sabato 15 ottobre 2011

La gioia vista da un non credente

Da Vittorino Andreoli, ti aspetti sempre che parli di drammi e dolori e invece ecco questa mia personale sintesi di un suo intervento sulla Gioia.

Maria Teresa ed io ci stavamo preparando ad un incontro sulla "gioia cristiana" , seguendo fra l'altro un bellissimo testo "la casa delle otto felicità" della Comunità di Caresto, ed ecco che cercando materiale di supporto ci siamo imbattuti in questa testimonianza, secondo noi, molto efficace.
Se passate di qua, leggetela, ne vale la pena.


La gioia è sentimento interiore, intimo: un'esperienza di ben d'essere, di contentezza composta, di soddisfazione non gridata. Non è il piacere che si lega sempre al corpo o a una sua parte. Una sorta di sollecitazione che scatena un’acme di godimento. La gioia è semmai un piacere senza corpo, appartiene a quell'“Io” che è oltre il corpo, che non lo nega ma ne emerge, lo trascende.
La gioia non deriva mai dall'altro, dall'approvazione della gente, ma è dichiarata da se stessi, meglio da quell'“Io” ideale che ciascuno persegue, segretamente. Il piacere dato dal pubblico si chiama successo, ma è totalmente altro rispetto alla gioia. Il successo è l'approvazione data dagli altri, seguendo il loro criterio, il battimani, le luci del palcoscenico; la gioia è l'approvazione che ciascuno dà di se stesso, gli altri non c'entrano nulla. 

La gioia è un benessere che passa, momentaneo. Forse per questo lo si apprezza o lo si desidera. Poiché nasce dallo specchiarsi in noi stessi, dipende dal nostro essere e dal nostro essere nel mondo. E se questo mondo è orrendo, come mi appare sovente, la gioia risente del dolore dell'altro, risente dell'ingiustizia, dell'intolleranza. Insomma non si pensi che la gioia che nasce da una visione interiore di sé, sia una sorta di narcisismo e di egoismo: tutt'altro, è una percezione di sé dentro il mondo, influenzati da come è il mondo. La gioia è momentanea anche perché risente di un mondo di dolore. La gioia non è oblio del dolore proprio o altrui, ma è gioia dentro il dolore. 
La Gioia non è quell'esperienza che segue la fine di un dolore: questa situazione si chiama piuttosto sollievo, fine di un male, ma non è gioia. Non occorre mettere un sasso nella scarpa e poi toglierlo per provare gioia. La gioia non è una mancanza, ma un dato positivo, un provare, un sentire, un'approvazione.

 Da non credente ritengo che il Paradiso, se c'è, sia luogo di gioia per tutti, anche per i non credenti e so che i cattolici allora non saranno nemmeno sfiorati da questa specie di diritto esclusivo e saranno felici nel vedere tutti pieni di gioia.
 E ci sono tanti “nessuno” per il mondo che vivono momenti di gioia e si illuminano di gioia. “Mi illumino d'immenso” diceva Ungaretti.
Per provare gioia bisogna dunque sentire se stessi, guardarsi dentro. 


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