sabato 31 dicembre 2005

Una spirale di luce

Io non ho mai studiato storia dell’arte. Per questo motivo il mio approccio alle opere d’arte è piuttosto istintuale. Nei due giorni che ho appena trascorso a Parma, mi sono imbattuto nelle opere del Correggio. Vi racconto l’approccio con l’affresco “l’Assunzione della Vergine”, nel duomo.


L’affresco mi appare altissimo sulla volta e mi dà subito un senso di vertigine al quale non sono capace di dare una spiegazione, il corpo con la testa piegata all’insù ruota cercando di individuare un punto di riferimento fisso dal quale procedere per cogliere i particolari; il risultato è quello di accrescere ulteriormente il senso di vertigine.
Poi l’attenzione è catturata dalla figura centrale circondata da un bagliore di luce; un corpo in una posa un po’ disarticolata, inquadrato dal basso all'alto. Non è una figura che ascende con la propria forza, piuttosto sembra risucchiato verso l'alto, incapace di controllare il proprio corpo. Una forza immane e folgorante lo trascina in alto, senza spazio per la retorica, per gli atteggiamenti pii, per sguardi svenevoli.

Non so mettere insieme questa figura con quella della Vergine e infatti scopro che non è Lei.
Maria è in un cerchio laterale circondata da braccia, gambe e teste. Sono gli angeli che la porteranno in cielo.

Ma la forza dell'affresco riporta la mia attenzione al "gorgo". Capisco che la mia vertigine è causata dalla spirale di nuvole, angeli e santi che sembrano formale un tunnel di luce.

Tornato a casa mi sono documentato.

E' un affresco di circa mt 11 x 11 realizzato tra il 1526 e 1530.
La decorazione della cupola comprende i quattro grandi pennacchi che ne sorreggono il tamburo in cui sono rappresentati i santi protettori della città: S.Giovanni Battista con l'agnello, S.Ilario con un mantello giallo, S.Tommaso con un angelo che sorregge la palma del martirio e S.Bernardo l'unico che rivolge lo sguardo verso l'alto. Davanti alla balaustra sono dipinti gli apostoli intenti ad osservare la scena. Nello spazio di cielo sopra di loro la Vergine sale verso il Paradiso, ai suoi piedi numerosi angeli che cantano e suonano vari strumenti. Nel gruppo di beati si riconoscono Adamo ed Eva, Giuditta con la testa di Oloferne ed al centro della cupola Gesù che scende per incontrare la madre".

"...qui l’ascesa gloriosa della Vergine si diffonde su tutta la superficie della cupola e si realizza in quel roteare lento e grandioso del corteo angelico che trova soluzione in un tripudio di armonia colore e luminosità infinita".

"Figure che hanno le vesti agitate dal vento: l'insieme dà la sensazione di una rotazione sempre più rapida dei giri alternati di figure e di nuvole. Tra queste nubi i personaggi sembrano letteralmente nuotare muovendo con forza le gambe e le braccia. Un altro accorgimento consiste nell'accentuare il chiaroscuro sfumato dei corpi la cui sostanza viene a imparentarsi con quella soffice e luminosissima delle nuvole. Insomma, se Raffaello e Michelangelo contengono le figure e lo spazio entro precisi ordini architettonici, il Correggio rovescia qui l'ideologia del tempo: inventa cioè uno spazio dominato dalla luce e dal movimento, dipingendo per primo non solo le figure ma l'aria che si interpone tra queste e l'occhio.


Il commento ammirato del grande Tiziano:
«Mai in nessun tempo è stato rilevato e in nessun paese la pittura aveva raggiunto altrettanti movimento, varietà e coraggio d'atteggiamenti». Ma non tutti comprendono, non subito. Un canonico del duomo riferendosi alla danza frenetica degli angeli che la luce del paradiso sembra strappare verso gli abissi celesti la paragona a un disgustoso «brodetto di rane». Eppure il contemporaneo Tiziano passando per Parma al seguito dell'imperatore Carlo V dopo aver ammirato la volta dice ai cittadini che lamentano il prezzo pagato: «Rovesciate la cupola, riempitela d'oro e non sarà pagata abbastanza».

martedì 27 dicembre 2005

I bravi bambini e la glassa


Ieri sera sul tavolo c'erano gli avanzi di un panettone.
Intorno al piatto si erano sparpagliati pezzettini di glassa e a turno qualcuno della famiglia allungava una mano per accaparrarsi un dolce frammento.
Poi qualcuno più arditamente ha staccato un minuscolo pezzo dallo strato di glassa che ancora ricopriva la cupola del dolce. E naturalmente è stato come un segnale, anche gli altri si sono sentiti sdoganati, così in poco tempo del panettore è rimasta solo la parte inferiore.

E' in quel momento che mi è venuto in mente un episodio.
Facevo la terza elementare e andavo a scuola insieme ad un amichetto vicino di casa.
Le mamme ci davano gli spiccioli per fermarsi nel negozio degli alimentari sottocasa e acquistare un Buondì Motta. Sì, è quello con la glassa, per- l'-appunto.
Io ero un bambino obbediente e seguivo le indicazioni della mamma, che in sintesi erano queste: "Prima si mangia la mollica anche se è meno buona, e poi alla fine la parte più dolce, la più ambita, come un premio finale".
E così regolarmente facevo.
Il mio piccolo compagno invece si buttava direttamente sulla glassa, poi sboccollenceva un po' della briosche e quando era sazio, abbandonava in qualche cassonetto i resti.

Per anni sono andato fiero del mio buonsenso e delle mie regole e, ne ho fatto un insegnamento anche per i miei figli (che in verità non hanno mai dato segno di "digerire" questo tipo di suggerimenti").
Ma, guarda un po', si cambia! Ieri non c'era traccia del bravo bambino.
Viva la glassa!

lunedì 26 dicembre 2005

Abbracci

Sarà che il periodo delle feste ricorda istintivamente le abbondanti coccole che si ricevevano insieme ai regali, sarà che l'affetto delle persone più care si rinnova ad ogni nuova stagione; magari non così esplicitamente da affiorare apertamente come pensiero ragionato, ma quanto basta per far capolino nei sogni...


Il pullman fa un ampio giro nella larga piazza assolata, manovra tra le aiuole dove striminziti alberi combattono con una cronica mancanza d'acqua e infine posteggia accanto alla casa bianca.
Io scendo con il cuore in subbuglio: è la mia casa, a Scoglitti - anche se nel sogno sembra più grande, più alta, più bianca-.

Dalla porta mi viene incontro una anziana signora con i capelli bianchi; è la zia Gina, ci stringiamo nel forte abbraccio di chi non si rivede da molto tempo.
Mi accompagna all'interno della casa; in un ampio ingresso con una larga scalinata che sale, incontro la Angela, il mio papà, la mamma, altri zii e zie dei quali non ricordo neppure più il nome: Peppina, Gaetano, Turuzzu, Vannina...
Solo un attimo di stupore per capire che sono persone che non ci sono più, che solo i vivi mancano. In un'atmosfera morbida e un po' ovattata, qualcuno mi invita a salire le scale e mi accompagna.
Ho il fiato un po' corto nell'arrampicarmi per le scale, stupito chiedo: "Perchè anche tu hai il fiatone?"; "Beh, cosa pensi anche noi in paradiso ci stanchiamo!" mi sento rispondere.

Vengo accompagnato da una vecchietta ormai senza denti, il volto segnato da rughe, gli occhi luminosi.
Il suo compito è "guardarmi dentro" nel profondo , per dirmi chi veramente sono.
Mi deve assaggiare come si assaggia un cibo elencandone gli ingredienti. Si avvicina e mi bacia in bocca, un bacio lungo, il tempo di sentire il contatto con le gengive sdentate, il calore dell'interno della bocca.
Poi si stacca ed elenca i risultati del test, come si fa con le analisi del sangue.
Scienza: un pochino;
Matematica: quanto basta;
Capacità logiche: appena sufficienti;
Poesia: abbondante;
Fantasia: straripante;
Ascolto: tanto;
Creatività: inesauribile;

Ma cosa si nasconde dietro l'immagine dell'ingegnere?

(sogno del 21/12)

Mi preparo una tisana, una di quelle che ti fanno rilassare già mentre scendono nell'esofago, di quelle che colorano intensamente l'acqua dove diffondono il loro aroma, di quelle che si filtrano col colino, con l'acqua scaldata in un pentolino che frigola appena l'acqua comincia bollire.
Poi questo pentolino è speciale è quello della mamma, dimenticato in un ripostiglio nel poggiolo, la tisana avrà un gusto diverso.
Bevo, ma ho ancora sete, ne preparerò un'altro.
Entro nella stanza che si apre nel lungo corridoio in penombra, è la camera del papà, già anziano, con i capelli bianchi.
"Quanto tempo che non ti vedo papà!".
Lo abbraccio, lo stringo al petto fortissimamente - come raramente sono riuscito a fare nella realtà - lo accarezzo nei pochi capelli arruffati che gli sono rimasti in testa.
"Quanto tempo che non ti vedo papà!".
Non ho più nessuna inibizione nel mostrarti il mio affetto e tu non ne hai nel ricevere il mio.
Ti abbraccio e sento quanto sei vicino a me ed io ad te.

(Sogno del 25/12)

domenica 25 dicembre 2005

Pranzo di Natale 1944

Il natale è già passato ma mio suocero ha nelle sue corde il ricordo di quello trascorso nel 1944

Racconto di Luigi Giacopinelli (mio suocero)



Mi trovavo prigioniero nel campo di concentramento di Ebelsberg, un paesino vicino a Linz in Austria.
Ero arrivato lì dopo anni di guerra: prima sul fronte francese, poi in Albania e infine in Grecia, dove il 28 Settembre 1944 fui fatto prigioniero dalle truppe tedesche.
Stava finendo la guerra: era l'ultimo Natale di prigionia, ma noi non lo sapevamo.
C'era voglia di festeggiare, pur nelle condizioni disumane in cui si viveva anche perché normalmente si mangiavano: rape, acqua e bucce di patate. Per questo io e i miei tre amici inseparabili (Pratolongo, Canepa e Sbarbaro) avevamo venduto sigarette e piccoli oggetti al mercato nero organizzato clandestinamente dai militari stessi, per comprare la farina necessaria a preparare un piatto di gnocchi.
Tre giorni prima della festa, impastiamo con grande entusiasmo e terminato il nostro lavoro, alziamo il soffitto, che era formato da assi di legno, e disponiamo sopra una salvietta gli gnocchi ancora freschi.
Non so se perché così sarebbero stati al sicuro o perché non c'era altro posto dove conservarli.
Arriva il giorno di Natale: una giornata freddissima, mezzo metro di neve, quindici gradi sottozero.
Per abbellire la nostra tavola vorremmo mettere dei fiori ma ci dobbiamo accontentare di un ciuffo d'erba bruciato dal freddo.
Prendiamo una latta di benzina ben pulita che sarà la nostra pentola e accendiamo il fuoco all'aperto: di solito era severamente proibito ma quel giorno i tedeschi erano più tolleranti.
La margarina, chissà se arrivata da casa o comprata al mercato nero, era pronta a condire il nostro pranzo.
Quando l'acqua bolle arriva il momento cruciale di buttare gli gnocchi.
Tiriamo su le assi del soffitto e… di gnocchi non c'è più nemmeno l'ombra, spariti!
Dopo il primo momento di incredulità, le lacrime scendono dai nostri occhi senza ritegno.
Siamo rimasti malissimo, abbiamo ancora un pezzettino di pane e una cicca di sigaretta: il giorno di Natale 1944, quello è stato il mio pasto.
Qualche ora più tardi e dopo tante domande: "chi li ha presi chi non li ha presi", capitiamo nella baracca adiacente la nostra. Lì, abbandonata, troviamo la salvietta che aveva contenuto il nostro agognato pranzo e ci rendiamo conto che il soffitto delle due baracche è comunicante.
Non è che questi soldati, prigionieri come noi, fossero cattivi, è che ognuno cercava di riportare a casa la pelle; avevano rubato per non morire.
Ancora oggi sono convinto che io, pur patendo la fame, non avrei mai fatto una azione simile, ma la consapevolezza di aver vissuto una prigionia ai limiti della dignità umana, mi fa riconsiderare quegli avvenimenti con senso di tolleranza e comprensione verso i miei compagni.

mercoledì 21 dicembre 2005

Dodici anni fa a Mallare

Si dice: quando muore una mamma si accende una stella in cielo.

E' romantico ma non è credibile, è stonato con il dolore e il crudo che si prova, sembra una favoletta fuori posto.

Il ricordo corre.


Dodici anni fa ero con MariaTeresa, testimone del matrimonio fra Pierpaolo e Lorenza, in un incantevole paesino dell’entroterra ligure. Partecipavamo della gioia di due ragazzi che durante tutto il loro fidanzamento avevano condiviso con noi il racconto dei loro primi approcci, la crescita del loro rapporto e del loro amore, le domande, i dubbi, le speranze, il progetto che si andava delineando per la loro vita.

Quel giorno noi avevamo già i nostri tre bambini che sgambettavano, mentre loro si dichiaravano “PER SEMPRE”.
E tre bambini sarebbero arrivati anche per Pierpaolo e Lorenza.
Ieri ho visto i loro tre bambini, nel piazzale della chiesa, dietro la bara della mamma, forti ma probabilmente ancora inconsapevoli del Distacco e ho visto Pierpaolo fronteggiare con forza e con piena dignità l’arrivo di un dolore accecante.
Soprattutto ho avverito in lui la consapevolezza di chi sa di non essere solo, che gli amici e le amiche lo accompagneranno con discrezione e calore finchè sarà necessario e sosterranno l'inevitabile percorso interiore per assorbire il più terribile "Cambiamento".

lunedì 19 dicembre 2005

Auguri scomodi

Tratto da "Auguri scomodi" di don Tonino Bello e adattato perchè il primo destinatario del messaggio sono io.


Non posso sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario.

Tanti auguri scomodi, allora!
Gesù che nasce per amore ci dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E ci conceda la forza di inventarci un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio e di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia ci tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del nostro letto duro come un macigno, finché non avremo dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo ci faccia sentire dei vermi ogni volta che la nostra carriera diventa idolo della nostra vita, il sorpasso, il progetto dei nostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle nostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, ci costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la nostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei nostri cenoni, rimproveri i tepori delle nostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle nostre luminarie, fino a quando non ci lasceremo mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla nostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l'aggravante del nostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si fabbricano armi, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, ci facciano capire che, se anche noi vogliamo vedere "una gran luce" dobbiamo partire dagli ultimi.
I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge ", e scrutano l'aurora, ci diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio.

Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

giovedì 15 dicembre 2005

Il quadro

Sono in un grande parco, dove tutte le persone si sono sparpagliate e io mi sono smarrito alla ricerca del quadro che ho perduto.

(Sogno del 13/12)

Quel quadro aveva una cornice che lo racchiudeva e abbracciava:


















Quale avrebe potuto essere il soggetto che raffigurava quel quadro?







L'annunciazione di Antonello da Messina. Mi piace per la grande acutezza del suo sguardo e per la profondita’ dei sentimenti che sembrano trasparire dal volto.

lunedì 12 dicembre 2005

L'impostora

La donna depone la bambina nella culla, ma lo fa in maniera goffa, non è un gesto carico d'affetto, neppure quello stanco dopo una giornata di fatica o quello irritato per un sonno che non arriva.
E' un gesto sconclusionato, la bimba acchiappata per un piede e una mano e deposta all'interno del lettino come un sacco. Una totale incapacità di instaurare un rapporto vitale, un gesto (mettere a riposare un figlio) malamente recitato a memoria, la sommatoria di movimenti sbagliati.

Io guardo la scena da una posizione neutra e capisco: quella non è la mamma è una impostora.
Rivedo un pezzo della sua vita.
Un corridoio di ospedale, la donna portata a braccia da due infermieri, uno a destra e uno a sinistra, una mano sotto il ginocchio l'altra sotto le ascelle, le gambe divaricate.
Lei è incinta, il parto incombe, inaspettato e cruento. Perchè non l'hanno deposta su un lettino? Perchè stanno peggiorando le cose con un comportamento per niente professionale?
Ancora pochi istanti e macchie di sangue chiazzano il pavimento del corridoio. Il bambino è perso, la madre subisce l'impatto dello shock rimanendo segnata per sempre.
E' la storia dell'impostora che aveva perso un figlio ed ora vorrebbe essere madre, ha rubato una bimba, ma i suoi gesti tradiscono la verità: non sa come si ama.

(Sogno del 3/12)

Ci sono persone che non sono capaci di essere padri e madri; non parlo del papà e mamma naturali ma penso alla relazione fra le persone, a quello strano gioco psicologico che trasforma ognuno di noi, a volte, a seconda della situazione in cui si trova, in padre o madre o in figlio.
E' vero si potrebbe ricercare nel passato di queste persone una giustificazione, e la si troverebbe di sicuro, ma rimane il fatto che sono incapaci di generare amore.

L'importante è non aspettarsi che questo genere di persone si comportino da madre amorevole o padre incoraggiante.
Se lo scrivo è perchè, ahimè, io ogni tanto ci casco e magari mi aspetto che il mio capo sul lavoro mi faccia da madre...poi faccio questo tipo di sogni.

Le intermittenze della morte

Cosa succederebbe se la morte un bel giorno decidesse di sospendere la sua quotidiana raccolta di vite?
E' quello che ipotizza Josè Saramago, nel libro "Le intermittenze della morte".
E a pensarci bene, una situazione che inizialmente provocherebbe scene di entusiamo e felicità, ben presto si rivelerebbe in tutta la sua drammaticità. Scompigli sociali, paradossi, fallimenti di intere categorie di lavoratori, viaggi clandestini organizzati dalla criminalità oltre la frontiera (dove si continua a morire regolarmente), crisi religiose.

Il libro dà uno spunto per capire quanto legata alla vita sia... la morte.
Senza la separazione della morte, senza questo cambiamento così radicale e definitivo, non potrebbe esistere la vita, almeno nei termini in cui noi la conosciamo.

Eppure la morte vorremmo sfuggirla sempre, sia che riguardi la separazione dai nostri amici, dai genitori, dai figli... o sia per allontanare quella che ci riguarderà in prima persona.

Durante la lettura del libro mi sono ritrovato spesso a sperare pagina dopo pagina che la morte si decidesse a riprendere il suo abituale lavoro, senza ulteriori espedienti. Ho avvertito il diritto alla morte di ogni persona profondamente legato e connesso al diritto alla vita, alla dignità della vita; una morte che arrivi "quando lo decide lei" senza lettere di preavviso, senza stratagemmi.
Mi sono ritrovato a inseguire uno "status" che mi appariva l'ideale equilibrio fa paura e speranza, conservazione e rinnovamento, panico e consapevolezza e che poi è la realtà. La realtà è l'ideale.

Ma il libro comincia e finisce nella sua logica assurda: "il giorno seguente non morì nessuno".

domenica 4 dicembre 2005

La collezione di monete


I miei figli hanno raccolto una grande quantità di monetine, ma nei cestini della cartastraccia ce ne sono molte altre; hanno scartato e gettato via le vecchie lire italiane e tutte quelle straniere, probabilmente anche quelle che avevo raccolto io in tanti anni.
Hanno tenuto solo gli Euro, mettendo ben in evidenza l'emissione dell'anniversario, sì, quelle che messe tutte una accanto all'atra formano un unico grande Euro celebrativo...
Strano, di solito si collezionano le monete antiche, io avrei fatto il contrario, tenuto le lire e le monete degli altri paesi.
Nel pensare questo, con un gesto maldestro, faccio cadere un buon gruzzolo di monete "buone" nei cestini.
Ma ora ho un po' di difficoltà a raccogliele; sembrava un lavoro veloce e semplice, ma si sono mescolate, bisogna ripassarle tutte, una per una, e poi nel cestino ci sono anche torsoli di mele e bucce di frutta, si sporcano le mani...

(Sogno del 3/12 )

Forse ci sono dei momenti in cui si pensa che le proprie emozioni, ma non solo quelle, anche il proprio modo di essere e sentire le cose, si possa separare, si possa selezionare, catalogare come una collezione di monete. Ci sono parti che sembrano non avere più valore e si pensa di poterle buttare via (invece più passa il tempo, più diventano importanti e, ciò che oggi è "vecchio", diventa "antico").
Invece basta un gesto maldestro, uno di quei movimenti che non hai programmato di fare (come quando si dà una zuccata involontaria nello sportello della cucina), sì, un gesto istintivo, una gaffe, un ophs, un attimo in cui perdi il controllo dei pensieri razionali costruiti pazientemente dalla volontà e dalla ragione e, il tuo io più profondo, ristabilisce le distanze, rimescola le carte, ti toglie le certezze (che poi sono quelle che ti impediscono di crescere).

Immagino la fine del sogno così:
Vado a cercare una grande boccia trasparente capace di contenere tutta la mia collezione di monetine, poi le metto tutte lì dentro, euro, lire, franchi, sterline, pence, pesos e quant'altro ho saputo raccogliere e raccoglierò. Poi una bella mescolata, una scrollata tintinnante e colorata.
Poi poso la boccia su un tavolo, mi pongo lì davanti con la stessa predisposizione che si ha verso l'acquario dei pesci o verso un caleidoscopio e, guardo, rimescolo e guardo, rimescolo e ricordo, rimescolo e sogno, rimescolo e fantastico, rimescolo e vivo.