lunedì 28 settembre 2009

adagio adagio verso una fontana



"Buon giorno", disse il piccolo principe. "Buon giorno" disse il mercante. Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più' il bisogno di bere.
"Perché' vendi questa roba?" disse il piccolo principe. "E' una grossa economia di tempo" disse il mercante. "Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatre minuti la settimana". "E che cosa se ne fa di questi cinquantatre minuti?" "Se ne fa quel che si vuole..." "Io", disse il piccolo principe, "se avessi cinquantatre minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana..."

Chiedo a me stesso: "perché spesso devo fare tutto affannosamente?" Di certo l'ansia non migliora le prestazioni, anzi paralizza, offusca la mente, banalizza ogni cosa.


Rallentare i ritmi significherebbe dare spazio a sentimenti d'amore nei confronti di posti e persone che sono rimaste sepolte e apparentemente non hanno più spazio nei ricordi della mente.
Ho letto che c'è un legame inseparabile fra lentezza e memoria e fra velocità e oblio.
Significa che ciò che fai lentamente rimane indelebile nella memoria, potrai recuperarlo, gustarlo di nuovo, godere di ciò che è stato. Ciò che fai di fretta invece sparisce nell'annichilimento di un legame fra neuroni che non si fisserà mai.

Nel post precedente parlavo del bambino interiore, e ancora pochi giorni fa dell'importanza degli spazi in bianco. Queste cose sono legate fra loro.

Il bambino interiore attende di essere liberato dagli schemi che l'adulto gli ha confezionato addosso, ma per farlo deve accorgersi degli spazi in bianco.
Gli spazi in bianco sono quella cosa che dà il sapore alle cose della vita, per capirlo bisogna pensare alle pause fra le parole, alle virgole, all'importanza del silenzio nella musica.

Per accostarsi agli spazi in bianco bisogna rallentare, andare adagio adagio verso la fontana, come suggerisce il Piccolo Principe.

Oppure come Momo, in un bellissimo libro di Michael Ende, riprendersi il tempo che gli uomini grigi ci rubano con il pretesto di farci "risparmiare tempo".

Mangialegnate

Dicono che c'è dentro di noi c'è un bambino interiore.
E' la parte vitale di noi che sa godere della vita, che riconosce gli aspetti ironici nelle difficoltà, che guarda al futuro con speranza, che crede nelle cose "invisibili", che ha fede.

Il mio bambino interiore ha anche un nome: Enzo-Mangialegnate.
Ho già scritto di lui nel settembre del 2005.

Poche sere fa i miei figlioloni mi hanno visto rientrare a casa dal lavoro, stanco e giù di morale. Non so perchè mi hanno apostrofato: "Ehi ci racconti di nuovo di Mangialegnate?"
Il ricordo ha contribuito ad alleviare le ferite...

E' un soprannome che mi aveva dato la mamma Salvina perchè, per placare la mia irruenza, la vivacità eccessiva e i troppi capricci, non trovava evidentemnete altro metodo se non assestare qualche scapaccione "dove va, va".
Dopodichè quando la pace tornava, in uno dei tanti momenti di tenerezza, mi chiedeva: "Come ti chiami?" e io rispondevo "Enzo Mangialegnate".
Tra le performance vantate ci sono: un'ascia sulla fronte (è vero, ho ancora una piccola cicatrice); topi morti raccattati per strada e trascinati in casa; principio di incendio nel forno.
Quando ci siamo trasferiti a Genova, avevo poco meno di 5 anni", quel bambino si è ritirato da qualche parte lasciando spazio a un ragazzino timido, con tante paure, "buonino buonino".

Ma Enzo Mangialegnate c'è e quando viene fuori è il benvenuto, è l'altro lato, non-oscuro, di un rispettabile dirigente sempre disponibile, affidabile ed equilibrato.

giovedì 24 settembre 2009

S.Nicolas

Le lenzuola stese sono sempre un bel vedere.
Qui siamoa S.Nicolas (AO) Agosto 2009.

Notizie dalla costa d'Avorio

Ecco l'equipe di persone che lavorano al dispensario di Man, in Costa d'Avorio.
La presentazione è fatta direttamente da Carlo, estratta dalla chat di skype.




















Carlo: a sinistra il + piccolo é Arsene, un infermiere, molto caro, accanto a lui + grande Luc, il laboratorista; davanti a me una ragazza svizzera di passaggio Alina inseriva i dati nel PC e dava i farmaci; accanto a lei la + giovane: Benedicte che ci aiutava durante le vacanze, dietro di lei Marcelle, idem (laureata in diritto);
Io: sempre belle facce.
Carlo: accanto un po' seria: Juliette, una signora che segue la parte di igiene del laboratorio e in generale del dispensario; l'uomo che guarda a sinistra é Emile, da sempre con noi: il nostro farmacista; dietro c'é Rita una focolarina nigeriana infermiera, accanto la seconda laboratorista: Nina (sorride); in primo piano, un po' robusta Marie, che fa le traduzioni in studio con me. Dietro il + alto é il Dr salgare, della Guinea, mussulmano.
Io: questo è sui trampoli?
Carlo: no é alto... lui; sotto, piccolina e un po' seria Madelaine, aiuta coi bambini piccoli e traduce e l'ultima a destra: Triphonie, focolarina infermiera; mancava qualcuno che era in vacanza.
Io: wou che squadra, pensi che posso pubblicare la foto e i nomi sul mio blog nei prossimi giorni?
Carlo: siiii certto! Hai visto quanti? Ma mi sembra ci vogliono per fare il servizio che facciamo.
Io: siete forti
Carlo: sai lavoriamo volentieri insieme.

domenica 20 settembre 2009

Fico d'India

Il nonno tornava dalla campagna col carretto. Lo sentivo arrivare e lo aspettavo sulla porta di casa. Lui mi sorrideva e mi faceva vedere il secchio di latta colmo di succosi fichi d'india color carminio. Sceglieva i più belli e me li sbucciava con le mani nude e callose.

Pause e spazi bianchi

"Se tutte le parole fossero unite, non avrebbero senso, oppure la loro comprensione sarebbe molto più complicata: e' necessario che vi siano degli spazi"....

"..la musica esiste solo perché ci sono le pause. Le frasi vivono soltanto perché ci sono gli spazi in bianco. Quando sto facendo qualcosa mi sento completa,realizzata....nel momento in cui mi fermo capisco che manca qualcosa.... "

P.Coelho "La strega di Portobello"


Vivere gli spazi bianchi della vita, vuol dire vivere quel sottile respiro che intercorre tra una parola e la successiva.
Ho sentito dire che l'alfabeto ebraico è fatto di consonanti
e che il significato delle parole cambia in base al respiro, al soffio con cui vengono pronunciate.

Cosa sono le pause tra una parola e l'altra? Cosa i silenzi tra una nota e l'altra?

Chi ha fretta non lo sa perché è troppo impegnato a rincorrere il futuro.

Chi è sovraccarico d'ansia non lo sa perché fa di tutto per evitare quelle brevi soste. Ha bisogno di riempire di qualsiasi cosa ogni istante. E' facile in fondo.

Nel momento in cui si dovesse fermare rischierebbe di capire che manca qualcosa per realizzare il suo cammino.

Chi legge davanti ad un pubblico presto si rende conto di quanto siano importanti i silenzi, del valore delle virgole, dei punti e virgola dei due punti.
Chi suona uno strumento musicale sa che l'espressione e l'intensità della sua esecuzione dipendono in tanta misura dalle pause, dalla capacità di fermarsi e ripartire: ricerca la maggiore efficacia nel brivido che una pausa crea in chi ascolta.

Ma cosa sono le pause? Cosa succeda in una pausa?
Anche l'universo, che una volta si pensava fosse "un continuo", è fatto in realtà di pause e di spazi.
Spazi inimmaginabili fra le galassie, spazi inimmaginabili nell' infinitesimo.
Esiste addirittura un teorema, cosiddetto, di indeterminazione: un breve regno dell'incertezza, dove velocità, spazio, energia, non sono più definibili e possono assumere qualsiasi valore. Dove la materia potrebbe essere qui o da un'altra parte, essere inerte o esageratamente potente.

Cosa succede nelle pause? Cos'è quel sottile respiro?

Dove trovare il coraggio di fermarsi per un tempo non definito a priori, ad ascoltare i rumori più piccoli o cogliere le variazioni di luce?
Come giustificare l'idea di lasciare scorrere il tempo davanti ad un altare nel silenzio di una navata, senza preghiere da recitare, senza scritti da leggere?
Come recuperare gli spazi di una giornata che comincia col malumore di doversi alzare e termina la sua folle corsa solo quando lo sfinimento costringe a svenire nel sonno?

Paura di ascoltare il rumoroso e silenzioso risalire delle proprie istanze interiori ?
Paura di confrontarsi con i perché mai abbastanza sepolti?

Ci vuole coraggio: spegnere la TV; spegnere il computer; non basta per dare spazio agli spazi. Chiudere il libro, chiudere la bocca, fermare le preoccupazioni, le recriminazioni, spostare le passioni.

Cosa manca nelle cose che sto facendo? Dove mai avrò nascosto il mio tesoro per non ricordare più dov'è?

Quello spazio infinitesimo che riesco a ritagliarmi, quanti principi di indeterminazione contiene?
Sono quello che volevo essere?
Quello che volevo essere valeva la pena di essere inseguito?
Quali energie possono esplodere in una pausa?
Quale verità sul valore della vita può emergere? A quali compromessi avrò il coraggio di rinunciare?

E' passato meno di un battito di ciglio, meno del tempo necessario a inspirare l'aria nei polmoni.
Il semplice spazio di una virgola, di una pausa di biscroma prima della battuta successiva.
Ho navigato tra le galassie della mia anima.

martedì 15 settembre 2009

L'estate sta finendo...

...meno male.

E' stata una brutta stagione:
troppe persone vicine che non ci sono più; ferie interrotte; tanta voglia di riposo rimasta insoddisfatta; un familiare che ha perso il lavoro; la crisi che potrebbe lasciare altre ferite.

Troppo!

Meglio guardare avanti alla prossima stagione.

lunedì 14 settembre 2009

Globalità è out

La parola Globalità aveva smesso di avere su di me il suo fascino, già da qualche anno. E' stata abusata più è più volte: prima il "villaggio globale" nato grazie ai voli aerei intercontinentali e alle potenzialità delle telecomunicazioni; poi è stata l'economia a diventare globale con l'invenzione della produzione "just in time", delle mega acquisizioni, delle delocalizzazioni.
Ma naturalmente grande è la distribuzione; globali sono gli eventi culturali e sportivi; globale è il surriscaldamento della terra, pure la contestazione è globale o al massimo no-global.
Grande è bello! Più grande è più bello ancora.
C'è qualcosa di frustrante e di insopportabilmente retorico in questa grandezza costruita sulla scommessa dell'espansione inesauribile.
Per quanto mi riguarda, la crisi finanziaria-economica-produttiva-occupazionale ha reso questa parola definitivamente out.

Però attenzione, se dici che "piccolo è bello" sei un incompetente; allora meglio ridurre ulteriormente il raggio fino al limite molecolare dove comincia il regno delle nano-tecnologie.
Perchè non sognare il nano-mercato, la nano-art (questa credo che l'abbiano già inventata); la nano-comunicazione, la nano-impresa, la nano-politica, la nano-finanza?
In fondo in natura le cose funzionano spesso così: nano-trasformazioni, una accanto all'altra, legate fra di loro per raggiungere un fine comune.
Penso alla funzione clorofilliana delle foglie, di come è in grado di produrre energia. Ma ve lo immaginate un albero con una centrale energetica centralizzata?
Penso alla struttura del DNA che contiene racchiuso in sé il segreto della vita e alle cellule. Ci sarà un motivo se la natura non si è evoluta scrivendo il codice della vita in una memoria centralizzata piazzata fa le costole e i polmoni, no?

E pensare che il concetto di globalità c'è da molto prima della rivoluzione industriale e con un significato per niente asfissiante.
Il termine "cattolico" con cui si distingue la religione cattolica viene dal greco katholikos e significa "generale" o "universale".
Sta a significare che non ci sono privilegiati, non ci sono popoli superiori né tanto meno razze inferiori; che la salvezza, cioè il bene e il meglio, è per ogni uomo indistintamente.