mercoledì 27 giugno 2007

Vano d'ingresso

"Drrriiin", "Plin Plon", "Prrr"...
Il campanello suona, andiamo ad aprire la porta di casa.
Abbiamo inconsapevolmente già scelto il primo messaggio da dare al nostro ospite: il suono che lo annuncia.
Ma ora con un semplice passo, entra nella nostra abitazione, nel nostro territorio.
Il nostro saluto può essere più o meno formale, più o meno espansivo, dipende dalla confidenza e dalla conoscenza reciproca.
Comunque sia, inconsciamente e indistintamente lasciamo a tutti lo stesso messaggio non verbale. Quello che comunicano le pareti con il loro arredi, i colori, le luci, il pavimento.
L'ingresso è il luogo dell'accoglienza, per questo bisognerebbe dedicargli un'attenzione particolare. Si sa quanto, in un rapporto, i primi secondi siano fondamentali. Certo contribuiscono altre circostanze (la distanza reciproca, l'atteggiamento del corpo ecc.) ma anche la struttura dello spazio fisico.
Spazio, perché a volte l'abitazione ha un vero vano d'ingresso, ma altre volte si apre direttamente un corridoio e in altre soluzioni ci si immette subito in un soggiorno.
Ma pur piccolo o virtuale, c'è un'area dell'accoglienza. A questa possiamo dedicare la nostra attenzione, magari correggendo con il nostro intervento i difetti dell'architettura.
D'altronde il nostro ospite ci offre qualcosa di sé. Si sfila un cappotto, si toglie un cappello, ci affida la sua borsetta o forse l'ombrello bagnato.
Noi accettiamo questo qualcosa e ci impegniamo a custodirlo al meglio. In un guardaroba, in una cappelliera, nel porta-ombrello.
Ancora simboli, per abbassare la guardia, comunicare reciproca disponibilità all'ascolto che poi si concretizzerà da qualche altra parte. Si perché altrimenti, quella zona, davanti alla porta diventerebbe un invito a far presto, uno sbrigativo e superficiale modo per allontanare il nostro ospite.
C'è una luce accesa? Come illumina il nostro incontro? E' calda o fioca tanto da nascondere i nostri sentimenti? Siamo pronti a farci illuminare dalla persona che ci sta accanto? Siamo pronti ad illuminarla, nel caso che ci fosse richiesto?
Abbiamo scelto dei mobili nei dintorni dell'ingresso.
Possiamo chiederci cosa comunicano o cosa potrebbero comunicare.
Una libreria: ci sono le nostre conoscenze, i nostri pensieri, le nostre idee che si sono stratificate nel tempo e con le nostre esperienze. Siamo pronti a condividerle.
Una credenza: contiene ed espone i pezzi pregiati delle suppellettili. Sono quelli che vogliamo siano visti sempre, per primi. Gli abbiamo certamente dato un valore, un significato. Sono lì, forse per comunicare che vogliamo dare il meglio di noi stessi.
Uno specchio: apre nuove prospettive, altri punti di vista che entrambi possiamo esplorare.
La porta: deve garantire la sicurezza personale degli abitanti, per questo spesso è blindata. Ma cosa comunicano, se ci sono, gli eccessi di marchingegni e accrocchi meccanici, se non insicurezza e diffidenza. Forse è meglio scegliere un sistema sicuro ma discreto, che dia sicurezza.
Se invece c'è subito un lungo corridoio, proviamo a valorizzarlo, potrebbe significare il cammino che siamo disposti a percorrere insieme, possiamo scegliere con attenzione dei quadri e come illuminarli.

Per quanto mi riguarda, prima dell'ultimo trasloco nella casa che abito, abbiamo fatto una scelta precisa: aver sempre presenti le proprie radici.
Abbiamo dato
un nome a quel piccolo vano, l'abbiamo un po' pomposamente chiamato: "la stanza degli avi".
Per entrare in casa nostra bisogna attraversare il ricordo delle persone che ci hanno generato e che hanno dato spessore alla storia alla nostra vita.
A destra la macchina da cucire di Angela ricorda che anche nonna Salvina era sarta e subito sopra le foto, in cornice di radica, dei bisnonni siciliani e genovesi, più in là ancora ancora un ricordo di Toledo: il flicorno e il berretto della banda musicale. Di fronte, la pendola di nonno Luigi, e ancora il guardavì (l'armadio) della bisnonna Teresa.
La credenza proviene dalla Sicilia, dietro ai vetri raccoglie altri ricordi del passato: attrezzi da falegname, posate e piatti che risalgono al matrimonio dei nostri genitori e al nostro.
E infine per completare il viaggio, una cornice che racchiude vecchie foto dell'infanzia mia e di MariaTeresa.

Poi il viaggio, istantaneo, inconsapevole ma reale, continua in altre stanze, fino al momento del saluto, del commiato.
Tra poco la porta si chiuderà delicatamente alle spalle del nostro ospite, ma prima, nell'ingresso, lo spazio per un ultimo saluto. Si restituisce l'occorrente per affrontare l'esterno, si conferma la nostra accoglienza, attraverso il nostro commiato.

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