lunedì 28 novembre 2005

Via del Commercio


Via del Commercio,
novantacinque scalini, ingresso, camera da letto, cucina, bagno e salotto facente uso di camera mia o viceversa non so.
Domenica scorsa ho sognato di ritornarci dentro.
E' completamente ristrutturata le stanze appaiono ingrandite, nel salotto c'è lo spazio per larghi divani, tendaggi abbondanti, separèe colorati. Tutto appare diverso anche in cucina e così nelle altre stanze. Solo dalle ampie porte finestre la prospettiva non è cambiata e le stanze sono sempre illuminate dalla luce. Ma io mi lamento il lavoro di rifinitura ai muri non mi piace, ci sono difetti nella stesura della tappezzeria, il battiscopa non è di mio gradimento.
Con me ci sono Dario e Marianna che mi accompagnano in questo sopralluogo; poi rimango solo, allora posso esprimere il mio vero stato d'animo e piango come davanti a qualcosa che si è perso per sempre, che è cambiato e non ritornerà più, la casa che io ho in mente e fa da riferimento a tutti i miei ricordi non può essere questa, così ampia, così rinnnovata e arricchita. Ho nostalgia dell'altra perchè contiene la mia storia.

(sogno domenica 27/11)

L'elefante e il cagnolino

Io faccio parte di quelle persone che sono sensibili al giudizio che gli altri gli attribuiscono.

Certo c'è gente e gente. Una cosa è preoccuparsi per ciò che pensano i propri familiari, un'altra è il primo automobilista che ti incrocia, un'altra ancora il proprio capo, un'altra i vicini di quartiere.
De Mello risolve la questione con la storiella dell'elefante sceso in città:
"L'elefante va per la sua strada senza neppure curarsi di osservare ciò che la gente pensa o fa, mentre il cagnolino abbaia a ogni altro cane che incontra e alla gente che proviene dalla direzione opposta".

Temo che il mio concetto di elefante e quello dello scrittore non coincidano, perchè così descritto mi richiama alla mente una di quelle persone che passano nella vita incapaci di comprendere che oltre se stessi esistono "gli altri".
Ma DeMello sta parlando con un suo allievo che è ben lontano dal somigliare all'elefante. Allora considerando che questi tipi di "elefanti" non si pongono certo questi problemi, il messaggio sembra rivolto a tutti gli altri:
- Ciò che vali, le tue sicurezze, le tue capacità dipendono da te stesso. Se saprai far crescere questa consapevolezza potrai andare con la serena e bonaria forza di un pachiderma, che non si cura delle critiche, dei pregiudizi, delle piccinerie, che non richiede improbabili approvazioni da persone che non hanno il titolo per darne.

venerdì 18 novembre 2005

Papà Toledo prigioniero di guerra a Hereford (Texas)

Perchè non ho preso appunti quando papà era ancora in vita?
Eppure da ragazzino mi "bevevo" tutti i suoi racconti di guerra, soprattutto quelli del periodo di prigionia negli USA.
Oggi ho sete di particolari che ho cercato in rete e nei cassetti del comò.

Il Caporal Maggiore Toledo Trichini, 5° parco automobilistico d'armata:
  • Sbarca a Tripoli il 18 Settembre 1942
  • Seguito ripiegamento è a Tunisi 8 Dicembre 1942
  • Viene catturato dagli inglesi l'11 Maggio 1943
  • Viene trasferito nel campo 17 di Casablanca il 15 Giugno 1943
  • Da qui è imbarcato per gli Stati Uniti il 23 Luglio 1943

  • Del periodo americano mancano date certe ma le lettere del Vaticano e della CRI testimoniano la sua presenza in Texas in data 12 Febbraio 1944 (allo zio Giuseppe di Pozzallo e al suo papà Vincenzo), 13 Aprile 44 (indirizzata ancora a Vincenzo Trichini).
    Matricola di prigionia 8WI-31695.
    Hereford è stato uno dei campi di prigionia più grandi degli Stati Uniti, più avanti riporto la traduzione di un sito che ne racconta la storia.

    Ma per non so quali percorsi papà Toledo viene spostato anche in Arizona (non documentato) e alle isole Haway, quest'ultimo fatto confermato dal foglio matricolare.

  • Rimpatriato da isole Haway il 28 marzo 1946 (m/v Sea Witch)
  • Sbarcato a Napoli 4 Maggio 1946.

    Traduzione sintetica del sito
    http://www.tsha.utexas.edu/handbook/online/articles/HH/quh1.html

    RISERVA DI HEREFORD E CENTRO DI RICEZIONE MILITARE. La riserva di Hereford ed il centro di ricezione occupavanoo 800 acri di terra nelle contee di Castro e Deaf-Smith, 3½ miglia a sud-est di Hereford. Il secondo in estensione fra gli accampamenti per i PRIGIONIERI DI GUERRA negli Stati Uniti, ha ospitato circa 5.000 prigionieri italiani e circa 750 addetti militari degli Stati Uniti. Anche se era indicato come un accampamento provvisorio, la riserva era costruita con funzioni di massima sicurezza. Il dipartimento di guerra annunciò l'autorizzazione il 30 giugno 1942 e la costruzione effettiva cominciò in ritardo in luglio.

    I primi internati arrivarono nel mese di aprile del 1943. Erano tutti italiani, con l'eccezione di un gruppo dei tedeschi che furono diretti all'accampamento per errore e rapidamente furono trasferiti dopo un tumulto. Gli italiani si rivelarono essere garbati, grandi lavoratori ed gente fidata. La politica di massima sicurezza presto fu sostituita da una politica di massima utilizzazione e gli uomini furono impiegati all’esterno per lavorare ai poderi locali con una paga di dieci centesimi all'ora. Gli ufficiali, tuttavia, furono incarcerati in aree separate e non fu loro richiesto di lavorare. Il rispetto reciproco che si sviluppò fra i prigionieri ed i loro carcerieri è dimostrato dalla chiesa cattolica di S. Mary in Umbarger. Là, sette ufficiali e due soldati semplici italiani costruirono sculture di legno, pitturarono pareti e installarono mosaici alle finestre, donando il loro lavoro in spirito di fratellanza cristiana. I parrocchiani contraccambiarono fornendo loro generosi pasti; ogni notte gli italiani portavano di nascosto l'eccedenza dentro il campo degli ufficiali, che erano sottomessi a restrizioni sul cibo. Da ottobre fino a Dicembre del 1945 un certo numero di prigionieri che erano esperti artisti , artigiani e decoratori di vetro costruirono una cappella in onore dei loro cinque camerati che erano morti nell'accampamento. Furono sepolti uno ad ogni lato della cappella. Dopo la guerra i loro corpi furono inumati e rinviati in Italia.
    Il rapido rimpatrio cominciò con la conclusione della guerra, nel gennaio 1946 gli ultimi 3.999 prigionieri furono imbarcati sui treni speciali per il loro ritorno in Italia. L'accampamento fu dichiarato superfluo il 1 febbraio 1946. Di conseguenza, tutto quello che rimase fu una torretta dell'acqua, il serbatoio ed la piccola cappella. La cappella cadde in abbandono e divenne vittima del vandalismo fino a metà degli anni 80, quando la Commissione Storica della contea di Castro di adoperò a restaurarla. Il 30 aprile 1988, una cerimonia fu tenuta in onore dell’avvio dei lavori di ripristino della struttura che misura tredici piedi-quadrati. Un gruppo di italiani, compreso sedici Prigionieri di Guerra, assistettero, donarono soldi e bozze di schizzi originali e fotografie in sostegno del progetto. La cappella ricostruita fu consacrata il 18 giugno 1989 e ricevette lo stato manufatto storico l’8 maggio 1993.


    Il quadro di riferimento trovato in rete ha molte analogie con i racconti di papà.
    Era la descrizione di una "piacevole" prigionia, dove i militari erano trattati con rispetto, dove lui poteva lavorare secondo le sue capacità di ebanista e possedere una tromba.
    Ricordo i suoi aneddoti sulle gare che un capetto americano gli faceva fare per misurare quante bottigliette di coca-cola e di gelati era in grado di trangugiare di seguito. Gare che a quanto pare finivano sempre con lunghi soggiorni in ...latrina.
    Oppure quelli sui dispettosi prigionieri "fascisti" che volevano sabotare gli USA e allora piantavano il cotone con le radici in su...provocando, al massimo, le risate scomposte degli americani.

    I contatti con casa, da un certo punto, ricominciarono perchè ho trovato due lettere:
    la prima del 22 Dicembre 1944 testimonia che i contatti erano già stati ristabiliti, poi informa:
" il mio lavoro è sempre da falegname e la mia dimora è fra i reticolati; ben trattato, di robusta costituzione fisica e morale...arrivederci e sempre allegri".
Quella del del 14 Gennaio 1946 è l'ultima lettera prima del ritorno e papà si preoccupa della sorella Irene (non è che è andata promessa sposa con quel tale, che è un poco di buono?) e del suo imminente rientro.
Tra i resti del comò ho trovato anche il numero del 30 Settembre 1945 di "Volontà" - settimanale dei prigionieri di guerra italiani, campo n.1 Hawaii e un attestato di possesso di una "trumpet".

domenica 13 novembre 2005

Quinta TA















33 Anni sono passati! Ho rivisto un gruppo di compagni di classe del triennio all'ITI Galileo Galilei, sezione Telecomunicazioni.
Sono uscito di casa emozionato come un ragazzino; mentre mangiavamo, i nostri sguardi scorrevano ora sull'uno ora sull'altro alla riscoperta, in quei volti da cinquantenni, delle vecchie sembianze.
Che tenerezza! Lentamente fra le rughe riaffioravano le stesse mimiche, gli stessi intercalari, si azzeravano carriere e titoli e prendevano spazio le vecchie gerarchie interne alla classe.
I ricordi di uno si intrecciavano confusamente con quelli degli altri ricomponendo un disordinato e folkloristico mosaico fatto di affetti, scherzi, complicità, riconoscenza, nostalgia.

lunedì 7 novembre 2005

6 Novembre 2005

Ci sono giorni che devi fissare nella memoria perchè arrivano cambiamenti che non ti aspetti.
In questo caso sono segnali di maturità e consapevolezza di un progetto di vita responsabile. Ma ci sono voluti molti minuti per metabolizzare la portata dell'annuncio ricevuto:
Marianna e Dario hanno deciso di sposarsi il prossimo Giugno 2006.

giovedì 3 novembre 2005

Cronache marziane

Con l’esclusione della Bibbia e del Vangelo, il libro che ho letto più volte è “Cronache Marziane” di Ray Bradbury.
Intorno al 1972/73 penso di aver letteralmente sbriciolato e consumato l’edizione economica che mi ero procurato.
E’ una raccolta di episodi che illustrano la conquista di Marte e l’improvviso ritorno alla Terra per lo scoppio di una guerra devastante.
E’ l’ipotetica storia di come una civiltà in espansione può cancellare i popoli indigeni in nome del progresso e dell’avidità economica, proprio come è successo nella realtà storica con la scoperta dell’America e l’annullamento dei Maya, Indios, Pellerossa…
Ma con la fantascienza si può anche indagare sul mondo interiore della mente, degli affetti, della identità degli individui.
Vorrei provare a riassumere il capitolo

Settembre 2005 – Il Marziano.

La corsa verso Marte è in pieno svolgimento, si costruiscono nuove città popolate di persone che per motivi diversi vogliono ricominciare da capo una nuova vita.
Il vecchio LaFarge e la moglie erano venuti su Marte per godersi la vecchiaia in pace, e per dimenticare Tom. Il figlio morto da tanto tempo.
Mentre la pioggia blu cadeva dolcemente sulla casa, i due sentono qualcuno fischiare nel giardino. Il vecchio va a controllare e nella penombra vede un bambino che sembra proprio il loro figlio Tom. E’ incredibile, ma il desiderio di riaverlo supera ogni perplessità e il ragazzo può entrare e inserirsi con naturalezza nella loro vita come se fosse sempre stato con loro.
Solo il vecchio LaFarge ha il coraggio di indagare sulla realtà:

"Tom, come hai fatto a venire qui? Sei dunque vivo?"
"Perché? Non dovrei esserlo?; tu mi vuoi qui con te, non è vero? Il ragazzo sembrava preoccupato"
"Oh sì Tom"
"Allora perché tante domande? Accettami!"
"Chi sei veramente? Tu non puoi essere Tom, ma sei bene qualcuno. Chi dunque?"
"Ti prego non…>. Sconvolto il ragazzo si coprì la faccia con le mani.
"Tu sei un marziano, non è vero? Ho sentito raccontare tante cose dei marziani . Ho sentito dire che sono pochissimi e che quando vengono fra noi, ci vengono come creature terrestri. C’è qualcosa in te...sei Tom e nello stesso tempo non lo sei".
"Perché dunque non puoi accogliermi senza far tante domande?" Disse il ragazzo con voce di pianto. E si copriva completamente il volto con le mani.
"Non dubitare, ti scongiuro, non dubitare di me"
Venne il giorno in cui Anne LaFarge decise che era giunto il momento di andare tutti insieme in città. Il ragazzo provò a ribellarsi dicendo che aveva paura di cadere nella trappola. Ma alla fine dovette arrendersi.
Una volta in città, nella via principale affollata, un gruppo di persone incrociate sulla strada li costrinse a dividersi.
I vecchi LaFarge persero di vista il ragazzo, pensarono di rivederlo al molo e si affrettarono. Incrociarono un’altra coppia di conoscenti, anche loro su Marte dopo la perdita della loro figlia diciottenne…
LaFarge si diresse verso la loro casa e vide al suo interno, la ragazza, improvvisamente ritrovata, cantare serenamente.
Il vecchio aspettò l’occasione poi chiamò:
"Sono io".
La ragazza si sporse: “Io ti conosco” disse con dolcezza.
“Tu devi tornare a casa”. La figura illuminata dal chiaro di luna , sotto il portico, si ritrasse nell’ombra, così non aveva più identità era soltanto una voce: “Io non sono più tuo figlio, non saremmo mai dovuti venire in città”.
E di fronte alle insistenze di ritorno:
"Io non sono nessuno, sono soltanto me stesso; ovunque io mi trovi, sono qualcuno ed ora sono ciò che non puoi cambiare".
Ma non era vero, la forza del desiderio di LaFarge era forte e la ragazza tornò ad essere ancora Tom e insieme scapparono verso la barca che doveva riportarli al sicuro.
Ancora una volta però il destino li separò e quando si ritrovarono vicini, Tom, o meglio quel che rimaneva di lui, era inseguito da una folla di persone.
Era evidente quello che era successo. Tom che correva a perdifiato per le vie, solo, sfiorando i rari passanti. Un poliziotto vedeva la figura saettare via, e si lanciava al suo inseguimento, gridando: "Fermatelo", perché aveva riconosciuto il volto di un celebre criminale. E lungo il percorso, la stessa cosa, uomini qui, donne là.
Quanti nomi diversi erano stati chiamati in quei cinque minuti d’inseguimento? Quante diverse facce si erano forgiate, nessuna vera, sulla faccia di Tom?

Gli avvenimenti precipitano, Tom è circondato dalla folla, scosso da brividi, da tremiti continui.

Dinnanzi ai loro stessi occhi egli mutava ininterrottamente. Era Tom, era James, era un uomo chiamato Switchman, era il sindaco, la giovane Judith e il marito Williams. Era cera molle che si foggiava secondo le immagini delle loro menti. Essi urlavano, si spingevano avanti, pregavano. Mentre lui gridava, la sua faccia si dissolveva ad ogni richiesta. Fino a quando, con un ultimo urlo di terrore, egli cadde.
Rimase disteso sulle lastre di pietra, cera sciolta che si rassodava, la sua faccia tutte le facce, un occhio azzurro, l’altro d’oro, capelli che erano castani, rossi, biondi, neri, un sopracciglio folto, un altro esile, una mano grande l’altra piccina.
“E’ morto” disse qualcuno, alla fine.

Chi è in realtà il marziano, chi viene rappresentato in questo personaggio?
E’ una creatura che ha bisogno di essere amata, di più, ha bisogno di un’amore così forte da dare forma al suo corpo, ai suoi pensieri, ai ricordi, alla sua personalità.
Non può fare a meno di questo legame pena il suo annichilimento. E quando deve far fronte all’inevitabile separazione, si svela tragicamente tutta la sua fragilità.
In questa storia il finale è drammatico, la creatura soccombe, dilaniato da mille amori che vorrebbero possederlo.
Più spesso nella realtà questo dramma si vive solo dentro se stessi, prima dell’età adulta, quando si devono fare i conti con la separazione dai genitori. A volte, nonostante le apparenze, la consapevolezza della propria identità e autonomia, passano da un lungo cammino di maturazione sui sentieri che le circostanze della vita propongono.
E comunque imparare ad amare è cosa che non finisce mai.