lunedì 26 febbraio 2007

L'importanza del freno

La vecchia Cinquecento ha il freno a mano che non tiene. Quando già si conoscono le magagne, bisognerebbe essere prudenti.
Invece l'auto è posteggiata su una ripida discesa, in una strada che termina con un alto muro che delimita un orto.
Al volante, c'è un ragazzo adolescente, senza patente. Probabilmente gioca, sognando il giorno in cui potrà guidare veramente un'auto. Sicuramente è inconsapevole del pericolo. E infatti, qualche scossone di troppo e l'auto si mette in movimento prendendo progressivamente velocità. Panico.
Oramai il freno a mano non tiene più, è inutile continuare a tirarlo, ha completamente ceduto. Intervengo (ora al volante ci sono io in versione adulta) sullo sterzo girando con decisione il volante a destra e poi progressivamente tutto a sinistra. La macchina, prima rallenta la sua corsa, poi minacciando di ribaltarsi si ferma intraversata senza tuttavia schiantarsi contro il muro.

(Sogno 19/2)

Imparare a fermarsi è fondamentale. In questo sogno c'è voglia di lasciarsi andare ed effettivamente, con la fantasia, si può correre metaforicamente, come un pilota di rally, anche stando fermi.
Ma se la fantasia diventa realtà si sperimenta che la parte difficile non è "andare", ma piuttosto lo è "fermarsi". E' a quel punto che subentra anche la tecnica e l'esperienza accumulata.

L'ho provato con lo sci di fondo. Prima si impara a stare in piedi, a muoversi e, sembra di poter andare dovunque. C'è un binario scavato nella neve che ti protegge e vai.
Ma prima o dopo, una discesa con una forte pendenza, la trovi! Ti lasci andare e vai!
Ma prima o dopo, una discesa con una forte pendenza, che termina con una curva, la trovi!
E se la lezione per frenare e cambiare direzione (un colpo d'ala?) non l'hai ben assimilata, ti ritrovi aggrovigliato ad una rete di protezione arancione.

Volete sapere come ci si ferma con gli sci da fondo? Eccovi accontentati cliccare qui.

giovedì 22 febbraio 2007

Mettersi in gioco

Post scritto da Vollon-Brusson - Val d'Ayas (AO).
Grazie a collegamento tramite connect card.


Ieri siamo arrivati, ho rimesso ai piedi gli sci che avevo comprato lo scorso anno e mentre "quelli bravi" sono saliti sulle piste per le discese, io ho cominciato a sgranchire i muscoli con qualche chilometro di fondo.
Oggi però ho deciso di prenotare un'ora di lezione con un maestro.
Stefano ci sapeva proprio fare, sapeva incoraggiarmi e nello stesso tempo correggere gli errori nei movimenti.
Più che altro sono contento perchè a 53 anni mi sembra di essere capace di rimettermi sempre in gioco. Ho voglia di imparare cose nuove, di non fermarmi a quello che so fare.
Certo misurarsi con i cambiamenti vuol dire, rischiare qualcosa.
Nella fattispecie, significa che mi fa male l'osso sacro per un paio di "culate" in fondo alle discese.
Comunque vedo che chi mi sta intorno apprezza la mia tenacia.
Casco, mi lecco le ferite, poi torno indietro e ci riprovo...

mercoledì 21 febbraio 2007

Less Food Day

LESS FOOD DAY

Ci sono state in questi mesi molte iniziative lodevoli, in particolare penso alla giornata del 15 Ottobre, lo Stand-up dei blogger per richiamare i politici ai loro impegni per combattere la povertà; l'iniziativa dell'oscuramento, M'illumino di meno del 16 Febbraio, per sostenere gli accordi mondiali a favore dell'ambiente; il Vivere con lentezza del 19 Febbraio. Occasioni per mettere in rilievo esagerazioni della nostra cultura e segnalare un movimento di persone che desiderano cambiare.

Oggi 21 Febbraio 2007, c'è un'altra occasione per lasciare il nostro segno nella direzione di uno sviluppo attuabile, di una solidarietà verso i popoli del terzo mondo. Volontà di cambiare uno stile di vita affrettato e superficiale.

Propongo quindi una giornata mondiale nella quale si rifletta sul cibo. Appunto il "Less Food Day". Una giornata per non esagerare, mangiare giusto quanto basta.
Aderire è facile, basta decidere di rivedere al ribasso la normale non-dieta del giorno ed eliminare tutto quello che è superfluo o eccessivo.
Si può per un giorno rinunciare agli spizzichini e ai calorici aperitivi con i colleghi?
E quanto è difficile rinunciare ad una pasterella ripiena di cioccolata?
Lo spuntino di mezzogiorno finalizzato a ripristinare gli elementi necessari per continuare con efficenza la giornata lavorativa.
Cosa dire se per un giorno, uno solo, si facesse a meno, del caffè o addirittura se si rinunciasse per un giorno, alla carne. Dico così, come segno di rispetto verso tutti gli esseri viventi.
E se i tre, quattro euro risparmiati si devolvessero a una organizzazione no-profit di aiuto al terzo mondo, o all'AIDS o per una adozione a distanza?

Sono sicuro che per tante persone sensibili, sobrietà, austerità, astinenza dai cibi non sembreranno anacronistici, in questa società che fa del benessere e della sazietà il proprio vanto.
Non è per sperimentare una prodezza ascetica, né ostentare una «giustizia» a buon mercato, ma è segno di disponibilità. Astenersi dal cibo superfluo è dichiarare qual è l’unica cosa necessaria; è compiere un gesto veramente progressista nei confronti di una civiltà che in modo subdolo e martellante insinua sempre nuovi bisogni e crea nuove insoddisfazioni. Prendere le distanze dalle cose futili significa ricercare l’essenziale.

Si, è vero, non posso continuare a fingere. Oggi è il giorno delle Ceneri e questa pratica del digiuno viene riproposta ogni anno da tanti secoli a tutti i cristiani.
Ma per un giorno potremmo essere così ingenuamente trasparenti da lasciar cadere i pre-concetti e accogliere la saggezza di fondo di questa pratica.

lunedì 19 febbraio 2007

2000 Blogger italiani

Ebbene sì, non ho resistito all'idea di vedermi inserito in un manifesto con altri 1999 blogger italiani.
Al di là del numero dei lettori e dei commenti, delle classifiche e citazioni, ho preso gusto a scrivere. Potrei farlo anche in un diario di carta, ma ammettiamolo, così è più intrigante.

Naturalmente c'è anche MariaTeresa (Teresindelpigo). Chi ci conosce ci trovi.


2000 blogger italiani

Oggi festa di Va Lentino

  • Al lavoro, a piedi, ma mettendo la sveglia 5 minuti prima, in modo da poter andare lentino.
  • Ascoltare le persone che mi interpellano, con attenzione, lentamente.
  • Mangiare con calma, fra il resto fa bene alla mia ernia iatale!


sabato 17 febbraio 2007

Poche righe

Per fortuna i libri si leggono con la 'voce' della mente. Se non fosse così mi perderei una parte della magia dei libri di Camilleri.
Per me, siciliano che non sa parlare il dialetto, i personaggi dei suoi libri assumono il timbro delle voci e delle inflessioni dei miei genitori, delle zie, dei nonni.
Tutti con me si sforzavano di parlare italiano. In particolare il papà ci riusciva con ottimi risultati. La sua cadenza originale, assumeva quella tipica rotondità dei Siciliani colti che non hanno vergogna di rivelare le loro origini, ma ne sono fieri, ma il suo italiano era posato e fluente.
L'inflessione della mamma era invece più spigolosa, l'apertura delle vocali, il raddoppio delle consonanti davano il senso della sua terra, di chi ha avuto meno occasioni in gioventù per ingentilire i suoni. Solo quando doveva sgridarmi o darmi qualche punizione, i suoi propositi di parlare in italiano si inceppavano e il dialetto scorreva limpido, irruento, senza freni diventava genuino, generoso, franco.
Nei dialoghi fra di loro però si esprimevano nella maniera più naturale, quella della loro gioventù, e allora io ascoltavo e imparavo. Imparavo a capire senza essere capace di riprodurre i suoni per mancanza di esperienza.
Per questo, leggere ad alta voce una pagina di Camilleri sarebbe per me un tormento perchè immediatamente tradirei l'incapacità di parlare il dialetto, mentre nel silenzio della mia mente le stesse frasi scorrono veloci, ritrovano l'effetto originale, anzi sento la capacità di 'entrare' nel profondo della psicologia di quei personaggi.
Ho appena iniziato a leggere, "il colore del sole" e subito, dopo poche righe, ero già risucchiato in quel 'non so dove' dove abitano le letture che senti di amare.

Poche righe.
Forse sta qui la magia. Poche righe dove lo scrittore si gioca il rapporto con il lettore.
Sono andato davanti alla mia libreria, nella sezione dove tengo i libri di Camilleri. Sentivo istintivamente che doveva essereci qualcosa da scoprire.
Vi ripropongo qui sotto alcuni inizi di libri, senza svelare ciò che li lega. Lo lascio a chi legge questo mio 'post'.

A proposito come si può tradurre 'post' in siciliano? A me viene in mente 'pizzu' (da appizzare, affiggere). Se qualcuno ha una traduzione migliore, me la fa sapere?.

(Nell'immagine Punta Secca (RG) dove è ambientata la casa di Montalbano negli sceneggiati televisivi).

La voce del violino.
Che la giornata non sarebbe stata assolutamente cosa, il commissario Salvo Montalbano, se ne fece subito persuaso non appena raprì le persiane della càmmara da letto. Faceva ancora notte, per l'alba mancava perlomeno un'ora, però lo scuro era già meno fitto, bastevole a lasciar vedere il cielo coperto da dense nuvole d'acqua e, oltre la striscia chiara della spiaggia, il mare che pareva un cane pechinese.

Il birraio di Preston.
Era una notte che faceva spavento, veramente scantusa. Ad una truniata più scatascìante delle altre, che fece trimoliare i vetri delle finestre, si arrisbigliò con un salto.

Il giro di boa.
Nuttata fitusa, 'nfami, tutta un arremazzarsi, un votati e rivotati, un addrummisciti e un arrisbigliati, un susiti e un curcati.

Il cane di terracotta.
A stimare da come l'alba stava appresentandosi, la iurnata s'annunciava certamente smèusa, fatta cioè ora di botte di sole incaniato, ora di gelidi stizzicchi di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento.

La gita a Tindari.
Che fosse vigliante, se ne faceva capace dal fatto che la testa gli funzionava secondo logica e non seguendo l'assurdo labirinto del sogno, che sentiva il regolare sciabordio del mare, che un venticello di prim'alba trasìva dalla finestra spalancata.

La luna di carta.
La sveglia sonò, come tutte le mattine da un'anno a 'sta parti alle sette e mezza. Ma lui si era arrisbigliato una frazione di secunno prima dello squillo, era abbastato lo scatto della molla che mittiva in moto la soneria.

Le ali della sfinge.
Ma indove erano andate a finire quelle prime matinate nelle quali appena arrisbigliato, si sentiva attraversato da una speci di correnti di filicità pura, senza motivo?

mercoledì 14 febbraio 2007

Panini esotici

Diffidenza.
Un paese straniero con una cultura completamente differente in tutto, anche nel cibo.
Grandi, enormi vassoi dove sono ordinatamente impilati uno sopra l'altro sandwich e panini, come se fossero una grande area di un terminal di stoccaggio merci.
Suddivisi per gruppi omogenei a seconda del tipo di pane utilizzato, della forma del taglio e degli ingredienti usati per condire.
Io, diffidente per i colori inusuali delle verdure e delle salse che spuntano dai tramezzini, circospetto per gli odori estranei che emanano, sospettoso per la consistenza del cibo.
Guardingo verso l'ambiente sconosciuto, timoroso per le condizioni dell'igiene generale, malfidente verso le mani che si protendono per servirsi voracemente.
Anche quando mi ritrovo seduto al tavolino del ristorante, avverto una repulsione. Il mio collega-traduttore non c'è più, sono solo a tu per tu con un interlocutore che dice di chiamarsi G-e-n-e-s-i-s, col quale faccio fatica a scambiare poche parole in un inglese approssimativo. Temo che sia un hacker!
Viene servita carne di volatile, una specie di pollo che ingerisco a fatica, solo per rispettare l'etichetta.
Faccio qualche tentativo per uscire dalla situazione di isolamento. Ad un altro tavolo ci sono dei colleghi. Mi alzo e mi avvicino, ma loro sono indaffarati o stanno andando via, non mi concedono alcuna attenzione.
Ritorno al mio posto.

(Sogno del 14/2)
Un ricordo reale associato al tema del sogno.
Durante i miei veloci viaggi in Centro-Sud America, il contatto con i cibi locali è sempre un insieme di curiosità e diffidenza.
Fra il desiderio di nuove esperienze e la certezza che l'eccesso di novità finirà per scombussolare le capacità del mio metabolismo.
Alla fine, il ritorno alle mie abitudini alimentari mi rassicura sempre.


Più in generale non mi stupisce che il sogno evochi il bisogno di una mediazione valida da parte di un "traduttore", che sia presente e che spieghi, che introduca alle novità, che conosca i gusti, per salvaguardare dai cattivi sapori.
Ma comunque dopo le mediazioni e il tentativo di trovare altri appigli, arriva il momento in cui bisogna fare con le proprie forze e, Mr. Genesis sembra aver a che fare con lontane origini...
E, d'altronde, non è forse il cibo un bisogno primario, ancestrale?

martedì 13 febbraio 2007

Prigionieri o Criminali

Torno ancora su questo argomento dopo aver letto il libro di Tavella "Io prigioniero in Texas" e visto il film di Serafini "Texas 46".
Il comando americano esercitò delle pressioni verso i prigionieri italiani. Ci fu chi non accettò di collaborare e fu bollato come "criminal fascists".
Una dura etichetta, che al ritorno in Patria finì col danneggiare il futuro di alcuni di questi uomini. Etichetta applicata indistintamente a tutti anche se non sempre corrispondeva alla realtà del pensiero politico personale.
Intanto mi sembra utile precisare, sempre che io abbia interpretato bene le informazioni acquisite, che la richiesta di collaborazione fu rivolta agli ufficiali e non ai soldati (per esempio, mio papà era caporalmaggiore e non mi risulta abbia mai firmato atti di collaborazione, non per questo subì maltrattamenti; faveva parte dei gruppi che andavano a lavorare all'esterno dei campi e godeva di una certa libertà di movimento e di un buon trattamento).
Tra il film e il libro sembra esserci una discrepanza: erano consapevoli gli ufficiali italiani degli orrori del nazismo e del fascismo?
Nel primo caso sembra di no, sembra che nel loro giudizio dovevano solo fidarsi delle affermazioni dei comandanti americani, mentre il libro di Tavella racconta che ascoltando la radio e leggendo i quotidiani locali i nostri soldati ebbero la possibilità di farsi un'idea precisa dei campi di sterminio e delle pulizie etniche.

Allora quali furono le motivazioni che spinsero tanti ufficiali a non collaborare apertamente? La mia lettrice, che chiamerò A.G. perchè preferisce non essere identificata, sulle motivazioni che hanno spinto dei sicuri anti-fascisti a non firmare, a non collaborare, porta una tesi che a qualcuno ha dato fastidio. A me sembra invece molto plausibile e comprensibile psicologicamente cercando di calarsi nella realtà vissuta da quei ragazzi.
Non c'è alcun complotto e nessuna ignominia: questi ragazzi avevano in testa un solo pensiero fisso: ritornare alle loro famiglie d'origine, ritornare a casa vivi. Fra loro si formò un tacito patto di solidarietà, temevano che firmando si sarebbero ritrovati in un nuovo fronte di guerra, temevano un possibile finale diverso della guerra.
Comunque chiedere loro di fare delle scelte di parte, mentre erano in una condizione di inferiorità poteva apparire quantomeno coercitivo e umiliante.
Ci furono anche dei maltrattamenti? Dalla lettura del libro sembrano essere stati limitati a un razionamento dei viveri, nel film invece la sofferenza sembra più evidente e profonda.

Io propendo per un rispetto motivato per tutti, sia per coloro che hanno deciso in un senso, schierandosi subito con gli alleati, sia per quelli che hanno preferito ritardare il loro ritorno scontando una lunga prigionia.

sabato 10 febbraio 2007

Cinema di periferia

Come tutte le città, anche Genova era piena di cinema di periferia. Sale piene di fumo, poltroncine scolorite, invecchiate dal tempo. Tu entravi, per dire, alle tre del pomeriggio, sicuramente a film abbondantemente iniziato e uscivi quando volevi, rivedendo la pellicola più volte.
Nella sola delegazione di Nervi c'erano, il cinema Rosa e quello Verdi, l'Ambra e il parrocchiale di S.Siro.
Ma l'episodio che voglio raccontare è avvenuto a Bolzaneto, nell'allora cinema Verdi, nel dopoguerra, ed è raccontato da quella fabbrica di ricordi che è mio suocero, Luigi.

Non so che film si stesse proiettando, ma il cinema era zeppo di persone. Era una sala che doveva aver avuto una storia dignitosa nel passato, perchè era formato da una platea e una galleria. Doveva essere inverno perchè il protagonista è un cappotto.
Allora, immaginatevi la scena di un locale affollato di gente in piedi in tutti i settori, con quel caldo appiccicaticcio dovuto al sudore e alla mancanza di riciclo dell'aria, saturo di tabacco di tutte le miscele che si materializza nelle volute azzurre che passano davanti al proiettore.
A un certo punto un tonfo.
Dal piano rialzato una massa informe è caduta sotto, pesantemente.
Qualcuno si gira verso l'alto e apostrofa:
"L'è cheitu in cappottu". (E' caduto un cappotto). [mi raccomando: leggere con una profonda inflessione genovese].
Poi il cappotto si anima e spunta fuori un corpo un po' disarticolato, ma soprattutto spunta una voce che precisa:
"Oh belin, e sci, l'è cheitu in cappottu...cu Giuanne dentru". (E sì, è caduto un cappotto con il Giovanni dentro).
Storie d'altri tempi, ma non troppo, in saluto a Luigi che oggi, 10 Febbraio 2007, ha compiuto 91 anni.

venerdì 9 febbraio 2007

Autostrade

Nei miei sogni le autostrade sono veramente inaffidabili, si percorrono, ma poi ci si trova fuori senza averlo deciso, senza avvertimenti, senza attraversare caselli.

La guida procede apparentemente tranquilla in direzione di Milano, gli Appennini sono alle spalle e davanti c'è la pianura contornata da basse colline.
Invece inspiegabilmente la carreggiata si restringe, curve e controcurve si alternano in un paesaggio di aperta campagna, finchè la strada, addirittura, incrocia una arteria più grande e riprende oltre, tra pioppeti e canali d'acqua per l'irrigazione.
Finalmente un casolare, con un ampio cortile ombreggiato da alti alberi frondosi. Un agriturismo. Mi fermo, accosto, entro per chiedere informazioni.
"Autostrada? Si c'è un progetto" Mi dice indicandomi un cartellone già scolorito, appeso alla parete, "per aprire un casello proprio qui vicino. Per il momento, se lei vuole entrare in autostrada deve fare parecchia strada e attraversare quelle colline laggiù".

(Sogno del 5/2)

Un'autostrada è un percorso ben definito, organizzato, prevedibile, pianificabile. "Vai liscio come su un'autostrada" si dice. In realtà, per tanti, l'autostrada è come una trappola, fonte di ansia claustrofobica. Una coda in autostrada è decisamente meno sopportabile rispetto a una coda fuori, e non solo, viaggiare in autostrada aumenta i pericoli dovuti alla velocità e alla distrazione.
Vuoi mettere che differenza per la qualità per della vita, percorrere una strada che attraversa la campagna; moderare la velocità per guardarti intorno e tenere il finestrino aperto per respirare profondamente gli odori; fermarti in una trattoria per improvvisare un pranzo rustico.
Si è vero, spesso non è praticabile: il tempo, gli appuntamenti, la produttività, le consegne, gli ordini, la globalizzazione... Ma almeno nei sogni! Che l'inconscio si possa prendere una rivincita per segnalare il bisogno interiore di rispetatre altre priorità: meno efficenza e più creatività!

mercoledì 7 febbraio 2007

La parata del portiere

Lo scenario è quello di un campo di periferia; una partita di calcio fra due squadre amatoriali.
Il mio protagonista è il portiere. Me lo vedo inquadrato di fronte, un giovane ragazzo, con un cappellino in testa, la divisa scura. Saltella seguendo attentamente l'azione e spostandosi un po' a destra un po' a sinistra per farsi trovare pronto all'evenienza.
Ad un certo punto i suoi movimenti si fanno più tesi, continua a saltellare ma i muscoli sono pronti a scattare come una molla. L'azione degli avversari si sta avvicinando, la difesa ripiega verso di lui a dar manforte.
Il colpo del piede contro il pallone è secco, la traiettoria sopra le teste scavalca i tentativi di opporsi al tiro. La palla arriva veloce alla sua altezza, e lui scatta. Il suo corpo si distende in volo, esteticamente fluido, le mani fasciate dai guanti incrociano la traiettoria del proiettile e brancano la presa senza possibilità di farselo sfuggire incautamente. Poi il corpo vinto dalla gravità ritorna a terra in bello stile.
"Parata!" E' quello che esprime il suo volto con gli occhi che brillano. Un compagno si avvicina, ha qualche anno più di lui. Il suo volto è disteso, la mano si allunga verso la spalla del ragazzo mentre commenta l'accaduto:" Coraggio, se solo fossi stato un passo più avanti, sarebbe stata una parata spettacolare. Peccato, sarà per la prossima volta, però tu impara ad avere il senso della linea di porta".

(Sogno del 2/2)

E' bello avere vicino a sè qualcuno che sa guardare oltre ad un risultato negativo, cogliendo e valorizzando gli elementi che possono aiutare a crescere.
Penso ai figli adolescenti e pure ai loro genitori.

lunedì 5 febbraio 2007

Luce soffusa

Il vecchio padre giace sul letto. Nell'atmosfera soffusa della camera, la luce bianca dell' abajour, poggiata sul comodino, si riflette sull'ordinato lenzuolo bianco che copre il corpo dell'anziano uomo. Si rischiarono le figure dei tre figli che stando attorno a lui in quel misto di colori al confine fra l'ombra e la luce; stanno assistendo al suo passaggio.
Uno dei tre si stacca dagli altri e si avvicina fino a poter sussurrare nell'orecchio del genitore, come ad abbracciarlo con tutto il corpo con la sua voce, gli sussurra: "Papà, è vero, abbiamo parlato poco tra noi, ma ti voglio bene. Finalmente posso dire che ti conosco, ho penetrato il tuo cuore oltre le non-parole. Tu oramai sei dentro di me per sempre".
Suona così, come un lasciapassare, uno sdoganamento, come se dalle sue labbra dovesse partire il permesso per poter morire, ed ora è il momento. Piangono insieme senza vergogna, lacrime di libertà.

(Sogno del 1/2)

Riconciliarsi nel profondo con i propri genitori è una esperienza che va al di là del tempo, passato e futuro si abbracciano e si fondono fino a confondersi fra loro.

sabato 3 febbraio 2007

Foto di gruppo

"Tanto va così, ti accorgi che la vita è una foto di gruppo, molti posano, ...nell'attesa del motivo che ci accomuna dentro la cornice".
Così recita il testo di una canzone rap di Bassi Maestro.

Ecco, la foto di gruppo: un motivo che ci accumuna dentro la cornice. A volte profondo, a volte banale, a volte
indelebile, a volte temporaneo, altre volte casuale.

Un motivo che ci accomuna?
Una associazione sportiva, o la partita fra colleghi.
Il bianco e nero della propria classe scolastica, una lavagnetta in mano.
La recita di fine anno dell'asilo dove una fila di bambini spuntano dai bordi sgualciti della carta.
I volti concentrati di un coro.
Le facce stralunate di una festa di compleanno.
Il gruppo amici (o gruppo parenti) all'uscita di chiesa dopo un matrimonio.
Il pullman e i suoi temporanei abitanti di un viaggio organizzato.
Le gote rosse in cima alla vetta durante una gita in montagna.
I sorrisi fotocopie di ragazze a un concorso di bellezza.

Sì, nelle foto di gruppo si sorride, e anche se qualche volta riesce male, ci si prova. "Ciiiiiiis"
Anche se dietro c'è una malattia, uno sconforto, un'invidia, una stanchezza, un rancore.
"Ciiiiiis". Che rimanga nel tempo il nostro imperituro sorriso.

Ma che effetto fa guardare una foto di gruppo?
Dipende! Indifferenza, lontananza, nostalgia, rimpianto, ricordi, tenerezza, emozione, rabbia, orgoglio, repulsione.

Che magia se le figurine stampate sulla superficie di quel rettangolo di carta, prendessero vita!
In realtà è quello che succede nella fantasia di chi le tiene in mano, le rigira, concentra lo sguardo sulla singola figura.


Qualche volta però riportare alla realtà i personaggi potrebbe essere deludente.
La freschezza del ricordo si sciuperebbe al contatto con il logorio provocato dal tempo trascorso, dai cambiamenti subentrati negli altri e in noi.
Qualche volta riportare alla vita presente quelle persone funziona, altre volte è meglio lasciarle dove sono, nei ricordi. Che la cornice rimanga a delimitare il loro confine.

venerdì 2 febbraio 2007

Vivere con Lentezza

Vivere con lentezza.
Eccomi col sedere per terra. Lo potrei "dar da bere" solo a chi non mi conosce che io ne sono capace. Anche se negli ultimi anni, l'ansia di fare presto e di arrivare primo è calata, ho la consapevolezza di avere ancora molti margini di miglioramento.

C'è una associazione con questi fini (link al sito):

"L'Arte di Vivere con Lentezza non propone filtri magici nè soluzioni a tutti mali, ma ci accoglie e ci invita a riflettere sui tempi giusti. L'obiettivo è riappropriarsi del tempo, gustarlo e renderlo più utile, perchè vivere con lentezza non significa oziare, ma trovare un equilibrio. Nella fretta del quotidiano perdiamo la capacità di concentrarci su ciò che stiamo facendo ora e di goderne. Dedicare tempo alla lentezza significa essere più efficienti quando è necessario, meno stressati e in grado di produrre di più".

Naturalmente mi viene in mente il motto africano: "Voi avete l'orologio, noi il tempo"

Molto interessante la pagina con la recensione di libri che pur affrontando argomenti fra loro differenti hanno in comune l'obiettivo di rivalutare l'uso del tempo.
La prossima iniziativa è la

GIORNATA DELLA LENTEZZA

19 FEBBRAIO 2007


Rallentare per vivere meglio e gustare la vita, il lavoro, i rapporti umani.

“La giornata è dedicata a quanti hanno la prepotente sensazione che il mondo giri troppo in fretta per rimanervi in equilibrio; un equilibrio che diventa sempre più precario per chi vive e lavora nelle nostre città, assecondando tempi tiranni con sforzi disumani”, dichiara Bruno Contigiani, presidente dell’Associazione L’Arte del Vivere con Lentezza (www.vivereconlentezza.it). “Non è necessario fermare il mondo e cercare di scendere: rallentare e riappropriarci del nostro tempo è possibile partendo da gesti anche piccolissimi del quotidiano, cosa che proponiamo di iniziare a fare dal prossimo 19 febbraio alle persone che riconoscono nell’affanno la regola delle proprie giornate”.

Aderisco a questa iniziativa.