giovedì 3 novembre 2005

Cronache marziane

Con l’esclusione della Bibbia e del Vangelo, il libro che ho letto più volte è “Cronache Marziane” di Ray Bradbury.
Intorno al 1972/73 penso di aver letteralmente sbriciolato e consumato l’edizione economica che mi ero procurato.
E’ una raccolta di episodi che illustrano la conquista di Marte e l’improvviso ritorno alla Terra per lo scoppio di una guerra devastante.
E’ l’ipotetica storia di come una civiltà in espansione può cancellare i popoli indigeni in nome del progresso e dell’avidità economica, proprio come è successo nella realtà storica con la scoperta dell’America e l’annullamento dei Maya, Indios, Pellerossa…
Ma con la fantascienza si può anche indagare sul mondo interiore della mente, degli affetti, della identità degli individui.
Vorrei provare a riassumere il capitolo

Settembre 2005 – Il Marziano.

La corsa verso Marte è in pieno svolgimento, si costruiscono nuove città popolate di persone che per motivi diversi vogliono ricominciare da capo una nuova vita.
Il vecchio LaFarge e la moglie erano venuti su Marte per godersi la vecchiaia in pace, e per dimenticare Tom. Il figlio morto da tanto tempo.
Mentre la pioggia blu cadeva dolcemente sulla casa, i due sentono qualcuno fischiare nel giardino. Il vecchio va a controllare e nella penombra vede un bambino che sembra proprio il loro figlio Tom. E’ incredibile, ma il desiderio di riaverlo supera ogni perplessità e il ragazzo può entrare e inserirsi con naturalezza nella loro vita come se fosse sempre stato con loro.
Solo il vecchio LaFarge ha il coraggio di indagare sulla realtà:

"Tom, come hai fatto a venire qui? Sei dunque vivo?"
"Perché? Non dovrei esserlo?; tu mi vuoi qui con te, non è vero? Il ragazzo sembrava preoccupato"
"Oh sì Tom"
"Allora perché tante domande? Accettami!"
"Chi sei veramente? Tu non puoi essere Tom, ma sei bene qualcuno. Chi dunque?"
"Ti prego non…>. Sconvolto il ragazzo si coprì la faccia con le mani.
"Tu sei un marziano, non è vero? Ho sentito raccontare tante cose dei marziani . Ho sentito dire che sono pochissimi e che quando vengono fra noi, ci vengono come creature terrestri. C’è qualcosa in te...sei Tom e nello stesso tempo non lo sei".
"Perché dunque non puoi accogliermi senza far tante domande?" Disse il ragazzo con voce di pianto. E si copriva completamente il volto con le mani.
"Non dubitare, ti scongiuro, non dubitare di me"
Venne il giorno in cui Anne LaFarge decise che era giunto il momento di andare tutti insieme in città. Il ragazzo provò a ribellarsi dicendo che aveva paura di cadere nella trappola. Ma alla fine dovette arrendersi.
Una volta in città, nella via principale affollata, un gruppo di persone incrociate sulla strada li costrinse a dividersi.
I vecchi LaFarge persero di vista il ragazzo, pensarono di rivederlo al molo e si affrettarono. Incrociarono un’altra coppia di conoscenti, anche loro su Marte dopo la perdita della loro figlia diciottenne…
LaFarge si diresse verso la loro casa e vide al suo interno, la ragazza, improvvisamente ritrovata, cantare serenamente.
Il vecchio aspettò l’occasione poi chiamò:
"Sono io".
La ragazza si sporse: “Io ti conosco” disse con dolcezza.
“Tu devi tornare a casa”. La figura illuminata dal chiaro di luna , sotto il portico, si ritrasse nell’ombra, così non aveva più identità era soltanto una voce: “Io non sono più tuo figlio, non saremmo mai dovuti venire in città”.
E di fronte alle insistenze di ritorno:
"Io non sono nessuno, sono soltanto me stesso; ovunque io mi trovi, sono qualcuno ed ora sono ciò che non puoi cambiare".
Ma non era vero, la forza del desiderio di LaFarge era forte e la ragazza tornò ad essere ancora Tom e insieme scapparono verso la barca che doveva riportarli al sicuro.
Ancora una volta però il destino li separò e quando si ritrovarono vicini, Tom, o meglio quel che rimaneva di lui, era inseguito da una folla di persone.
Era evidente quello che era successo. Tom che correva a perdifiato per le vie, solo, sfiorando i rari passanti. Un poliziotto vedeva la figura saettare via, e si lanciava al suo inseguimento, gridando: "Fermatelo", perché aveva riconosciuto il volto di un celebre criminale. E lungo il percorso, la stessa cosa, uomini qui, donne là.
Quanti nomi diversi erano stati chiamati in quei cinque minuti d’inseguimento? Quante diverse facce si erano forgiate, nessuna vera, sulla faccia di Tom?

Gli avvenimenti precipitano, Tom è circondato dalla folla, scosso da brividi, da tremiti continui.

Dinnanzi ai loro stessi occhi egli mutava ininterrottamente. Era Tom, era James, era un uomo chiamato Switchman, era il sindaco, la giovane Judith e il marito Williams. Era cera molle che si foggiava secondo le immagini delle loro menti. Essi urlavano, si spingevano avanti, pregavano. Mentre lui gridava, la sua faccia si dissolveva ad ogni richiesta. Fino a quando, con un ultimo urlo di terrore, egli cadde.
Rimase disteso sulle lastre di pietra, cera sciolta che si rassodava, la sua faccia tutte le facce, un occhio azzurro, l’altro d’oro, capelli che erano castani, rossi, biondi, neri, un sopracciglio folto, un altro esile, una mano grande l’altra piccina.
“E’ morto” disse qualcuno, alla fine.

Chi è in realtà il marziano, chi viene rappresentato in questo personaggio?
E’ una creatura che ha bisogno di essere amata, di più, ha bisogno di un’amore così forte da dare forma al suo corpo, ai suoi pensieri, ai ricordi, alla sua personalità.
Non può fare a meno di questo legame pena il suo annichilimento. E quando deve far fronte all’inevitabile separazione, si svela tragicamente tutta la sua fragilità.
In questa storia il finale è drammatico, la creatura soccombe, dilaniato da mille amori che vorrebbero possederlo.
Più spesso nella realtà questo dramma si vive solo dentro se stessi, prima dell’età adulta, quando si devono fare i conti con la separazione dai genitori. A volte, nonostante le apparenze, la consapevolezza della propria identità e autonomia, passano da un lungo cammino di maturazione sui sentieri che le circostanze della vita propongono.
E comunque imparare ad amare è cosa che non finisce mai.

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