venerdì 2 marzo 2007

L'uomo che si credeva un mostro

Conoscete la storia del brutto anatroccolo? E quella dell'aquila che si credeva un pollo? Pure Frankenstein è nelle vostre corde?
Bene, non ne dubitavo; se avete voglia di trascorrere qualche minuto su questa pagina, ve ne racconto un'altra.

C'era una volta il Medio Evo ricco di magie e di suggestioni, di streghe e alchimisti, di infusi misteriosi e terre sconosciute.

Genesis, viveva in un castello. Considerando l'instabilità dei tempi era uno dei posti più sicuri cui si potesse desiderare di vivere. Un microcosmo privilegiato, dove il cibo e una coperta non mancavano mai. Poteva ritenersi fortunato e, a dir la verità, se lo ripeteva spesso: "Sono stato fortunato, sono circondato da persone che mi vogliono bene".

Purtroppo per lui, non aveva fatto i conti con un antico maleficio che una strega maligna gli aveva lanciato quando, ancora bambino, era appena arrivato da lontane campagne assolate.

Con la scusa di accarezzarlo, la megera lo aveva pizzicato nella guancia e, quel vistoso neo che era cresciuto con lui, era invece la spina del suo futuro tribolare.

Come tutti sanno questi sortilegi si attivano automaticamente con il raggiungimento della maggiore età.

Se sono riuscito a trattenervi fin qui, è il momento di spiegare qual'era il suo effetto.

Premesso che Genesis era una persona sensibile, che sapeva ascoltare a fondo le persone, che si immedesimava nelle loro storie e nei loro racconti, bisogna riconoscere che una cosa è partecipare di un'emozione altrui, un'altra è essere espropriati da se stessi!

La prima volta fu davanti al fuoco, Genesis aveva superato da tre giorni la maggiore età. Era una di quelle sere umide d'autunno che al castello si passavano in un grande camerone riscaldato dal camino e illuminato dai bagliori della legna che schioppettava ardita.

Si raccontavano i fatti del giorno, un po' come un TG della sera 'ante literam'.

Quel giorno un mezzadro che lavorava i campi aveva in serbo una storia terribile: una donna era stata violentata e lasciata morire accanto ad un casolare. L'assassino era stato individuato e le guardie del Principe erano alla sua ricerca.

Genesis sussultò in preda all'angoscia, pensando tra sé: "Mi hanno scoperto, ora mi imprigionano!". Passò il resto delle ore in una specie di nebulosa mentale, finché non fu solo nella sua stanza.

In realtà il nostro amico, ricordava perfettamente tutte le azioni compiute quel giorno. Sapeva di non essere neanche uscito dal castello e, il luogo del delitto era ad oltre cinque miglia. Non poteva essere stato lui, neanche se fosse stato in preda ad una amnesia. Eppure si sentiva il colpevole, si sentiva capace di poter commettere l'atroce delitto, soprattutto aspettava da un momento all'altro che le guardie bussassero alla sua porta e lo prelevassero per gettarlo nelle terribili prigioni. Naturalmente nulla di tutto questo avvenne e lui, lentamente, cercò di dimenticare quella brutta serata.

La seconda volta, fu nuovamente preso alla sprovvista. Stava svolgendo i suoi impegnativi compiti quotidiani, quando raccolse il pettegolezzo di due serve. Due bambini erano scomparsi. Senza dubbio rapiti per essere rivenduti come schiavi nei mercati d'oltremare. Un colpevole era stato giustiziato seduta stante ed erano in corso le indagini per scoprire gli altri della banda.Per Genesis, ascoltare e scappare fu un tutt'uno. Gli sembrava tanto incredibile, quanto reale. Lui era sicuro di essere uno di quei delinquenti innominabili.


Da allora gli episodi si ripetettero in modo irregolare ma frequente. Un grave ammanco nelle provviste era stato scoperto ed enormi quantità di cibo erano state rivendute alla borsa nera. Una banda di cospiratori aveva tramato contro la vita del Principe. Orge omosessuali erano state scoperte e severamente represse.
E ogni volta Genesis, a dispetto della realtà dei fatti, si sentiva il diretto interessato. Era come se il mitico vaso di Pandora, si aprisse ogni volta, strabordando e imbrattandolo di gesti miserevoli, sentimenti spregevoli, azioni mostruose.
Ecco, Genesis, in quei momenti pensava di essere un mostro. Pensava soprattutto di essere "Diverso".
E più si sforzava di essere "Più-Uguale", irrigidendo i suoi pensieri e i suoi desideri, più si riprometteva di essere "Perfetto", con comportamenti sociali e morali tanto apprezzati dai suoi amici e conoscenti, tanto più l'angoscia di credersi "un mostro pronto a scatenarsi" si rafforzava nascostamente.

Non sapeva e non immaginava di essere sotto l'effetto di una maligna magia che imprigionava la sua mente e il suo cuore. Ma sappiatelo! anche le più devastanti magie non possono annullare fino in fondo la verità della propria anima. Genesis, in qualche parte del suo profondo istinto aveva ancora una chance. Come il residuo di un puzzle che aspettava di incontrare il suo pezzo gemello per riconoscersi e ritrovarsi.
Capitò. Erano passati anni ma capitò.
Non era una fata né un mago. L'Ascultante si mise a fianco di Genesis ed esplorò con lui ogni parte del suo essere.
Finché l'attenzione non cadde su quel grosso neo. Eccolo, profondo, radicato, inasportabile.
L'Ascultante aveva il rimedio e Genesis partì per un lungo viaggio oltre le mura del castello, oltre le campagne assolate, oltre i mari, oltre il confine della sua conoscenza.
Ogni giorno l'Ascultante consegnava all'uomo un medicamento da applicare in qualche parte del corpo. Raramente, direttamente sul neo.
Il rimedio non era strappare con violenza; il rimedio era riconoscere la presenza del neo, trovare i punti nascosti di contatto con l'anima.
Genesis contemporaneamente smise di produrre quello sforzo disumano per diventare "Uguale". Aveva, ora, le sue "Diversità" da coltivare, quelle che lo rendevano unico e irripetibile da ogni altra creatura vivente.
Capì che l'Universo vive sulla diversità, che tutto fu Creato grazie all'esistenza di una minuscola diversità, che il Futuro è diversità.
Che la diversità genera fiumi creatività, che la diversità contiene i germi della fecondità.
Quando fece ritorno al castello, fu accolto con la simpatia di sempre da amici e amiche.
Genesis, seguendo il suo istinto e la sua ragione insieme finalmente compagni di viaggio, trovò presto una donna con cui sposarsi e avere figli.
L'orto ideale per coltivare due diversità.
Si dice che ogni tanto, i due, passavano qualche ora a guardarsi reciprocamente i nei e che addirittura ridevano insieme.

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