Certo c'è gente e gente. Una cosa è preoccuparsi per ciò che pensano i propri familiari, un'altra è il primo automobilista che ti incrocia, un'altra ancora il proprio capo, un'altra i vicini di quartiere.
De Mello risolve la questione con la storiella dell'elefante sceso in città:
"L'elefante va per la sua strada senza neppure curarsi di osservare ciò che la gente pensa o fa, mentre il cagnolino abbaia a ogni altro cane che incontra e alla gente che proviene dalla direzione opposta".
Temo che il mio concetto di elefante e quello dello scrittore non coincidano, perchè così descritto mi richiama alla mente una di quelle persone che passano nella vita incapaci di comprendere che oltre se stessi esistono "gli altri".
Ma DeMello sta parlando con un suo allievo che è ben lontano dal somigliare all'elefante. Allora considerando che questi tipi di "elefanti" non si pongono certo questi problemi, il messaggio sembra rivolto a tutti gli altri:
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