresentazione della morte di Gesù.
Ai lati della piazza e nelle strade adiacenti, le bancarelle vendono i dolci tipici, le ciambelle colorate di rosso, i pistacchi e i torroni, la pasta di mandorla e lo zucchero filato.
Ma la folla, ora, ha altro per la testa. Si dirige, più veloce dell'oscurità che inizia ad allungarsi, verso il centro della piazza dove lo spazio è dominato da un monumento bianco.
Viene chiamato il Calvario. Un piccolo tempietto con colonne che contiene una croce, ai suoi lati altre due.
E' lì davanti che è stato preparato il palco dove la compagnia teatrale rappresenterà l'agonia e la morte del Salvatore. La statua della Madonna Addolorata accompagna il figlio adagiato in un cataletto per "la Scesa della Croce", e poi farà il percorso inverso verso l'altare della deposizione.
Lo spazio aperto è enorme ma anche il numero di persone è imponente. Sembra che tutto il paese si sia radunato lì.
Suono di banda, rumori di voci, preghiere in cantilena con il rosario in mano.
"Mamma dove sei?" Mi sono distratto, confuso dalla confusione, ed ora intorno a me realizzo un mondo sconosciuto. Più che altro vedo gambe, perché ho quattro anni e l'altezza è quella che è.
Quanto tempo passa in questo limbo, mentre il movimento della folla comincia a trascinarmi in qualche imprecisato posto? Forse non più di un minuto.
A risvegliarmi dall' imbambolamento e da un'ansia crescente, un urlo.
E' la mamma che mi ha ritrovato e piange. Allora piango anch'io per empatia. Non so bene perché, ma se lei è spaventata lo sono anch'io. Ci abbracciamo, mi rassicuro, si rassicura.

(foto: Vittoria (RG) - piazza del Calvario)
Notizie sulla Pasqua in Sicilia e a Vittoria, qui.

mercoledì 27 giugno 2007

Vano d'ingresso

"Drrriiin", "Plin Plon", "Prrr"...
Il campanello suona, andiamo ad aprire la porta di casa.
Abbiamo inconsapevolmente già scelto il primo messaggio da dare al nostro ospite: il suono che lo annuncia.
Ma ora con un semplice passo, entra nella nostra abitazione, nel nostro territorio.
Il nostro saluto può essere più o meno formale, più o meno espansivo, dipende dalla confidenza e dalla conoscenza reciproca.
Comunque sia, inconsciamente e indistintamente lasciamo a tutti lo stesso messaggio non verbale. Quello che comunicano le pareti con il loro arredi, i colori, le luci, il pavimento.
L'ingresso è il luogo dell'accoglienza, per questo bisognerebbe dedicargli un'attenzione particolare. Si sa quanto, in un rapporto, i primi secondi siano fondamentali. Certo contribuiscono altre circostanze (la distanza reciproca, l'atteggiamento del corpo ecc.) ma anche la struttura dello spazio fisico.
Spazio, perché a volte l'abitazione ha un vero vano d'ingresso, ma altre volte si apre direttamente un corridoio e in altre soluzioni ci si immette subito in un soggiorno.
Ma pur piccolo o virtuale, c'è un'area dell'accoglienza. A questa possiamo dedicare la nostra attenzione, magari correggendo con il nostro intervento i difetti dell'architettura.
D'altronde il nostro ospite ci offre qualcosa di sé. Si sfila un cappotto, si toglie un cappello, ci affida la sua borsetta o forse l'ombrello bagnato.
Noi accettiamo questo qualcosa e ci impegniamo a custodirlo al meglio. In un guardaroba, in una cappelliera, nel porta-ombrello.
Ancora simboli, per abbassare la guardia, comunicare reciproca disponibilità all'ascolto che poi si concretizzerà da qualche altra parte. Si perché altrimenti, quella zona, davanti alla porta diventerebbe un invito a far presto, uno sbrigativo e superficiale modo per allontanare il nostro ospite.
C'è una luce accesa? Come illumina il nostro incontro? E' calda o fioca tanto da nascondere i nostri sentimenti? Siamo pronti a farci illuminare dalla persona che ci sta accanto? Siamo pronti ad illuminarla, nel caso che ci fosse richiesto?
Abbiamo scelto dei mobili nei dintorni dell'ingresso.
Possiamo chiederci cosa comunicano o cosa potrebbero comunicare.
Una libreria: ci sono le nostre conoscenze, i nostri pensieri, le nostre idee che si sono stratificate nel tempo e con le nostre esperienze. Siamo pronti a condividerle.
Una credenza: contiene ed espone i pezzi pregiati delle suppellettili. Sono quelli che vogliamo siano visti sempre, per primi. Gli abbiamo certamente dato un valore, un significato. Sono lì, forse per comunicare che vogliamo dare il meglio di noi stessi.
Uno specchio: apre nuove prospettive, altri punti di vista che entrambi possiamo esplorare.
La porta: deve garantire la sicurezza personale degli abitanti, per questo spesso è blindata. Ma cosa comunicano, se ci sono, gli eccessi di marchingegni e accrocchi meccanici, se non insicurezza e diffidenza. Forse è meglio scegliere un sistema sicuro ma discreto, che dia sicurezza.
Se invece c'è subito un lungo corridoio, proviamo a valorizzarlo, potrebbe significare il cammino che siamo disposti a percorrere insieme, possiamo scegliere con attenzione dei quadri e come illuminarli.

Per quanto mi riguarda, prima dell'ultimo trasloco nella casa che abito, abbiamo fatto una scelta precisa: aver sempre presenti le proprie radici.
Abbiamo dato
un nome a quel piccolo vano, l'abbiamo un po' pomposamente chiamato: "la stanza degli avi".
Per entrare in casa nostra bisogna attraversare il ricordo delle persone che ci hanno generato e che hanno dato spessore alla storia alla nostra vita.
A destra la macchina da cucire di Angela ricorda che anche nonna Salvina era sarta e subito sopra le foto, in cornice di radica, dei bisnonni siciliani e genovesi, più in là ancora ancora un ricordo di Toledo: il flicorno e il berretto della banda musicale. Di fronte, la pendola di nonno Luigi, e ancora il guardavì (l'armadio) della bisnonna Teresa.
La credenza proviene dalla Sicilia, dietro ai vetri raccoglie altri ricordi del passato: attrezzi da falegname, posate e piatti che risalgono al matrimonio dei nostri genitori e al nostro.
E infine per completare il viaggio, una cornice che racchiude vecchie foto dell'infanzia mia e di MariaTeresa.

Poi il viaggio, istantaneo, inconsapevole ma reale, continua in altre stanze, fino al momento del saluto, del commiato.
Tra poco la porta si chiuderà delicatamente alle spalle del nostro ospite, ma prima, nell'ingresso, lo spazio per un ultimo saluto. Si restituisce l'occorrente per affrontare l'esterno, si conferma la nostra accoglienza, attraverso il nostro commiato.

martedì 26 giugno 2007

Se io ho bisogno di te, non ti posso amare

Quando commettete un errore o vi sentite rifiutati, avvertite un vuoto tremendo. E' tale la solitudine, che vi mettete a strisciare, implorando quella droga chiamata incoraggiamento, accettazione, e continuate a restare sotto il controllo degli altri. Come uscirne? Avendo ingerito quella droga, avete perso la vostra capacità di amare. Sapete perchè? perchè non potete più vedere liberamente nessun essere umano. Vi limitate a prendere in considerazione soltanto il fatto che essi vi accettano oppure vi rifiutano, vi approvano o vi disapprovano. Li considerate una minaccia o un sostegno alla vostra droga.
...Dovete capire perchè non potete vivere senza il consenso degli altri. Volete amare gli altri? Morite per loro. Fate morire il vostro bisogno degli altri...
..Se non dovete più difendervi, da qualcuno, non avvertite la necessità di scusarsi. Nè di dare spiegazioni. Non dovete far colpo su nessuno. Sorvolate su quanto si dice o sipensa di voi. Non vi irrita affatto. Non vi preoccupa.
Allora l'amore inizierà. Se io ho bisogno di te, non ti posso amare.

(A. DeMello - Istruzioni di volo per aquile e polli)

sabato 23 giugno 2007

Vespe

Un pullman per una vacanza organizzata, che in realtà gira intorno all'isolato e ripassa sempre negli stessi posti.
In qualche modo, comunque, da qualche parte arriva perché i turisti scendono, si sistemano e il pullman viene parcheggiato.
Qualcuno nel frattempo, durante la sosta, lo ha visitato e messo sottosopra, lo ha utilizzato come una baracca per la roba vecchia. Ci sono assi di legno, cassette accatastate e si litiga per via di questo disordine.
Ma c'è fretta perché il pullman con i vacanzieri deve ripartire.
Si recuperano i bagagli e le borse, ma bisogna anche tirare giù una culla custodita nella nicchia sopra il portone.
E' in una posizione ingrata, troppo in alto. Bisogna aiutarsi con un bastone per spingerla fino al bordo e farla cadere.
Al primo movimento, due grosse vespe si alzano in volo. Un'ulteriore seccatura, colpirle col bastone per eliminarle; l'operazione riesce con una certa facilità.
Poi con un'ultimo strattone, in punta di piedi, la culla viene giù a terra.
Immediatamente una nuvola di vespe che avevano trasferito il loro nido all'interno, si riversano nell'aria. Sono furiose e sono migliaia.
Giusto una frazione di tempo per realizzare quello che è successo e le conseguenze possibili, poi a gambe levate una corsa disperata il più lontano possibile.

(sogno 22/6)

Uccidere due vespe è essere miopi. Giudicare senza prendere in considerazione la realtà intera. Accontentarsi delle apparenze.
Sembra più facile, più veloce. C'è fretta di fare qualcosa, si sta prigionieri dell'ansia di concludere.
Le conseguenze?
La grande fuga, salvate il salvabile, e va già bene se le circostanze permettono questa scorciatoia.

venerdì 22 giugno 2007

Agente segreto improvvisato

"Pronto, pronto chi mi sente?" dice, impugnando il bottone della camicia e portandolo alternativamente alla bocca e all'orecchio.
"Però è veramente un portento questo aggeggio, sento i canali 12, 18, 24..., deve esserci un campo di risonanza"
(sogno 19/6)

giovedì 21 giugno 2007

Gli incipit di Camilleri

Ai libri di Camilleri ho già dedicato un post, poche righe, dove lascio scoprire che l'incipit di molti suoi romanzi è legato alla notte e al risveglio.
In questi giorni è uscito "La pista di sabbia" (Sellerio editore).
Non volevo crederci, ma anche questo libro (ieri sera non riuscivo a prendere sonno allora ho letto fino alle due del mattino) inizia magicamente così:

Raprì l'occhi e di subito li richiuì.
Da tempo gli accapitava 'sta specie di rifiuto dell'arrisbiglio, che non era per prolungare qualichi sogno piacevole...

Adesso ho scoperto che c'è un fan club mi sa che mi iscrivo...

mercoledì 20 giugno 2007

Dolphin style

Sì, per leggere il mio blog bisogna aver voglia di "perdere" qualche minuto. E per giunta non basta. Bisogna proprio fermarsi, interrompere la corsa.
Per dirla alla Baricco, uso un mezzo per la navigazione in superficie (il blog) proponendo di scendere in profondità!
Sono consapevole di non essere nella scia del "cinguettio" twitter, forse potrei proporre il dolphin style, considerando che il delfino è capace di solcare grandi distanze orizzontali e nello stesso tempo scendere sotto la superficie dell'onda quanto basta per estraniarsi dai rumori della superficie.

venerdì 15 giugno 2007

Spazi in bianco

E' vero che scrivere a mano libera è sempre più raro, il computer ha relegato la scrittura con la penna ad un ruolo marginale, fra email, blog, chat, SMS...
Per chi, bene o male, si ricorda come si fa, e si è cimentato in esercizi di "bella scrittura" è più facile comprendere questa metafora.
Perché scrivere bene richiede tempo, impegno, ascetica; basta pensare al lavoro degli amanuensi nel medioevo, prima della scoperta della stampa.
Si può diventare così esperti da riuscire ad abbinare eccellenza e naturalezza.

Analogamente nella vita, nelle attività che facciamo mettiamo tutto il nostro impegno, proprio come un bravo calligrafo che si concentra sulle lettere delle parole che deve scrivere. Le eseguiamo con cura, in sequenza, una dopo l'altra. Riuscirci è (sarebbe) un grande risultato: eccellenza e naturalezza.

Ma cosa succede nello spazio tra una parola e l'altra?
Per quanto fitta possa essere la nostra scrittura, per quanto fitta la nostra capacità di riempire le giornate con cose da fare, tra l'una e l'altra si aprono inevitabilmente degli spazi in bianco a cui corrispondono dei tempi di latenza.

La latenza: è un momento di attesa, di sospensione. Ciò che siamo nel profondo emerge come una macchia di olio nell'acqua risale la superficie di in bicchiere.
E' il momento della verità ed è per questo che spesso cerchiamo di cancellarlo, di ignoralo concentrandoci subito sulla parola successiva.
Cos'è uno spazio in bianco, se non un vuoto, un niente da dimenticare.
Invece eccoli, pensieri labili, a volte sgradevoli, che riaffiorano, mentre si attende l'ascensore; in una distrazione della mente al semaforo prima di lamentarsi per la sua lungaggine; quando il fuoco della pentola non si decide a far bollire l'acqua della pasta; mentre si carica in memoria una pagina internet un po' lenta, ma non troppo.

Se sapessimo ascoltare gli spazi in bianco!
Quanto ci direbbero di noi, quanto potremmo conoscerci meglio.
Sapremmo che oltre le nostre piccole crudeltà, vendette, piccinerie, rimorsi, frustrazioni, rimpianti, infedeltà, c'è il campo delle nostre migliori risorse interiori. Ci aspetta.
Valorizzare gli spazi in bianco, esserne consapevoli, dilatarli quanto basta, stare in ascolto di se stessi: dare un senso alla vita.

L'idea del post è tratta dal libro "La strega di Portobello" di Paolo Coelho. L'esperienza di vivere negli spazi bianchi è quella della protagonista Athena.

giovedì 14 giugno 2007

Il cammino e la meta

Fondamentalismo: prendo la definizione su Wikipedia.

Per fondamentalismo si intende genericamente qualunque interpretazione letterale dogmatica di testi sacri (o loro equivalenti, fuori dell'ambito religioso) che assuma i relativi precetti a fondamenti (della religione, tipicamente) rifiutando ogni ideologia in contrasto con essi.

Fondamentalismo fa rima con integralismo e fanatismo.

Esprimere le proprie convinzioni forti, su argomenti come il senso della vita, Dio e l'Uomo, senza entrare in conflitto con chi ha maturato idee radicalmente diverse, è difficile!
Può sembrare un'impresa ardua conciliare la fede per valori "assoluti", cioè che si ritengono veri-sempre a prescindere dal tempo, dal contesto sociale e culturale, con il diffondersi di culture che si basano proprio sul "relativismo" dei valori.
A complicare un possibile dialogo, va aggiunto che i comportamenti "fondamentalisti" (per estensione del significato della parola) sono spesso regola anche nel campo "laicista".

Qualche giorno fa ho partecipato ad una conferenza, il cui tema era "il camino" [il pellegrinaggio verso Santiago di Compostela].
Molti, molti spunti su cui riflettere e un'intensa partecipazione dei relatori ne hanno fatto una impagabile serata.

Il cammino è per antonomasia la metafora della vita. Si presta bene a significare che la si può interpretare in modi diversi.
"L'importante è essere in cammino, non raggiungere una meta", dice qualcuno. "Senza meta rimane un vagabondaggio privo di senso" risponde l'altro.
E' il tema del Dubbio.
C'erano una volta le Certezze, poi arrivò il Dubbio, crebbe così tanto da diventare lui stesso valore fondante, totem della cultura contemporanea...
Eppure il dubbio è compagno, è amico, di ogni uomo. E' quella cosa che ti fa apprezzare le diversità, comprendere e condividere le difficoltà del prossimo, il dubbio è la condizione privilegiata di una vera ricerca interiore.

Un dialogo, alternativo al fondamentalismo, può essere sviluppato proponendo di fare un passo avanti, certo non uno indietro. Dalla Certezza, al Dubbio, dal Dubbio alla Domanda.
Durante il cammino, si convive con il dubbio della strada e con la certezza di desiderare una meta, di domandarla, a se stessi o a Dio, poco importa.

Dialogare, credere nel dialogo, per un credente, significa ammettere che la verità, pur essendo Una, si illumina agli occhi dell'umanità, un po' per volta, attraverso la freccia del tempo, i balbettii e gli errori del percorso.
Chi ci ascolta deve cogliere la volontà di voler costruire un futuro, non di ripristinare un passato: l'eldorado del Medioevo, quando al centro del pensiero c'era Dio.
In realtà non c'era Dio, c'era una sua imperfetta immagine.
Quale sarebbe la nostra comprensione del "senso della vita" senza il contributo dell'umanesimo, senza il romanticismo, senza il positivismo e tutte le altre correnti filosofiche che si sono succedute dopo il medioevo.
E così nel campo dell'arte. All'ispirazione totalmente religiosa, nella pittura, nella scultura, nella musica, si sono affiancare altre sensibilità che hanno valorizzato l'uomo, le sue attività, le sue opere, le sue passioni. E la scienza non sarebbe forse ancora condizionata dal compito di dover confermare l'ordine apparente della verità indicata dalla Bibbia?

Tutti gli uomini partecipano al piano di salvezza. Se si parte da questa consapevolezza, allora l'Oggi, che ci coglie in una fase di mutazione, l'oggi incluso-tutto, anche quello che ci appare come una involuzione del pensiero, come una negazione delle "Verità", è solo la premessa per un Domani in cui, abbandonati i sentieri perdenti, scartate le mete inconcludenti, saremo più ricchi di Domande.
Se è stato così negli ultimi duemila anni, perché mai non dovrebbe essere altrettanto vero per il futuro?
Non è un atteggiamento rinunciatario e passivo. Se dobbiamo farlo, proclamiamo ad alta voce i valori nei quali crediamo: "quella" pace, "quella" giustizia, "quel" uso della scienza, "quel" modello di famiglia, "quella" centralità della Vita, "quella" etica...ma facciamolo ascoltando, ascoltando, ascoltando, comprendendo, comprendendo, comprendendo. Affermando piuttosto che negando.

Chiudo, inevitabilmente, con un dubbio su quello che ho appena scritto.
Mi sono cimentato in discorsi un po' difficili, pur sapendo che da ingegnere del bit, mi manca la formazione e la competenza filosofica, teologica e letteraria, per utilizzare i termini corretti, le citazioni necessarie per valorizzare il pensiero, per nascondere i punti deboli. Se qualcuno "esperto" dovesse leggermi abbia comprensione e apprezzi lo spirito.

L'ho fatto più per mettere ordine ai miei pensieri che per rispondere a qualcuno; l'ho fatto perché in un blog di "come si cambia" interrogarsi sul cammino dell'uomo è centrale.
Il "camino" di Santiago deve essere una esperienza fenomenale, se percorso con l'atteggiamento giusto. Ho letto che chi parte viene, tra l'altro, equipaggiato con un libretto dalla copertina nera rigida e l'elastico per tenerlo chiuso, è il Moleskine il diario del viandante. Anch'io ne possiedo uno (più di uno); per me rappresenta, simbolicamente, la mia ricerca interiore, la disponibilità a cambiare, il mio cammino.

martedì 12 giugno 2007

La giada del Mesco

Detto, fatto.
Compleanno di Mariateresa festeggiato a Levanto. Scenario dominato dalla macchia mediterranea.
Non sai se a godere è più la vista o l'olfatto.




Sono in vendita

... a meno di due euro si può acquistare, direttamente su internet, un simpatico coleottero il cui nome è Trichinae (Trichini) della famiglia Trichius fasciatus.
Naturalmente il suo nome deriva dalla peluria. Tricos in greco sta per capello, pelo.
Qualche mio dispettoso "gene" non conosce bene le scienze naturalistiche così invece di una folta chioma, che si abbinerebbe bene con il significato del cognome, mi ha riservato una lucente pelata.
Nelle foto il simpatico insetto nel suo ambiente, si sparapanza godurioso in un fiore.

Ma sia ben chiaro se volete farmi una proposta di lavoro, il mio compenso non è altrettanto economico.

Cambiando genere, Trichinopoly è anche il nome di una città. Significa proprio città di Trichini. Si trova in India nel distretto di Madras e conta oltre 700.000 abitanti. Oggi si chiama Tiruchirapalli. Il suo nome, non è per celebrare l'autore di questo blog ma ricorda un eremita, San Theodor Trichinas, "il peloso". Così chiamato perchè indossava ruvide camice pelose. Visse vicino a Costantinopoli e si festeggia nel calendario il 20 Aprile.

sabato 9 giugno 2007

Sacrificio e religione

sacrificio e religione


Nel gioco degli scacchi, esiste una tecnica che si chiama sacrificio. Consiste in uno scambio volontario di un pezzo, di valore superiore, con uno di valore inferiore. E' una tattica che viene adottata con uno scopo ben preciso. Vincere! Per esempio: sacrificare la Donna in cambio di una Torre è conveniente se nelle mosse successive si ha la certezza di costruire una situazione per dare lo scacco matto!


Il sacrificio è definito come: «L'atto di rinunciare a qualcosa di valore per qualcosa di maggiore valore o importanza».

Infatti in questo esempio si paga un prezzo e si ha un ritorno.


Per quanto mi risulta l'idea di sacrificio è nata come legame fra un creatore e una creatura.
Si sacrificava qualcosa o qualcuno in cambio di una benevolenza divina (la pioggia, il raccolto, l'amore, la vittoria in guerra...)
Si ha il sacrificio quando ci sono un sacrificatore e un sacrificato che sono in rapporto dialettico tra loro.

Si dice:«Il sacrificio porta le benedizioni del cielo».


Oggi chi è ancora disposto a un sacrificio senza vedere il ritorno della sua fatica?

E' ancora sacrificio quando si paga un prezzo e il ritorno non c'è? Più che si sacrificio si potrebbe parlare di autolesionismo.


Allora sacrificarsi per avere la vita eterna, il paradiso, non è troppo vago? E' possibile aspettare di ricevere il premio in termini così differiti nel tempo, tanto da metterli fuori del tempo?
Non lo credo.
Nel gioco degli scacchi, sarebbe come pretendere di sacrificare la Donna, pensando di vincere la partita che viene dopo...
Oggi bisogna cercare le motivazioni morali, dentro la vita dell'uomo, non fuori.
Molti non-credenti ci insegnano che si può intimamente aderire a valori che portano con sè fatica e sacrificio, pur senza aspettarsi il premio del paradiso.
Figuriamo poi se qualcosa di analogo l'ha detto addirittura Gesù.
Sì perchè la sua promessa a chi decide di seguirlo è proprio questa...il centuplo su questa terra! (1)
La vita eterna è un di più che viene dopo.
Insomma, a questo punto della mia riflessione potrei sbilanciarmi: il sacrificio non è un valore! Tutt'al più è un mezzo, un traghetto per andare dall'altra parte del fiume. Una mossa per Vincere.
Qui vincere è trovare se stessi, il proprio posto, inseriti nella comunità delle persone che ci stanno intorno.

Sembra troppo teorico?
Non credo, io sto parlando della mia vita, di come sto cambiando, e di come non finisco di cambiare.

Nota (1): "In verità vi dico non c’è nessuno, che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva il centuplo adesso, in questo tempo, in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, con persecuzioni, [Lc dice: che non riceva molto di più in questo tempo] e la vita eterna nel secolo che viene" [Mc 10,29-30; parall. Mt 19,28-29; Lc 18,28-30].





venerdì 8 giugno 2007

Il mercato

Il Mercato Orientale
Circoscritto da alti palazzi, delimitato da cancelli, il mercato sembra una cittadella. Ci si avvicina superando pile di cassette vuote e capienti bidoni per i rifiuti da cui spuntano avanzi pungenti di carciofi e pomodori spappolati.
I banchi di vendita, uno accanto all'altro con le loro merci esposte in colorate composizioni o disordinati mucchi, a rispecchiare la personalità e lo stile di chi ci sta dietro.
Le coperture fatte di teloni per riparare dal sole e dall'acqua che si sovrappongono come bambini che si danno la mano per creare un enorme girotondo di tela.
I dialetti, le voci cacofoniche che richiamano all'acquisto delle migliori pere e melanzane.
Gli aromi delle spezie e dei formaggi stagionati, i profumi della frutta nostrana.
I borsellini che si aprono creando la danza delle monete e delle banconote, che scorrono fra le mani aprendosi e chiudendosi.
Le borse stracolme che ingombrano il passaggio ai vicini e impicciano il cammino.
Io non so più dove sono, girando in tondo in questo universo non so più orientarmi. Da dove siamo venuti, qual è la strada per ritornare a casa?
Oltre il cancello macchine posteggiate alla "come posso" dove caricare in fretta i sacchetti di carta e plastica.
Ci si allontana dalla cittadella con il carico del proprio bottino di guerra.
Alla mia destra papà Toledo, alla mia sinistra Mamma Salvina. Intanto continuo a giocare, saltando da una piastrella all'altra del pavimento stradale per non toccare le "righe".


Racconto suscitato da un sogno del 6/6

giovedì 7 giugno 2007

Sacrificio e fatica

Sacrificio si coniuga con fatica.
Descrive bene questo processo, Baricco ne "I barbari" quando cerca di inquadrare il diverso senso della vita che emerge, disordinatamente, tra le pieghe della vita quotidiana.

... voleva tramandare l'idea che l'uomo fosse capace di una tensione che lo spinge al di là della superficie del mondo e di se stesso. L'accesso al senso profondo delle cose prevedeva una fatica: tempo, erudizione, pazienza, applicazione, volontà. Si trattava letteralmente di andare in profondità... Aveva bisogno di sentirsi stanco, quel tour de force lo rendeva grande, sicuro di sè.

Ma dove è scritto che debba sempre rimanere così?
Non che si possa eliminare la fatica, ma perchè orientarla per andare in profondità? Questo, secondo Baricco, "dicono" i barbari. Perchè non spendere lo stesso tempo, lo stesso sforzo e lo stesso impegno per viaggiare in superficie? (Internet e l'importanza dei link, delle citazioni e dei rank rappresenta bene questa situazione).

A me viene da dire istintivamente "Io no!".
Io non baratto l'andare in profondità (e anche direzione opposta) con un viaggio orizzontale.
Io mi percepisco vivo in quanto riesco a leggere nel profondo di me stesso o contemplare in alto!

Ma la verità è che non è vero. Cioè non sempre è vero.
Io sono un contaminato.
Pretendere di non esserlo sarebbe negare la realtà.
Certamente è difficile. "Non viviamo nel migliore dei mondi possibili" mi scrive Giulio in un commento. Sì, ma è il nostro presente. Arroccarsi dietro una muraglia per difendere la cittadella è non solo inutile, ma si fa anche un cattivo servizio al futuro (ai nostri figli).

Dove c'è una rottura c'è un vuoto da colmare, "esserci" vuol dire partecipare con i propri valori a ridefinire un nuovo senso, trincerarsi è rinunciare.

L'idea di sacrificio e fatica è in mutazione.

martedì 5 giugno 2007

Rio in elicottero

Le foto sono del 1998, le ho scattate durante il mio primo e per ora ultimo volo in elicottero.
I piedi inquadrati nella foto sono i miei. E guardare in basso faceva un certo effetto...
Le immagini non sono granchè ma il ricordo è molto vivo e lo spettacolo mozzafiato ed esaltante.




venerdì 1 giugno 2007

Sacrificio e lavoro

Il sacrificio è un valore? Lo è mai stato?
Non voglio precipitarmi a tirare le conclusioni, ci voglio riflettere.
Non concluderò questo post con una mia risposta.

Intanto comincio pensando al mondo del lavoro. All'evoluzione degli imprenditori in Italia. Per ragione di età spariscono i vecchi capitalisti del dopoguerra. Quelli che partivano in bicicletta dal loro paesino e costruivano grandi imprese, quelli che sviluppavano dal niente un'idea vincente nella loro piccola officina. Erano quelli che, al lavoro, sacrificavano tutto nella vita, pretendevano tanto ma davano protezione, facevano da ombrello per quella che consideravano la loro famiglia: la loro azienda.
Oggi sembra che la competenza, ad alto livello direttivo, non sia più essenziale. Non devi eccellere nella conoscenza dei trasporti per guidare un'azienda di trasporti. Non devi essere un esperto di software per guidare un'azienda di informatica.
Devi far quadrare dei numeri. Quello che c'è sotto non conta: qualità del prodotto, servizio, reali esigenze del cliente: sono parole che si usano come stereotipi banali e scontati.
Alle spalle ci sono gli azionisti che hanno investito denaro. Lo zero virgola uno, in meno dell'obiettivo è un fallimento. Punto.
La capacità di relazionarsi con il proprio management è trascurabile. Diventano accettabili comportamenti al limite del mobbing, di minaccia, di emarginazione, di arroganza.
La parola sacrificio ha lo stesso significato per i manager di qualche decennio fa e per queste persone?
Non che prima ci fossero dei santi e ora dei diavoli. E' che è cambiata l'etica. Non c'è un percorso da sviluppare per raggiungere il successo, ma un risultato massimo da ottenere subito.

Dall'altra parte ci stanno i nuovi operai e impiegati, oggi un esercito precari o aspiranti tali. Anche per loro il significato di sacrificio deve essere cambiato.
Io appartengo ancora a quella generazione i cui genitori, sopravvissuti a una guerra mondiale, si sono rimboccate le maniche e hanno costruito un accettabile benessere per la loro famiglia. Hanno spronato i figli a studiare, per prendere un pezzo di carta, per acquisire competenze, per assicurarsi stabilità. Tu dai sempre il massimo, lavora dedicando tutte le tue capacità, in cambio avrai riconoscenza e il premio della continuità.
Faccio parte di quelle persone che quando sbagliano lo dicono ad alta voce: "Ho fatto una cazzata" e quando fanno bene si aspettano di sentirsi dire "Bravo!".

Sembrano due mondi inconciliabili.
Ma non mi sento la vocazione al fare Don Quijote de la Mancha e per questo penso che pur senza tradire i miei ideali (tanto non ne sarei capace neanche volendo) devo adattarmi.
Uso questa parola in senso evolutivo. In questo momento sto pensando ad un camaleonte che sfrutta il mimetismo per sopravvivere.

Da una parte "sacrificio come sofferenza temporanea prima di raggiungere la meta, la felicità"
Dall'altra "impossessarsi del successo a costo di qualsiasi sacrificio degli altri"
Ahime! Non è passato abbastanza tempo per poter verificare quanto sia sostenibile questo paradigma.