martedì 20 marzo 2012

Il Cristo Zen - l'importanza di non fare confusione

Metto nella lista dei prossimi acquisti di libri: Il Cristo Zen di Raul Montanari.

Dalla recensione pubblicata su Famiglia Cristiana.it  fisso qui sotto alcuni spunti di riflessione.



Ma che cos’è Il Cristo Zen? Davanti a un titolo così provocatorio sorge il timore dell’ennesimo passato di verdura del pensiero dove tutto è uguale a tutto, e quindi non occorre credere a nulla. Timore presto fugato all’ampia introduzione, dove Montanari mette ben in chiaro le irriducibili differenze tra le due tradizioni religiose. Eppure alcune somiglianze continuano a restare. E forse significa che non occorre rivolgersi all’Estremo Oriente per trovare una sapienza che abbiamo sempre avuto in casa.
...Nell’introduzione ti definisci “ateo cristiano e cattolico”. Cosa significa? 
«Ci sono due tipi di ateo: quello che decide di ignorare il problema e quello che se lo pone. Io appartengo alla seconda categoria, perché nella mia storia personale la perdita della fede è stata traumatica e molto dolorosa. Non ho mai cessato di interessarmi alle religioni sotto due aspetti. Il primo è quello culturale e narrativo, perché la religione è innanzi tutto narrazione e anche qualora perdesse la sua anima – come accadde per i miti greci – permangono le sue ossa, cioè il suo scheletro narrativo. Il secondo aspetto è la fede: io posso anche non credere in Dio, ma – a meno che non mi procuri in maniera artificiosa una forma di ottundimento o accecamento – non posso ignorare che la fede agisce negli uomini come dato storico, sociale, geografico, psicologico, sociologico...
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Veniamo al tuo progetto. Le differenze tra Gesù e i maestri zen sono piuttosto evidenti...
«Naturalmente. La prima affermazione inconciliabile è quella della propria natura divina, idea che non ha mai sfiorato neppure lontanamente il Buddha, nonostante scuole a lui successive lo abbiano divinizzato. La seconda differenza è l’affermazione dell’identità personale dopo la morte. Noi temiamo la morte in quanto fine di un’identità personale. Nelle scuola zen si parla non di liberazione dell’io, ma di liberazione dall’io. 

E le somiglianze, quali sarebbero? 
«Innanzi tutto c’è lo spostamento della battaglia nell’interiorità dell’uomo: un tratto già presente nel giudaismo delle origini, ma Gesù – proprio come Buddha e i maestri zen – si oppone al formalismo religioso in maniera ancora più chiara. Ci sono molte espressioni sovrapponibili di questi due giovani riformatori religiosi, moderati e mai iconoclasti, che aprono una dicotomia tra l’interiorità come luogo della verità e l’esteriorità quale luogo dell’inganno.
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Sottolinei poi un altro aspetto: l’intuizione emotiva.
«Sì. La seconda analogia è la rivendicazione della superiorità dell’aspetto emotivo su quello logico-intellettuale. Tanto Gesù come Buddha dicono che il Regno dei cieli è dei bambini e degli ignoranti, e che il dato della passionalità e dell’abbandono alla fede travalica la comprensione della legge. In entrambe le predicazioni si mette in guardia dal rischio della speculazione intellettualistica che finisce per non produrre il salto di mentalità, cioè il salto della fede. Si può capire, ma solo fino a un certo punto. Sono due aspetti che trovo molto attuali».
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