sabato 31 dicembre 2005

Una spirale di luce

Io non ho mai studiato storia dell’arte. Per questo motivo il mio approccio alle opere d’arte è piuttosto istintuale. Nei due giorni che ho appena trascorso a Parma, mi sono imbattuto nelle opere del Correggio. Vi racconto l’approccio con l’affresco “l’Assunzione della Vergine”, nel duomo.


L’affresco mi appare altissimo sulla volta e mi dà subito un senso di vertigine al quale non sono capace di dare una spiegazione, il corpo con la testa piegata all’insù ruota cercando di individuare un punto di riferimento fisso dal quale procedere per cogliere i particolari; il risultato è quello di accrescere ulteriormente il senso di vertigine.
Poi l’attenzione è catturata dalla figura centrale circondata da un bagliore di luce; un corpo in una posa un po’ disarticolata, inquadrato dal basso all'alto. Non è una figura che ascende con la propria forza, piuttosto sembra risucchiato verso l'alto, incapace di controllare il proprio corpo. Una forza immane e folgorante lo trascina in alto, senza spazio per la retorica, per gli atteggiamenti pii, per sguardi svenevoli.

Non so mettere insieme questa figura con quella della Vergine e infatti scopro che non è Lei.
Maria è in un cerchio laterale circondata da braccia, gambe e teste. Sono gli angeli che la porteranno in cielo.

Ma la forza dell'affresco riporta la mia attenzione al "gorgo". Capisco che la mia vertigine è causata dalla spirale di nuvole, angeli e santi che sembrano formale un tunnel di luce.

Tornato a casa mi sono documentato.

E' un affresco di circa mt 11 x 11 realizzato tra il 1526 e 1530.
La decorazione della cupola comprende i quattro grandi pennacchi che ne sorreggono il tamburo in cui sono rappresentati i santi protettori della città: S.Giovanni Battista con l'agnello, S.Ilario con un mantello giallo, S.Tommaso con un angelo che sorregge la palma del martirio e S.Bernardo l'unico che rivolge lo sguardo verso l'alto. Davanti alla balaustra sono dipinti gli apostoli intenti ad osservare la scena. Nello spazio di cielo sopra di loro la Vergine sale verso il Paradiso, ai suoi piedi numerosi angeli che cantano e suonano vari strumenti. Nel gruppo di beati si riconoscono Adamo ed Eva, Giuditta con la testa di Oloferne ed al centro della cupola Gesù che scende per incontrare la madre".

"...qui l’ascesa gloriosa della Vergine si diffonde su tutta la superficie della cupola e si realizza in quel roteare lento e grandioso del corteo angelico che trova soluzione in un tripudio di armonia colore e luminosità infinita".

"Figure che hanno le vesti agitate dal vento: l'insieme dà la sensazione di una rotazione sempre più rapida dei giri alternati di figure e di nuvole. Tra queste nubi i personaggi sembrano letteralmente nuotare muovendo con forza le gambe e le braccia. Un altro accorgimento consiste nell'accentuare il chiaroscuro sfumato dei corpi la cui sostanza viene a imparentarsi con quella soffice e luminosissima delle nuvole. Insomma, se Raffaello e Michelangelo contengono le figure e lo spazio entro precisi ordini architettonici, il Correggio rovescia qui l'ideologia del tempo: inventa cioè uno spazio dominato dalla luce e dal movimento, dipingendo per primo non solo le figure ma l'aria che si interpone tra queste e l'occhio.


Il commento ammirato del grande Tiziano:
«Mai in nessun tempo è stato rilevato e in nessun paese la pittura aveva raggiunto altrettanti movimento, varietà e coraggio d'atteggiamenti». Ma non tutti comprendono, non subito. Un canonico del duomo riferendosi alla danza frenetica degli angeli che la luce del paradiso sembra strappare verso gli abissi celesti la paragona a un disgustoso «brodetto di rane». Eppure il contemporaneo Tiziano passando per Parma al seguito dell'imperatore Carlo V dopo aver ammirato la volta dice ai cittadini che lamentano il prezzo pagato: «Rovesciate la cupola, riempitela d'oro e non sarà pagata abbastanza».

martedì 27 dicembre 2005

I bravi bambini e la glassa


Ieri sera sul tavolo c'erano gli avanzi di un panettone.
Intorno al piatto si erano sparpagliati pezzettini di glassa e a turno qualcuno della famiglia allungava una mano per accaparrarsi un dolce frammento.
Poi qualcuno più arditamente ha staccato un minuscolo pezzo dallo strato di glassa che ancora ricopriva la cupola del dolce. E naturalmente è stato come un segnale, anche gli altri si sono sentiti sdoganati, così in poco tempo del panettore è rimasta solo la parte inferiore.

E' in quel momento che mi è venuto in mente un episodio.
Facevo la terza elementare e andavo a scuola insieme ad un amichetto vicino di casa.
Le mamme ci davano gli spiccioli per fermarsi nel negozio degli alimentari sottocasa e acquistare un Buondì Motta. Sì, è quello con la glassa, per- l'-appunto.
Io ero un bambino obbediente e seguivo le indicazioni della mamma, che in sintesi erano queste: "Prima si mangia la mollica anche se è meno buona, e poi alla fine la parte più dolce, la più ambita, come un premio finale".
E così regolarmente facevo.
Il mio piccolo compagno invece si buttava direttamente sulla glassa, poi sboccollenceva un po' della briosche e quando era sazio, abbandonava in qualche cassonetto i resti.

Per anni sono andato fiero del mio buonsenso e delle mie regole e, ne ho fatto un insegnamento anche per i miei figli (che in verità non hanno mai dato segno di "digerire" questo tipo di suggerimenti").
Ma, guarda un po', si cambia! Ieri non c'era traccia del bravo bambino.
Viva la glassa!

lunedì 26 dicembre 2005

Abbracci

Sarà che il periodo delle feste ricorda istintivamente le abbondanti coccole che si ricevevano insieme ai regali, sarà che l'affetto delle persone più care si rinnova ad ogni nuova stagione; magari non così esplicitamente da affiorare apertamente come pensiero ragionato, ma quanto basta per far capolino nei sogni...


Il pullman fa un ampio giro nella larga piazza assolata, manovra tra le aiuole dove striminziti alberi combattono con una cronica mancanza d'acqua e infine posteggia accanto alla casa bianca.
Io scendo con il cuore in subbuglio: è la mia casa, a Scoglitti - anche se nel sogno sembra più grande, più alta, più bianca-.

Dalla porta mi viene incontro una anziana signora con i capelli bianchi; è la zia Gina, ci stringiamo nel forte abbraccio di chi non si rivede da molto tempo.
Mi accompagna all'interno della casa; in un ampio ingresso con una larga scalinata che sale, incontro la Angela, il mio papà, la mamma, altri zii e zie dei quali non ricordo neppure più il nome: Peppina, Gaetano, Turuzzu, Vannina...
Solo un attimo di stupore per capire che sono persone che non ci sono più, che solo i vivi mancano. In un'atmosfera morbida e un po' ovattata, qualcuno mi invita a salire le scale e mi accompagna.
Ho il fiato un po' corto nell'arrampicarmi per le scale, stupito chiedo: "Perchè anche tu hai il fiatone?"; "Beh, cosa pensi anche noi in paradiso ci stanchiamo!" mi sento rispondere.

Vengo accompagnato da una vecchietta ormai senza denti, il volto segnato da rughe, gli occhi luminosi.
Il suo compito è "guardarmi dentro" nel profondo , per dirmi chi veramente sono.
Mi deve assaggiare come si assaggia un cibo elencandone gli ingredienti. Si avvicina e mi bacia in bocca, un bacio lungo, il tempo di sentire il contatto con le gengive sdentate, il calore dell'interno della bocca.
Poi si stacca ed elenca i risultati del test, come si fa con le analisi del sangue.
Scienza: un pochino;
Matematica: quanto basta;
Capacità logiche: appena sufficienti;
Poesia: abbondante;
Fantasia: straripante;
Ascolto: tanto;
Creatività: inesauribile;

Ma cosa si nasconde dietro l'immagine dell'ingegnere?

(sogno del 21/12)

Mi preparo una tisana, una di quelle che ti fanno rilassare già mentre scendono nell'esofago, di quelle che colorano intensamente l'acqua dove diffondono il loro aroma, di quelle che si filtrano col colino, con l'acqua scaldata in un pentolino che frigola appena l'acqua comincia bollire.
Poi questo pentolino è speciale è quello della mamma, dimenticato in un ripostiglio nel poggiolo, la tisana avrà un gusto diverso.
Bevo, ma ho ancora sete, ne preparerò un'altro.
Entro nella stanza che si apre nel lungo corridoio in penombra, è la camera del papà, già anziano, con i capelli bianchi.
"Quanto tempo che non ti vedo papà!".
Lo abbraccio, lo stringo al petto fortissimamente - come raramente sono riuscito a fare nella realtà - lo accarezzo nei pochi capelli arruffati che gli sono rimasti in testa.
"Quanto tempo che non ti vedo papà!".
Non ho più nessuna inibizione nel mostrarti il mio affetto e tu non ne hai nel ricevere il mio.
Ti abbraccio e sento quanto sei vicino a me ed io ad te.

(Sogno del 25/12)

domenica 25 dicembre 2005

Pranzo di Natale 1944

Il natale è già passato ma mio suocero ha nelle sue corde il ricordo di quello trascorso nel 1944

Racconto di Luigi Giacopinelli (mio suocero)



Mi trovavo prigioniero nel campo di concentramento di Ebelsberg, un paesino vicino a Linz in Austria.
Ero arrivato lì dopo anni di guerra: prima sul fronte francese, poi in Albania e infine in Grecia, dove il 28 Settembre 1944 fui fatto prigioniero dalle truppe tedesche.
Stava finendo la guerra: era l'ultimo Natale di prigionia, ma noi non lo sapevamo.
C'era voglia di festeggiare, pur nelle condizioni disumane in cui si viveva anche perché normalmente si mangiavano: rape, acqua e bucce di patate. Per questo io e i miei tre amici inseparabili (Pratolongo, Canepa e Sbarbaro) avevamo venduto sigarette e piccoli oggetti al mercato nero organizzato clandestinamente dai militari stessi, per comprare la farina necessaria a preparare un piatto di gnocchi.
Tre giorni prima della festa, impastiamo con grande entusiasmo e terminato il nostro lavoro, alziamo il soffitto, che era formato da assi di legno, e disponiamo sopra una salvietta gli gnocchi ancora freschi.
Non so se perché così sarebbero stati al sicuro o perché non c'era altro posto dove conservarli.
Arriva il giorno di Natale: una giornata freddissima, mezzo metro di neve, quindici gradi sottozero.
Per abbellire la nostra tavola vorremmo mettere dei fiori ma ci dobbiamo accontentare di un ciuffo d'erba bruciato dal freddo.
Prendiamo una latta di benzina ben pulita che sarà la nostra pentola e accendiamo il fuoco all'aperto: di solito era severamente proibito ma quel giorno i tedeschi erano più tolleranti.
La margarina, chissà se arrivata da casa o comprata al mercato nero, era pronta a condire il nostro pranzo.
Quando l'acqua bolle arriva il momento cruciale di buttare gli gnocchi.
Tiriamo su le assi del soffitto e… di gnocchi non c'è più nemmeno l'ombra, spariti!
Dopo il primo momento di incredulità, le lacrime scendono dai nostri occhi senza ritegno.
Siamo rimasti malissimo, abbiamo ancora un pezzettino di pane e una cicca di sigaretta: il giorno di Natale 1944, quello è stato il mio pasto.
Qualche ora più tardi e dopo tante domande: "chi li ha presi chi non li ha presi", capitiamo nella baracca adiacente la nostra. Lì, abbandonata, troviamo la salvietta che aveva contenuto il nostro agognato pranzo e ci rendiamo conto che il soffitto delle due baracche è comunicante.
Non è che questi soldati, prigionieri come noi, fossero cattivi, è che ognuno cercava di riportare a casa la pelle; avevano rubato per non morire.
Ancora oggi sono convinto che io, pur patendo la fame, non avrei mai fatto una azione simile, ma la consapevolezza di aver vissuto una prigionia ai limiti della dignità umana, mi fa riconsiderare quegli avvenimenti con senso di tolleranza e comprensione verso i miei compagni.

mercoledì 21 dicembre 2005

Dodici anni fa a Mallare

Si dice: quando muore una mamma si accende una stella in cielo.

E' romantico ma non è credibile, è stonato con il dolore e il crudo che si prova, sembra una favoletta fuori posto.

Il ricordo corre.


Dodici anni fa ero con MariaTeresa, testimone del matrimonio fra Pierpaolo e Lorenza, in un incantevole paesino dell’entroterra ligure. Partecipavamo della gioia di due ragazzi che durante tutto il loro fidanzamento avevano condiviso con noi il racconto dei loro primi approcci, la crescita del loro rapporto e del loro amore, le domande, i dubbi, le speranze, il progetto che si andava delineando per la loro vita.

Quel giorno noi avevamo già i nostri tre bambini che sgambettavano, mentre loro si dichiaravano “PER SEMPRE”.
E tre bambini sarebbero arrivati anche per Pierpaolo e Lorenza.
Ieri ho visto i loro tre bambini, nel piazzale della chiesa, dietro la bara della mamma, forti ma probabilmente ancora inconsapevoli del Distacco e ho visto Pierpaolo fronteggiare con forza e con piena dignità l’arrivo di un dolore accecante.
Soprattutto ho avverito in lui la consapevolezza di chi sa di non essere solo, che gli amici e le amiche lo accompagneranno con discrezione e calore finchè sarà necessario e sosterranno l'inevitabile percorso interiore per assorbire il più terribile "Cambiamento".

lunedì 19 dicembre 2005

Auguri scomodi

Tratto da "Auguri scomodi" di don Tonino Bello e adattato perchè il primo destinatario del messaggio sono io.


Non posso sopportare l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla "routine" di calendario.

Tanti auguri scomodi, allora!
Gesù che nasce per amore ci dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali. E ci conceda la forza di inventarci un’esistenza carica di donazione, di preghiera, di silenzio e di coraggio.
Il Bambino che dorme sulla paglia ci tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del nostro letto duro come un macigno, finché non avremo dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo ci faccia sentire dei vermi ogni volta che la nostra carriera diventa idolo della nostra vita, il sorpasso, il progetto dei nostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle nostre scalate.
Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, ci costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la nostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l'inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell'affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei nostri cenoni, rimproveri i tepori delle nostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle nostre luminarie, fino a quando non ci lasceremo mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla nostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l'aggravante del nostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si fabbricano armi, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell'oscurità e la città dorme nell'indifferenza, ci facciano capire che, se anche noi vogliamo vedere "una gran luce" dobbiamo partire dagli ultimi.
I pastori che vegliano nella notte, "facendo la guardia al gregge ", e scrutano l'aurora, ci diano il senso della storia, l'ebbrezza delle attese, il gaudio dell'abbandono in Dio.

Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

giovedì 15 dicembre 2005

Il quadro

Sono in un grande parco, dove tutte le persone si sono sparpagliate e io mi sono smarrito alla ricerca del quadro che ho perduto.

(Sogno del 13/12)

Quel quadro aveva una cornice che lo racchiudeva e abbracciava:


















Quale avrebe potuto essere il soggetto che raffigurava quel quadro?







L'annunciazione di Antonello da Messina. Mi piace per la grande acutezza del suo sguardo e per la profondita’ dei sentimenti che sembrano trasparire dal volto.

lunedì 12 dicembre 2005

L'impostora

La donna depone la bambina nella culla, ma lo fa in maniera goffa, non è un gesto carico d'affetto, neppure quello stanco dopo una giornata di fatica o quello irritato per un sonno che non arriva.
E' un gesto sconclusionato, la bimba acchiappata per un piede e una mano e deposta all'interno del lettino come un sacco. Una totale incapacità di instaurare un rapporto vitale, un gesto (mettere a riposare un figlio) malamente recitato a memoria, la sommatoria di movimenti sbagliati.

Io guardo la scena da una posizione neutra e capisco: quella non è la mamma è una impostora.
Rivedo un pezzo della sua vita.
Un corridoio di ospedale, la donna portata a braccia da due infermieri, uno a destra e uno a sinistra, una mano sotto il ginocchio l'altra sotto le ascelle, le gambe divaricate.
Lei è incinta, il parto incombe, inaspettato e cruento. Perchè non l'hanno deposta su un lettino? Perchè stanno peggiorando le cose con un comportamento per niente professionale?
Ancora pochi istanti e macchie di sangue chiazzano il pavimento del corridoio. Il bambino è perso, la madre subisce l'impatto dello shock rimanendo segnata per sempre.
E' la storia dell'impostora che aveva perso un figlio ed ora vorrebbe essere madre, ha rubato una bimba, ma i suoi gesti tradiscono la verità: non sa come si ama.

(Sogno del 3/12)

Ci sono persone che non sono capaci di essere padri e madri; non parlo del papà e mamma naturali ma penso alla relazione fra le persone, a quello strano gioco psicologico che trasforma ognuno di noi, a volte, a seconda della situazione in cui si trova, in padre o madre o in figlio.
E' vero si potrebbe ricercare nel passato di queste persone una giustificazione, e la si troverebbe di sicuro, ma rimane il fatto che sono incapaci di generare amore.

L'importante è non aspettarsi che questo genere di persone si comportino da madre amorevole o padre incoraggiante.
Se lo scrivo è perchè, ahimè, io ogni tanto ci casco e magari mi aspetto che il mio capo sul lavoro mi faccia da madre...poi faccio questo tipo di sogni.

Le intermittenze della morte

Cosa succederebbe se la morte un bel giorno decidesse di sospendere la sua quotidiana raccolta di vite?
E' quello che ipotizza Josè Saramago, nel libro "Le intermittenze della morte".
E a pensarci bene, una situazione che inizialmente provocherebbe scene di entusiamo e felicità, ben presto si rivelerebbe in tutta la sua drammaticità. Scompigli sociali, paradossi, fallimenti di intere categorie di lavoratori, viaggi clandestini organizzati dalla criminalità oltre la frontiera (dove si continua a morire regolarmente), crisi religiose.

Il libro dà uno spunto per capire quanto legata alla vita sia... la morte.
Senza la separazione della morte, senza questo cambiamento così radicale e definitivo, non potrebbe esistere la vita, almeno nei termini in cui noi la conosciamo.

Eppure la morte vorremmo sfuggirla sempre, sia che riguardi la separazione dai nostri amici, dai genitori, dai figli... o sia per allontanare quella che ci riguarderà in prima persona.

Durante la lettura del libro mi sono ritrovato spesso a sperare pagina dopo pagina che la morte si decidesse a riprendere il suo abituale lavoro, senza ulteriori espedienti. Ho avvertito il diritto alla morte di ogni persona profondamente legato e connesso al diritto alla vita, alla dignità della vita; una morte che arrivi "quando lo decide lei" senza lettere di preavviso, senza stratagemmi.
Mi sono ritrovato a inseguire uno "status" che mi appariva l'ideale equilibrio fa paura e speranza, conservazione e rinnovamento, panico e consapevolezza e che poi è la realtà. La realtà è l'ideale.

Ma il libro comincia e finisce nella sua logica assurda: "il giorno seguente non morì nessuno".

domenica 4 dicembre 2005

La collezione di monete


I miei figli hanno raccolto una grande quantità di monetine, ma nei cestini della cartastraccia ce ne sono molte altre; hanno scartato e gettato via le vecchie lire italiane e tutte quelle straniere, probabilmente anche quelle che avevo raccolto io in tanti anni.
Hanno tenuto solo gli Euro, mettendo ben in evidenza l'emissione dell'anniversario, sì, quelle che messe tutte una accanto all'atra formano un unico grande Euro celebrativo...
Strano, di solito si collezionano le monete antiche, io avrei fatto il contrario, tenuto le lire e le monete degli altri paesi.
Nel pensare questo, con un gesto maldestro, faccio cadere un buon gruzzolo di monete "buone" nei cestini.
Ma ora ho un po' di difficoltà a raccogliele; sembrava un lavoro veloce e semplice, ma si sono mescolate, bisogna ripassarle tutte, una per una, e poi nel cestino ci sono anche torsoli di mele e bucce di frutta, si sporcano le mani...

(Sogno del 3/12 )

Forse ci sono dei momenti in cui si pensa che le proprie emozioni, ma non solo quelle, anche il proprio modo di essere e sentire le cose, si possa separare, si possa selezionare, catalogare come una collezione di monete. Ci sono parti che sembrano non avere più valore e si pensa di poterle buttare via (invece più passa il tempo, più diventano importanti e, ciò che oggi è "vecchio", diventa "antico").
Invece basta un gesto maldestro, uno di quei movimenti che non hai programmato di fare (come quando si dà una zuccata involontaria nello sportello della cucina), sì, un gesto istintivo, una gaffe, un ophs, un attimo in cui perdi il controllo dei pensieri razionali costruiti pazientemente dalla volontà e dalla ragione e, il tuo io più profondo, ristabilisce le distanze, rimescola le carte, ti toglie le certezze (che poi sono quelle che ti impediscono di crescere).

Immagino la fine del sogno così:
Vado a cercare una grande boccia trasparente capace di contenere tutta la mia collezione di monetine, poi le metto tutte lì dentro, euro, lire, franchi, sterline, pence, pesos e quant'altro ho saputo raccogliere e raccoglierò. Poi una bella mescolata, una scrollata tintinnante e colorata.
Poi poso la boccia su un tavolo, mi pongo lì davanti con la stessa predisposizione che si ha verso l'acquario dei pesci o verso un caleidoscopio e, guardo, rimescolo e guardo, rimescolo e ricordo, rimescolo e sogno, rimescolo e fantastico, rimescolo e vivo.

lunedì 28 novembre 2005

Via del Commercio


Via del Commercio,
novantacinque scalini, ingresso, camera da letto, cucina, bagno e salotto facente uso di camera mia o viceversa non so.
Domenica scorsa ho sognato di ritornarci dentro.
E' completamente ristrutturata le stanze appaiono ingrandite, nel salotto c'è lo spazio per larghi divani, tendaggi abbondanti, separèe colorati. Tutto appare diverso anche in cucina e così nelle altre stanze. Solo dalle ampie porte finestre la prospettiva non è cambiata e le stanze sono sempre illuminate dalla luce. Ma io mi lamento il lavoro di rifinitura ai muri non mi piace, ci sono difetti nella stesura della tappezzeria, il battiscopa non è di mio gradimento.
Con me ci sono Dario e Marianna che mi accompagnano in questo sopralluogo; poi rimango solo, allora posso esprimere il mio vero stato d'animo e piango come davanti a qualcosa che si è perso per sempre, che è cambiato e non ritornerà più, la casa che io ho in mente e fa da riferimento a tutti i miei ricordi non può essere questa, così ampia, così rinnnovata e arricchita. Ho nostalgia dell'altra perchè contiene la mia storia.

(sogno domenica 27/11)

L'elefante e il cagnolino

Io faccio parte di quelle persone che sono sensibili al giudizio che gli altri gli attribuiscono.

Certo c'è gente e gente. Una cosa è preoccuparsi per ciò che pensano i propri familiari, un'altra è il primo automobilista che ti incrocia, un'altra ancora il proprio capo, un'altra i vicini di quartiere.
De Mello risolve la questione con la storiella dell'elefante sceso in città:
"L'elefante va per la sua strada senza neppure curarsi di osservare ciò che la gente pensa o fa, mentre il cagnolino abbaia a ogni altro cane che incontra e alla gente che proviene dalla direzione opposta".

Temo che il mio concetto di elefante e quello dello scrittore non coincidano, perchè così descritto mi richiama alla mente una di quelle persone che passano nella vita incapaci di comprendere che oltre se stessi esistono "gli altri".
Ma DeMello sta parlando con un suo allievo che è ben lontano dal somigliare all'elefante. Allora considerando che questi tipi di "elefanti" non si pongono certo questi problemi, il messaggio sembra rivolto a tutti gli altri:
- Ciò che vali, le tue sicurezze, le tue capacità dipendono da te stesso. Se saprai far crescere questa consapevolezza potrai andare con la serena e bonaria forza di un pachiderma, che non si cura delle critiche, dei pregiudizi, delle piccinerie, che non richiede improbabili approvazioni da persone che non hanno il titolo per darne.

venerdì 18 novembre 2005

Papà Toledo prigioniero di guerra a Hereford (Texas)

Perchè non ho preso appunti quando papà era ancora in vita?
Eppure da ragazzino mi "bevevo" tutti i suoi racconti di guerra, soprattutto quelli del periodo di prigionia negli USA.
Oggi ho sete di particolari che ho cercato in rete e nei cassetti del comò.

Il Caporal Maggiore Toledo Trichini, 5° parco automobilistico d'armata:
  • Sbarca a Tripoli il 18 Settembre 1942
  • Seguito ripiegamento è a Tunisi 8 Dicembre 1942
  • Viene catturato dagli inglesi l'11 Maggio 1943
  • Viene trasferito nel campo 17 di Casablanca il 15 Giugno 1943
  • Da qui è imbarcato per gli Stati Uniti il 23 Luglio 1943

  • Del periodo americano mancano date certe ma le lettere del Vaticano e della CRI testimoniano la sua presenza in Texas in data 12 Febbraio 1944 (allo zio Giuseppe di Pozzallo e al suo papà Vincenzo), 13 Aprile 44 (indirizzata ancora a Vincenzo Trichini).
    Matricola di prigionia 8WI-31695.
    Hereford è stato uno dei campi di prigionia più grandi degli Stati Uniti, più avanti riporto la traduzione di un sito che ne racconta la storia.

    Ma per non so quali percorsi papà Toledo viene spostato anche in Arizona (non documentato) e alle isole Haway, quest'ultimo fatto confermato dal foglio matricolare.

  • Rimpatriato da isole Haway il 28 marzo 1946 (m/v Sea Witch)
  • Sbarcato a Napoli 4 Maggio 1946.

    Traduzione sintetica del sito
    http://www.tsha.utexas.edu/handbook/online/articles/HH/quh1.html

    RISERVA DI HEREFORD E CENTRO DI RICEZIONE MILITARE. La riserva di Hereford ed il centro di ricezione occupavanoo 800 acri di terra nelle contee di Castro e Deaf-Smith, 3½ miglia a sud-est di Hereford. Il secondo in estensione fra gli accampamenti per i PRIGIONIERI DI GUERRA negli Stati Uniti, ha ospitato circa 5.000 prigionieri italiani e circa 750 addetti militari degli Stati Uniti. Anche se era indicato come un accampamento provvisorio, la riserva era costruita con funzioni di massima sicurezza. Il dipartimento di guerra annunciò l'autorizzazione il 30 giugno 1942 e la costruzione effettiva cominciò in ritardo in luglio.

    I primi internati arrivarono nel mese di aprile del 1943. Erano tutti italiani, con l'eccezione di un gruppo dei tedeschi che furono diretti all'accampamento per errore e rapidamente furono trasferiti dopo un tumulto. Gli italiani si rivelarono essere garbati, grandi lavoratori ed gente fidata. La politica di massima sicurezza presto fu sostituita da una politica di massima utilizzazione e gli uomini furono impiegati all’esterno per lavorare ai poderi locali con una paga di dieci centesimi all'ora. Gli ufficiali, tuttavia, furono incarcerati in aree separate e non fu loro richiesto di lavorare. Il rispetto reciproco che si sviluppò fra i prigionieri ed i loro carcerieri è dimostrato dalla chiesa cattolica di S. Mary in Umbarger. Là, sette ufficiali e due soldati semplici italiani costruirono sculture di legno, pitturarono pareti e installarono mosaici alle finestre, donando il loro lavoro in spirito di fratellanza cristiana. I parrocchiani contraccambiarono fornendo loro generosi pasti; ogni notte gli italiani portavano di nascosto l'eccedenza dentro il campo degli ufficiali, che erano sottomessi a restrizioni sul cibo. Da ottobre fino a Dicembre del 1945 un certo numero di prigionieri che erano esperti artisti , artigiani e decoratori di vetro costruirono una cappella in onore dei loro cinque camerati che erano morti nell'accampamento. Furono sepolti uno ad ogni lato della cappella. Dopo la guerra i loro corpi furono inumati e rinviati in Italia.
    Il rapido rimpatrio cominciò con la conclusione della guerra, nel gennaio 1946 gli ultimi 3.999 prigionieri furono imbarcati sui treni speciali per il loro ritorno in Italia. L'accampamento fu dichiarato superfluo il 1 febbraio 1946. Di conseguenza, tutto quello che rimase fu una torretta dell'acqua, il serbatoio ed la piccola cappella. La cappella cadde in abbandono e divenne vittima del vandalismo fino a metà degli anni 80, quando la Commissione Storica della contea di Castro di adoperò a restaurarla. Il 30 aprile 1988, una cerimonia fu tenuta in onore dell’avvio dei lavori di ripristino della struttura che misura tredici piedi-quadrati. Un gruppo di italiani, compreso sedici Prigionieri di Guerra, assistettero, donarono soldi e bozze di schizzi originali e fotografie in sostegno del progetto. La cappella ricostruita fu consacrata il 18 giugno 1989 e ricevette lo stato manufatto storico l’8 maggio 1993.


    Il quadro di riferimento trovato in rete ha molte analogie con i racconti di papà.
    Era la descrizione di una "piacevole" prigionia, dove i militari erano trattati con rispetto, dove lui poteva lavorare secondo le sue capacità di ebanista e possedere una tromba.
    Ricordo i suoi aneddoti sulle gare che un capetto americano gli faceva fare per misurare quante bottigliette di coca-cola e di gelati era in grado di trangugiare di seguito. Gare che a quanto pare finivano sempre con lunghi soggiorni in ...latrina.
    Oppure quelli sui dispettosi prigionieri "fascisti" che volevano sabotare gli USA e allora piantavano il cotone con le radici in su...provocando, al massimo, le risate scomposte degli americani.

    I contatti con casa, da un certo punto, ricominciarono perchè ho trovato due lettere:
    la prima del 22 Dicembre 1944 testimonia che i contatti erano già stati ristabiliti, poi informa:
" il mio lavoro è sempre da falegname e la mia dimora è fra i reticolati; ben trattato, di robusta costituzione fisica e morale...arrivederci e sempre allegri".
Quella del del 14 Gennaio 1946 è l'ultima lettera prima del ritorno e papà si preoccupa della sorella Irene (non è che è andata promessa sposa con quel tale, che è un poco di buono?) e del suo imminente rientro.
Tra i resti del comò ho trovato anche il numero del 30 Settembre 1945 di "Volontà" - settimanale dei prigionieri di guerra italiani, campo n.1 Hawaii e un attestato di possesso di una "trumpet".

domenica 13 novembre 2005

Quinta TA















33 Anni sono passati! Ho rivisto un gruppo di compagni di classe del triennio all'ITI Galileo Galilei, sezione Telecomunicazioni.
Sono uscito di casa emozionato come un ragazzino; mentre mangiavamo, i nostri sguardi scorrevano ora sull'uno ora sull'altro alla riscoperta, in quei volti da cinquantenni, delle vecchie sembianze.
Che tenerezza! Lentamente fra le rughe riaffioravano le stesse mimiche, gli stessi intercalari, si azzeravano carriere e titoli e prendevano spazio le vecchie gerarchie interne alla classe.
I ricordi di uno si intrecciavano confusamente con quelli degli altri ricomponendo un disordinato e folkloristico mosaico fatto di affetti, scherzi, complicità, riconoscenza, nostalgia.

lunedì 7 novembre 2005

6 Novembre 2005

Ci sono giorni che devi fissare nella memoria perchè arrivano cambiamenti che non ti aspetti.
In questo caso sono segnali di maturità e consapevolezza di un progetto di vita responsabile. Ma ci sono voluti molti minuti per metabolizzare la portata dell'annuncio ricevuto:
Marianna e Dario hanno deciso di sposarsi il prossimo Giugno 2006.

giovedì 3 novembre 2005

Cronache marziane

Con l’esclusione della Bibbia e del Vangelo, il libro che ho letto più volte è “Cronache Marziane” di Ray Bradbury.
Intorno al 1972/73 penso di aver letteralmente sbriciolato e consumato l’edizione economica che mi ero procurato.
E’ una raccolta di episodi che illustrano la conquista di Marte e l’improvviso ritorno alla Terra per lo scoppio di una guerra devastante.
E’ l’ipotetica storia di come una civiltà in espansione può cancellare i popoli indigeni in nome del progresso e dell’avidità economica, proprio come è successo nella realtà storica con la scoperta dell’America e l’annullamento dei Maya, Indios, Pellerossa…
Ma con la fantascienza si può anche indagare sul mondo interiore della mente, degli affetti, della identità degli individui.
Vorrei provare a riassumere il capitolo

Settembre 2005 – Il Marziano.

La corsa verso Marte è in pieno svolgimento, si costruiscono nuove città popolate di persone che per motivi diversi vogliono ricominciare da capo una nuova vita.
Il vecchio LaFarge e la moglie erano venuti su Marte per godersi la vecchiaia in pace, e per dimenticare Tom. Il figlio morto da tanto tempo.
Mentre la pioggia blu cadeva dolcemente sulla casa, i due sentono qualcuno fischiare nel giardino. Il vecchio va a controllare e nella penombra vede un bambino che sembra proprio il loro figlio Tom. E’ incredibile, ma il desiderio di riaverlo supera ogni perplessità e il ragazzo può entrare e inserirsi con naturalezza nella loro vita come se fosse sempre stato con loro.
Solo il vecchio LaFarge ha il coraggio di indagare sulla realtà:

"Tom, come hai fatto a venire qui? Sei dunque vivo?"
"Perché? Non dovrei esserlo?; tu mi vuoi qui con te, non è vero? Il ragazzo sembrava preoccupato"
"Oh sì Tom"
"Allora perché tante domande? Accettami!"
"Chi sei veramente? Tu non puoi essere Tom, ma sei bene qualcuno. Chi dunque?"
"Ti prego non…>. Sconvolto il ragazzo si coprì la faccia con le mani.
"Tu sei un marziano, non è vero? Ho sentito raccontare tante cose dei marziani . Ho sentito dire che sono pochissimi e che quando vengono fra noi, ci vengono come creature terrestri. C’è qualcosa in te...sei Tom e nello stesso tempo non lo sei".
"Perché dunque non puoi accogliermi senza far tante domande?" Disse il ragazzo con voce di pianto. E si copriva completamente il volto con le mani.
"Non dubitare, ti scongiuro, non dubitare di me"
Venne il giorno in cui Anne LaFarge decise che era giunto il momento di andare tutti insieme in città. Il ragazzo provò a ribellarsi dicendo che aveva paura di cadere nella trappola. Ma alla fine dovette arrendersi.
Una volta in città, nella via principale affollata, un gruppo di persone incrociate sulla strada li costrinse a dividersi.
I vecchi LaFarge persero di vista il ragazzo, pensarono di rivederlo al molo e si affrettarono. Incrociarono un’altra coppia di conoscenti, anche loro su Marte dopo la perdita della loro figlia diciottenne…
LaFarge si diresse verso la loro casa e vide al suo interno, la ragazza, improvvisamente ritrovata, cantare serenamente.
Il vecchio aspettò l’occasione poi chiamò:
"Sono io".
La ragazza si sporse: “Io ti conosco” disse con dolcezza.
“Tu devi tornare a casa”. La figura illuminata dal chiaro di luna , sotto il portico, si ritrasse nell’ombra, così non aveva più identità era soltanto una voce: “Io non sono più tuo figlio, non saremmo mai dovuti venire in città”.
E di fronte alle insistenze di ritorno:
"Io non sono nessuno, sono soltanto me stesso; ovunque io mi trovi, sono qualcuno ed ora sono ciò che non puoi cambiare".
Ma non era vero, la forza del desiderio di LaFarge era forte e la ragazza tornò ad essere ancora Tom e insieme scapparono verso la barca che doveva riportarli al sicuro.
Ancora una volta però il destino li separò e quando si ritrovarono vicini, Tom, o meglio quel che rimaneva di lui, era inseguito da una folla di persone.
Era evidente quello che era successo. Tom che correva a perdifiato per le vie, solo, sfiorando i rari passanti. Un poliziotto vedeva la figura saettare via, e si lanciava al suo inseguimento, gridando: "Fermatelo", perché aveva riconosciuto il volto di un celebre criminale. E lungo il percorso, la stessa cosa, uomini qui, donne là.
Quanti nomi diversi erano stati chiamati in quei cinque minuti d’inseguimento? Quante diverse facce si erano forgiate, nessuna vera, sulla faccia di Tom?

Gli avvenimenti precipitano, Tom è circondato dalla folla, scosso da brividi, da tremiti continui.

Dinnanzi ai loro stessi occhi egli mutava ininterrottamente. Era Tom, era James, era un uomo chiamato Switchman, era il sindaco, la giovane Judith e il marito Williams. Era cera molle che si foggiava secondo le immagini delle loro menti. Essi urlavano, si spingevano avanti, pregavano. Mentre lui gridava, la sua faccia si dissolveva ad ogni richiesta. Fino a quando, con un ultimo urlo di terrore, egli cadde.
Rimase disteso sulle lastre di pietra, cera sciolta che si rassodava, la sua faccia tutte le facce, un occhio azzurro, l’altro d’oro, capelli che erano castani, rossi, biondi, neri, un sopracciglio folto, un altro esile, una mano grande l’altra piccina.
“E’ morto” disse qualcuno, alla fine.

Chi è in realtà il marziano, chi viene rappresentato in questo personaggio?
E’ una creatura che ha bisogno di essere amata, di più, ha bisogno di un’amore così forte da dare forma al suo corpo, ai suoi pensieri, ai ricordi, alla sua personalità.
Non può fare a meno di questo legame pena il suo annichilimento. E quando deve far fronte all’inevitabile separazione, si svela tragicamente tutta la sua fragilità.
In questa storia il finale è drammatico, la creatura soccombe, dilaniato da mille amori che vorrebbero possederlo.
Più spesso nella realtà questo dramma si vive solo dentro se stessi, prima dell’età adulta, quando si devono fare i conti con la separazione dai genitori. A volte, nonostante le apparenze, la consapevolezza della propria identità e autonomia, passano da un lungo cammino di maturazione sui sentieri che le circostanze della vita propongono.
E comunque imparare ad amare è cosa che non finisce mai.

domenica 30 ottobre 2005

Vittoria

La Città di Vittoria, dove sono nato. Ogni foto un ricordo.
La Chiesa di San Giovanni dove mi hanno battezzato e si sono sposati i miei genitori; l'enorme piazza del Calvario dove abitavano i nonni e le zie; piazza del Popolo dove andavo con papà a comprare la granita e il cannolo; i grappoli d'uva che riaccendono l'immagine del nonno che beveva il "suo" vino direttamente dal "bombolotto" attraverso un piccolo foro; le campagne con la terra rossa, gli ulivi e i bianchi muretti a secco; Scoglitti per rotolarsi nella sabbia finissima e giocare nell'acqua bassa del mare; i balconi e le finestre liberty che sembrano proprio quelli di casa mia.
Ma soprattutto la luce; il ricordo più vivo, il marchio di riconoscimento che mi fa immediatamente riconoscere quei posti da tutti gli altri; è una particolare tonalità della luce: riflessa dalle strade, dai muri delle case e dai casolari battuti dal sole, dai teloni delle serre, che filtra tra gli ombrosi alberi di carrubo e di gelso, che abbaglia quando fissi la terra polverosa.


Storia
Arte, Cultura e Sport
Palazzi e Monumenti
Viaggio nel Liberty
Feste e Tradizioni
Gastronomia

sabato 29 ottobre 2005

Gara di nuoto

Gara di nuoto ad eliminazione.
Pronti a buttarsi in acqua, ci sono anch'io!
L'acqua è fredda.
Non ho l'asciugamano.
Veramente non ho neppure il costume.
Io quasi quasi non mi butto.

(sogno 13/10)

venerdì 21 ottobre 2005

Cambiare o non cambiare

"Prima vi dicevo sempre: cambiate! Cambiate anche solo per il gusto di cambiare. Quando non avete un motivo positivo e forte per non cambiare, cambiate! Cambiare è vivere, svilupparsi crescere; perciò se volete continuare a vivere, continuate a cambiare.
...
Ma ora vi dico il contrario: non cambiate! Cambiare non è possibile nè desiderabile. Restate come siete. Amatevi come siete e il cambiamento, se sarà possibile, avverrà da sè, quando vorrà se vorrà."

E' Carlo Valles che parla di Tony DeMello!

"L'apostolo più fervido del cambiamento, all'improvviso cambiava per dirci di non cambiare."

Ma io non trovo alcuna contraddizione anzi è la logica maturazione del pensiero.

"Ciò che ci spinge a cambiare noi stessi o gli altri è generalmente la mancanza di indulgenza, di sopportazione e questo non è accettabile. In questo caso quello che dobbiamo aggredire non è la necessita del cambiamento ma la mancanza di indulgenza."

Deve cambiare la necessità di cambiare a tutti i costi, di voler essere perfetti.

martedì 18 ottobre 2005

Il treno

Qualche giorno fa ho dormito in un agriturismo toscano situato vicino alla ferrovia. E' la linea che fiancheggia il mar Tirreno, porta dal sud al nord e viceversa.
Ho faticato un po' ad addormentarmi e per questo motivo ho sentito passare tanti treni. Un rumore che nel dormiveglia mi risuonava familiare e che mi ha fatto ripercorrere i tanti viaggi che dopo il trasferimento della mia famiglia da Vittoria a Genova ci riportavano ogni estate alle nostre origini.

Il mio posto era quello vicino al finestrino e anche se il papà non era riuscito a prenotare i posti le persone erano ben disposte verso un bambino...
Naturalmente stavo con gli occhi incollati al vetro cercando di assorbire tutti i fotogrammi del film che mi scorreva davanti.
Scoprivo e mi interrogavo vedendo le colline lontane che scorrevano lentamente lasciandosi ammirare con calma, mentre gli oggetti vicini sfrecciavano via uno dietro l'altro quasi ancor prima di averli visti.

Ogni tanto il treno ingaggiava una gara appassionante all'ultimo sprint con un'automobile che viaggiava su una strada parallela e in genere eravamo noi a vincere la sfida!

Poi le gallerie, quelle lunghe che non finivano mai: l'unico diversivo era vedere come il vetro si trasformava improvvisamente in uno specchio che rifletteva me, appiccicato al vetro, e il resto dello scompartimento, alle mie spalle; oppure mi potevo concentrare su quella riga bianca tracciata sulla parete della galleria che andava su e giù, stupidamente su è giù senza che nessuno sapesse dirmi il perchè.
Invece altre gallerie erano insopportabili: per un attimo vedevo il mare a strapiombo, uno spettacolo mozzafiato e subito il buio e poi ancora uno squarcio e di nuovo il blackout, che rabbia!
Con gli anni e con i primi studi della scuola ero capace di riconoscere i vari paesaggi.
La Liguria era emozionante nel viaggio di ritorno perchè era la mia casa che si avvicinava, la Maremma era dolcissima perchè aveva le curve morbide, il passaggio da Roma era spesso invisibile perchè a quell'ora dormivo, la Calabria era selvaggia, spigolosa, la Sicilia, la Sicilia!

L'arrivo a Villa San Giovanni era magico, se dormivo la mamma mi svegliava per non farmi perdere lo spettacolo.
Lentamente il treno si avvicinava al traghetto, accompagnato da uno stridore di metallo acutissimo, poi tornava indietro per la manova; una due tre quattro volte e poi toccava a noi.
La carozza entrava nella pancia della nave sfiorando un intrico di tubi piccoli e grandi, di cavi, di scalette e un odore di grasso e di mare pizzicava il naso.

Bisognava indossare il giacchettino e poi si scendeva; per fortuna c'era il papà che sapeva riconoscere la nostra carrozza e la sua posizione nella nave altrimenti la mamma ed io ci saremmo persi...

Guardano dal ponte del traghetto, fianco a fianco dei miei genitori, avvicinarsi la Sicilia ho imparato a commuovermi ed emozionarmi ogni volta che rimetto piede nella mia terra.
Io che ci ho vissuto solo quattro anni!
Si avvicina quella striscia di monti e batte il cuore come per un amore mai dimenticato. "Enzo guarda la madonnina", è il porto di Messina.
Presto, si mangia al bar un arancino e si torna in carrozza.
Da quel momento il viaggio è in discesa, si aspetta di vedere l'Etna, la terra nera e feconda della sua lava. Gli agrumeti della piana e infine la pietra luminosa dei monti iblei, le serre della campagna di Vittoria, il papà che racconta di quando faveva la gara col treno a vapore, lui in bicicletta, da Vittoria a Gela.

Che viaggio! Il rumore dei binari, l'incessante dondolio, il puzzolente velluto dei sedili, l'odore dei piedi, i finestrini aperti, i finestrini chiusi, il nauseante odore delle toilette, il papà che scende alla stazione per riempire la bottiglia d'acqua e il treno parte e io non lo vedo tornare e la mamma che mi rassicura: "è salito in un'altra vettura", le stazioni verdi, quelle minuscole che il mio treno si mangia senza lasciarti il tempo di vedere il nome, quelle con gli altoparlanti che non si capisce niente, e ancora il rumore dei binari, l'incessante dondolio... mi sono addormentato viaggiando ancora una volta nel treno dell'Etna, nel treno del Sole.

domenica 9 ottobre 2005

Sogno collettivo

"Saaah..., Sà..., un, duè, prova...va bene....
Sono qui per confermare quello che già sapete. Il tesoro è stato trovato! [applausi incontenibili tra la folla]. Questa vicenda è nata un po' casualmente dopo che in una villa, qui vicino, della riviera ligure di levante sono stati ritrovati incartamenti e mappe che segnalavano la presenza di un antico tesoro.
Un po' per volta si sono aggregate persone provenienti da varie parti della regione, di età e sesso differente. Con il passare dei giorni è cresciuta un'amicizia, un legame, una vera intesa, un affetto fra loro, fra noi, che ha superato l'ambito della caccia al tesoro.
Dopo tante piste false, le circostanze che hanno portato al ritrovamento sono quantomeno singolari. Infatti l'indicazione giusta è arrivata attraverso un SOGNO.
Si trattava di cercare meglio nel giardino della villa, in un ripostiglio ricavato nella parete, dove sono conservati alcuni attrezzi.
Era stato un dei primi posti controllati ma, quel sacchetto, non aperto, sembrava dovesse contenere solo chiavi inglesi e cacciaviti...
Ma la circostanza veramente particolare è che il sogno è stato collettivo. Proprio così, tutti noi abbiamo sognato nella stessa notte la stessa cosa!
Non ce lo sappiamo spiegare ma questa stranezza rafforza il nostro legame. Anche in futuro ragazzi e ragazze, cinquantenni, magri e grasse, da Genova o Imperia vogliamo rimanere in contatto"

[Koof...Thrruuuh...tum...si allontana dal microfono mentre un'altra persona comincia a fornire i dettagli tecnici]

(sogno 9/10)

sabato 8 ottobre 2005

Nell'anticamera del dottore

Un uomo entra nella stanza dello studio medico, sta accompagnando la moglie per una visita dal ginecologo. Attende insieme ad altre persone fra le solite riviste appoggiate confusamente in un tavolino e vecchie umide tappezzerie ai muri.
Una segretaria inizia il programma previsto per l'intrattenimento, parla con voce suadente per qualche minuto poi accanto a lei un chitarrista arpeggia qualche nota mentre lei proietta delle immagini su uno schermo bianco.
Sembra uno di quegli stucchevoli incontri di propaganda religiosa, e questa sensazione lo irrita, rivolge lo sguardo alle pareti e scopre che sono invase da minuscoli insetti, rivoltanti sciami di chiazze nere si muovono sopra la squallida parete.
Si alza, protesta, minaccia: "Così perderà tutti i suoi clienti".
Un uccellino (dev'essere entrato dalla finestra socchiusa) saltella nel pavimento, così fuori posto in quell'anticamera da sembrare irreale, poi una colomba bianca con le ali aperte plana sopra l'uccellino e inspiegabilmente lo sbrana. Ha un becco rapace e si accanisce sui resti della piccola creatura.

(sogno 7/10)

venerdì 7 ottobre 2005

Il passato gli apparve infinitamente lontano, infinitamente superato

"Profondo fu il suo sonno, e libero da sogni: da lungo tempo non aveva più conosciuto un sonno tale. Quando si risvegliò dopo parecchie ore, fu come se dieci anni fossero trascorsi: udì il lieve sussurrare dell'acqua, e non sapeva dove fosse, nè chi l'avesse portato qui; schiuse gli occhi, guardò con meraviglia gli alberi e il cielo sulla propria testa, e si ricordò dove fosse, e come fosse venuto qui. Ma gli occorse per questo un certo tempo, e il passato gli apparve come avvolto in un velo, infinitamente lontano, infinitamente superato, infinitamente indifferente".

da Siddharta di Hermann Hess

mercoledì 5 ottobre 2005

Il pesciolino alla ricerca dell'oceano.

"C’era una volta un pesciolino che chiedeva informazioni a chiunque incontrasse. «Scusate», diceva tutto agitato, «sto cercando l’oceano, sapete dirmi dove posso trovarlo?». Ma pareva che nessuno lo sapesse. Finalmente un giorno incontrò un pesce più anziano e più saggio di lui che gli rispose: «Certo che so dov’è l’oceano!».«Ah, sì? E dov’è?», chiese ansiosamente il pesciolino.«Ma non vedi? L’oceano è qui, intorno a te. Ci stai nuotando dentro». Ma la risposta non convinse il pesciolino: «Questo non è l’oceano. È solo acqua», disse fra sé, e nuotò in un’altra direzione alla ricerca di una diversa, e più soddisfacente risposta."
De Mello

Per dire, le risposte si trovano se si vogliono trovare ovvero la verità è davanti agli occhi.

domenica 2 ottobre 2005

Il cambiamento secondo Vittorino Andreoli

Domande a Vittorino Andreoli (clicca per link):
STUDENTE: Nel rapporto con gli altri, quanto può e quanto deve cambiare il carattere di un individuo?
ANDREOLI: Nel rapporto con gli altri l’uomo deve più guardare alle proprie capacità di cambiamento che alla sua tendenza alla staticità.
Ciò non significa essere incoerenti. La coerenza interna di un individuo può viaggiare benissimo accanto all’"adattamento" all’ambiente, nel senso darwiniano del termine. Charles Darwin parla di "adattamento", ma non di "passività". La fitness di Darwin è l’intensificazione della vita, il protagonismo. L’origine della teoria evoluzionistica sta proprio nella fitness indicata da Darwin, nel "cambiamento" della specie.

STUDENTE: Secondo Lei, queste "maschere" sono imposte dalla società o siamo noi ad indossarle per difenderci da eventuali pregiudizi?
ANDREOLI: Io dico che é la società ad imporle. Indubbiamente la società richiede un’infinità di adattamenti all’uomo. Sono adattamenti dettati dagli ambienti in cui l’uomo vive e lavora. Una società complessa come quella attuale richiede necessariamente dei "travestimenti". Ognuno è in grado di opporsi al "travestimento" identificandosi nel proprio "sé" dinamico. Pertanto il cambiamento non rappresenta una falsificazione della realtà, ma semplicemente il modo che ha l’individuo di adattarsi alle situazioni. L’individuo deve mettersi nella disponibilità di essere accettato dagli altri. Questo é per l’appunto il "gioco delle relazioni", l’unico in grado di garantire il contatto tra individui. Il "sé" mutevole, e non l’"io" rigido impositivo, consente all’individuo di mettersi alla prova e capire gli altri.

sabato 1 ottobre 2005

Il cambiamento quali sentimenti provoca?

  • I cambiamenti sono solo nel verso del "più", nel verso del migliorarsi o c'è anche la strada opposta, quella ti fa cambiare verso il peggio, verso la depressione? ( clicca qui)
  • C'è chi desidera cambiare e non ci riesce (clicca qui).
  • Un'altro sentimento che provoca il cambiamento è la paura (clicca qui) (e anche qui)
  • Un'altra domanda: ma bisogna per forza cambiare? Non è che dietro a quest'idea si nasconde la voglia di fuggire da se stessi?

Naturalmente ho solo la mia esperienza.

Sì, si può anche cambiare in peggio, ma il cambiamento di cui parlo io ha una premessa. C'è stata una caduta, c'è una presa di coscienza del proprio stato, poi la consapevolezza di potercela fare, appunto di poter cambiare. Ma a questo punto non c'è una restaurazione del passato, si è per così dire, nuovi, e si acquisisce la segreta complicità di vedersi in continua trasformazione.

Non c'è fuga perchè è un viaggio verso le verità interne. Non c'è bisogno di cambiare tutto o tutti, non si cambiano i valori se sono radicati nel proprio essere!

Il cambiamento non è superficiale, non coivolge solo la volontà, altrimenti è solo un fatto culturale o una moda o uno sforzo, o un perfezionismo. E' l'opposto del cambiamento di cui io parlo.

Il cambiamento fa paura! Vero! Verissimo! Ci vuole coraggio, lo stesso coraggio di un bambino che non sa ancora camminare e nonostante questo slancia un piede in avanti e perde l'equilibrio e poi lo ritrova e poi lo perde e per tutta la vita ogni passo sarà così: perdere e ritrovare un equilibrio.

giovedì 29 settembre 2005

Algida

Algida
Sillabazione/Fonetica : [àl-gi-da]
Etimologia: Dal lat. algi°du(m), deriv. di algìre 'avere freddo, essere freddo.

Definizione:
agg. 1 (lett.) freddo, gelato 2 (med.) si dice di stato patologico che comporta forte abbassamento della temperatura superficiale (p. e. nel colera, nel tifo).


Una donna algida si avvicina, è bella con i capelli fluenti, è giovane con la pelle incredibilmente liscia.
Sta seduta in una posizione di tre quarti rispetto a me, le sue braccia sono vicine alle mie.

Improvvisamente un gesto; compaiono fra le sue mani un paio di manette e con un rapido movimento le fa scattare sui miei polsi.
...Ha provato a farle scattare sui miei polsi, qualcosa non ha funzionato, le catene sono rimaste in mano sua, il suo gioco è stato scoperto ed io sono ancora libero.

Il controllore controllato

Il meccanismo per il controllo è pienamente dispiegato. Gli agenti segreti sono sguinzagliati, le spie scelte sono infiltrate, gli strumenti per la raccolta dei dati ambientali, le cimici e le microtelecamere, sono state piazzate con cura.
Dalla sua sala di regia il "controllore" è soddisfatto, gli sembra che la trappola sia pronta, osserva compiaciuto le pareti piene di monitor e di strumentazione. Lui è comodamente seduto nella sedia girevole e da lì sarà in grado di mantenere il suo potere.

In un altro punto della città, in un'altra stanza, la donna parla con il suo amico; il suo tono è rilassato e decisamente ironico e rivolgendosi al presunto controllore come se fosse lì vicino e potesse ascoltarla, dice: "In realtà siamo noi che controlliamo te. Finchè te ne stai lì in quel bunker a guardare i tuoi monitor, siamo noi che sappiamo dove sei e cosa fai, noi abbiamo ingannato te e non viceversa, ti abbiamo confinato in uno spazio chiuso, lì rimarrai con le tue inutili sofisticate apparecchiature".

(sogno)

L'eredità disputata

(sogno)

Un uomo molto ricco è morto. Sono veramente molti quelli che vorrebbero prendere possesso della sua eredità. Ci sono dispute, discussioni legali, ricerche di prove, pile di documenti che passano di mano in mano.
Fra quei fascicoli c'è il pezzo di carta giusto, quello che farebbe diventare milionario il suo possessore, se solo sapesse di averlo davanti agli occhi, ma non è facile riconoscerlo, la fortuna passa di mano in mano, da ufficio ad ufficio senza essere riconosciuta.
Ma la ricerca continua tra sospetti e diffidenze che trasformano gli eventi in una caccia, fra inseguimenti per le strade e le piazze del borgo, irruzioni in appartamenti arrampicati sui tetti e pedinamenti.

Uno di questi uomini, improvvisamente si ferma al centro della piccola piazza circondata da antiche case ristrutturate con tenui colori e ornate da balconi fioriti.
Si ferma e improvvisamente una grande rivelazione lo illumina, più che altro una grande consapevolezza: c'è l'amore della sua vita e sa chi è; contemporaneamente mettendo insieme tutte le informazioni raccolte fino a quel momento, capisce che l'eredità che sta cercando non ammonta a due milioni, ma una cifra ancora più astronomica, una cifra che potrebbe totalmente cambiare la vita: duemila milioni!

domenica 25 settembre 2005

Ogni giorno introdurre qualcosa di nuovo

Dovete continuare a crescere e a progredire. Ogni giorno dovete introdurre qualcosa di nuovo nella vostra vita. La vostra responsabilità principale è nei confronti di voi stessi. Se non la pensate così, non potete dare niente a nessuno. Potete dare soltanto ciò che avete. Se diventate vivi, se attraversate il mondo a passo di danza, facendo cose pazze, diventate affascinanti. È l'affinità che ci avvicina, ma è la novità che ci tiene insieme. Siate saggi, siate stimolanti, siate eccitanti, condividete idee nuove, crescete, progredite, evolvetevi. Non siate mai prevedibili!

By Leo Buscaglia

Secondo me occorre però una precisazione: il "dovete continuare a crescere..." non può essere un imperativo interno, altrimenti diventa perfezionismo e onnipontenza, che si trasforma in frustazione e ansia per poi lasciare depressione e sfiducia.
In altri parti del suo messaggio Buscaglia esalta il valore della CONSAPEVOLEZZA verso se stessi.
E' attraverso questo canale che ogni giorno si può introdurre qualcosa di nuovo nella propria vita.
Sapete a cosa penso?
Cambiare i biscotti con cui si fa colazione, una piccola deviazione nel percorso abituale per andare al lavoro, salire a piedi al terzo piano invece che aspettare l'ascensore, uscire a portare la spazzatura invece di delegare un figlio...

venerdì 23 settembre 2005

Un piano che salta

Ecco una prospettiva di cambiamento non prevista!
Un collega sul quale hai puntato, che hai cercato di motivare in vista dei progetti futuri, rifiuta l'aumento (!) perchè non gli sembra adeguato, decide di mettersi in contrasto con l'azienda, si capisce che vuole trovare il modo per farsi dimettere ricavandone il massimo risultato.

I tuoi piani saltano; occore tamponare la situazione, impedire che si crei un buco che impedisca al sistema di funzionare o di paralizzarsi, trovare una nuova strategia, cercare un possibile sostituto. La paura di fare una brutta figura e di essere ritenuto responsabile della piega che prendono gli avvenimenti, si affaccia...

Appunto, non tutti i cambiamenti sono voluti o amati.
L'importante è che scatti il meccanismo di adattamento, il vecchio status non c'è più e rimpiangerlo porta solo frustrazione, il nuovo non c'è ancora e ancora bisogna elaborarlo; si sta nel mezzo del guado, bisogna lasciare spazio alla creatività interna...

Nella tecnologia informatica ci sono delle tecniche di ridondanza per salvaguardare la continuità di funzionamento dei sistemi e per la salvaguardia delle informazioni contenute.
Per quanto riguarda gli hard disk, per esempio, si utilizza il RAID.
Ogni disco contiene, per così dire, un pezzetto di informazione già memorizzato negli altri; si fa in modo che se uno o più dispositivi si rompino, gli altri siano in grado di ricostruire, tutti insieme, il contenuto originale.
Se questo fosse possibile per gli uomini, sarebbe MATRIX.
Non è così non siamo intercambiabili, allora bisogna saper navigare anche nei mari dell'incertezza, del temporaneo, del divenire, nel non ancora pronto.
Ce la posso fare.

sabato 17 settembre 2005

Autosservazione

un brano di Anthony de Mello

"Qual è la cosa più importante in assoluto? Si chiama autosservazione. [...] Non significa essere assorti nei propri problemi, essere preoccupati di sé. Non è di questo che sto parlando: parlo dell'autosservazione. E cosa sarebbe? Significa osservare tutto ciò che è all'interno di noi stessi e intorno a noi, fino al punto più estremo, e osservarlo come se accadesse a qualcun altro.Cosa significa quest'ultima frase? Significa che non si personalizza quel che ci accade. Significa guardare alle cose come se non si avesse alcun legame con esse. Il motivo per cui soffrite a causa della vostra depressione e delle vostre ansie è che vi identificate con esse. Dite: «Sono depresso». Ma ciò è falso. Voi non siete depressi. Se voleste essere precisi, potreste dire: «In questo momento sto attraversando una fase di depressione». Non è invece corretto dire: «Sono depresso». Voi non siete la vostra depressione. Non si tratta che di una sorta di inganno della mente, uno strano tipo di illusione. Siete stati indotti a pensare - pur non essendone consci - che siete voi la vostra depressione, che siete voi le vostre ansie, che siete voi la vostra gioia e le emozioni che provate. «Sono contento!». Di certo non siete contenti. Può darsi che la contentezza sia dentro di voi in questo momento, ma aspettate un po', e le cose cambieranno; non durerà: non dura mai; le cose cambiano di continuo, cambiano sempre. Le nubi vanno e vengono: alcune sono nere e altre bianche, alcune grandi, altre piccole. Se vogliamo seguire l'analogia, voi sareste il cielo, intento a osservare le nubi. Sareste osservatori passivi, distaccati. So che questo atteggiamento può essere per voi assurdo, soprattutto nella cultura occidentale. Non interferite. Non dovete farlo. Non «fissate» nulla. Guardate! Osservate! Il problema della gente è che si affanna a fissare cose che non riesce nemmeno a capire. Siamo sempre lì a fissare delle cose, non è vero? Non ci viene mai in mente che le cose non hanno bisogno di essere fissate, assolutamente. Questa è una grande illuminazione. Le cose devono essere capite: se le si capissero, cambierebbero".

Rileggere De Mello è sempre una grande emozione, il suo insistere sulla Consapevolezza attraverso la quale arriva, il Cambiamento: un cambiamento non costretto, non violentemente voluto, non passeggero, non lacerante, ma graduale, libero da tensioni e soprattutto profondo, anzi profondamente concordato con se stessi.

giovedì 15 settembre 2005

Separazione

In questo periodo quando penso alla "separazione" mi vengono in mente due tipi di distacchi, per così dire, sani.

Il primo distacco sano è quello dei figli: ecco mi immagino Marianna che ad un certo punto si staccherà dalla famiglia di origine, andrà in una sua casa, formerà il suo nuovo nucleo familiare.
[Veramente, quello con i figli è un distacco che è cominciato poco dopo la loro nascita (e non sono la mamma!)].
E', secondo me, un distacco sano; se i genitori hanno maturato il loro amore perchè sia fecondo non possessivo e se i figli hanno perdonato o sono sulla strada per perdonare i loro genitori.
Ma non è un distacco definitivo; mi immagino ancora Marianna che una volta alla settimana, o in qualche festa e comunque ogni volta che lo desidera, torna, per un po', alla sua vecchia famiglia, che comunque non smetterà di accoglierla, e lì potrà consumare un pasto senza indaffararsi in cucina, o potrà contare su un'ora di ricordi con i fratelli, o misurare attraverso oggetti e spazi familiari i confini della bambina che è ancora in lei e così via.
Il secondo distacco sano è la morte dei propri genitori. Purtroppo qui non si torna indietro, non c'è più un pasto caldo, o una spalla pronta a prescindere.
Ma è un distacco sano se il figlio ha perdonato i suoi genitori (vedi "Figli per sempre") e lo è ancora di più se il genitore ha potuto o saputo preparare i figli a questo distacco.
Idealmente, ma tanto idealmente, penso ad una mamma, nel letto di casa, che chiama i figli e comunica gli ultimi segreti con quali saranno pronti a completare il loro futuro.
"E' l'ultima volta che ci vediamo, ma state sereni, è certo che ce la farete, io rimango in voi per sempre".
Poco spesso le cose vanno così, ma anche in questo caso, c'è spazio e tempo per ricostruire dentro di sè, prima o dopo, questo ideale dialogo. Renderlo vero anche se il papà e la mamma non ci sono più.

Il mio nome

Anche dietro il mio nome, c'è una storia.
Al battesimo e all'anagrafe, risulto essere Vincenzo Ferdinando.

Sul primo nome non poteva essere diversamente, Vincenzo è il nonno paterno, il papà di Toledo. La mia famiglia d'origine non poteva certo sottrarsi alle precise leggi della tradizione siciliana.
Ferdinando non è il nome del papà materno (che era Emanuele) ma del bisnonno da parte dei Trichini.
Il secondo nome si è subito arenato nelle pagine delle anagrafi e non è mai uscito da lì, non ha storia.
Per quanto riguarda Vincenzo invece interviene il carattere della mamma Salvina che mal sopportava i diminutivi del dialetto siciliano che producevano storpiature dei nomi veramente dissonanti.
E allora devo aprire un'altra parentesi: il vero nome della mamma era Salvatrice, che in siciliano diventa Turidda o Turuzza (Salvatricina o Salvatricella!). Effettivamente sa di chiuso e gretto, inapplicabile alla vitalità e alla esuberanza di quella ragazza che poi sarebbe diventata la mia mamma. Così come tante altre coetanee decise di farsi chiamare Salvina.

Putroppo per lei il problema le si ripresentò quando nacqui io. Vincenzo diventa automaticamente Vincenzuzzo. Mi immagino l'orrore della Salvina!
Allora nacque il compromesso di casa Trichini. Ufficialmente, Vincenzo, nome reale utilizzato tassativamente e senza deroghe: Enzo.
Enzo, per tantissimi anni mi sono conosciuto solo con questo nome.
Anche l'impatto con la scuola non cambiò la situazione; Vincenzo era un'appendice alla quale non prestavo attenzione, anche perchè ero impegnato anno per anno e persona per persona (lo sono ancora) a correggere e specificare che mi chiamo Trìchini e non Trichìni.
C'è da stare certi che se qualcuno avesse chiamato Vincenzo Trichìni, non avrei neanche alzato la testa...

Sono arrivato all'età adulta con lo stesso assetto, spingendo tutti gli amici a chiamarmi Enzo e relegando Vincenzo solo alle occasioni ufficiali e alla "business card".

Ma il cambiamento è sempre dietro l'angolo e ad un certo punto, si fa strada l'idea che le condizioni non sono più quelle del 1953, che nessuno potrà storpiare in Vincenzuzzo il mio nome, che Vincenzo non è affatto male. Pensa, Vincenzo di Vittoria, il Vincente di Vittoria. Vincente di non so che, ma tant'è suona bene.
Anche qualche conoscenza lavorativa di persone di lingua inglese ha contribuito alla riabilitazione: Vìn-gèn-zoù. Ridicolo ma intrigante.

Oggi sono in grado di gestire il doppio nome, chiamatemi Enzo o Vincenzo mi girerò ad ascoltarvi.
Se poi qualcuno in vena di affetto mi chiama Enzino, gongolo, un po' di nascosto.

Tradizionalista o Progressista

Non voglio parlare di politica!
In passato, ho sempre pensato a me stesso come a una persona tradizionalista, un po' perchè così si viene catalogati quando si crede in valori come la famiglia o la fede, ma soprattutto perchè consideravo la mia necessità di avere punti di riferimento costanti.
Parlo di piccole cose che fanno la vita quotidiana: comprare il giornale nella stessa edicola, alzarsi eseguendo gli stessi gesti, affezionarsi ad una trasmissione radiofonica, scaldare l'acqua del the nello stesso pentolino, e così via.
Poi ho dovuto rivedere questa mia autovalutazione, non fosse altro per il numero di abitazioni cambiate, per il numero di aziende in cui ho lavorato, per aver messo alle spalle una esperienza spirituale troppo aggressiva, per aver saputo buttare uno, due, tanti occhi sul risvolto interno della mia testolina. Quindi parlo di grossi cambiamenti, mica di bruscolini!
Di fronte a nuove forti motivazioni ho sempre trovato lo stimolo per affrontare le discontinuità.
E' un tema che mi è caro perchè mi riporta a quello delle separazioni, argomento sul quale sono ricco di bagaglio...
Insomma tra le mie qualità in un autocurriculum aggiungerei: capacità di gestire il cambiamento, capacità di adattarsi alle nuove situazioni che si presentano.
Ho una mia teoria sul perchè: forse che dentro di me non continua a vivere "Enzo mangialegnate"?
Chi è "Enzo mangialegnate"?
Io personalmente, non lo ricordo, ma è il soprannome con cui mi chiamava la mamma quando ancora abitavamo in Sicilia (fino a quattro anni).
Dicono che fosse un terremoto unico, con campionari di topi morti portati per la coda in casa, incendio di fascine, ferite con attrezzi pericolosissimi.
Amici vicini e lontani, sappiate che dietro quella persona spesso così disponibile, abitudinaria, qualche volta pignola e tanto a buon modo, c'è "Enzo MangiaLegnate".
Ogni cambiamento è possibile (almeno fino a 98 anni).

venerdì 9 settembre 2005

Robot

Nel laboratorio tutto è pronto per il collaudo dell'ultima generazione di robot.
Si distinguono dalle precedenti serie per la loro dimensione ridotta e la loro versatilità. Ma la vera novità è la messa a punto degli algoritmi che permetteranno loro di modificare il comportamento adattandosi alle mutevoli condizioni esterne.
Qualcuno dubita, qualcuno ha paura perchè intuisce il pericolo.



Sono passati pochi istanti dall'accensione e già tutti i dubbi sono svaniti, è vero sanno cambiare la loro forma, anzi sanno evolvere con grande, troppa rapidità.
Sono piccoli ma il loro atteggiamento è inequivocabile: sono ostili.
"Spegni tutto" grida qualcuno,
"Taglia i contatti" conferma un altro scienziato.
C'è una esitazione di troppo, un moto di curiosità che fa ritardare di pochi secondi ancora l'operazione di disattivazione.
Poi un silenzio denso di paura, forse di sollievo, un breve sollievo perchè le macchine si rimettono in moto autonomamente; in quei pochi attimi avevano già elaborato una strategia di adattamento e ora ricominciano a muoversi, crescono in numero e dimensione, evolvono.
Sono diventate piccole macchine volanti che qualcuno potrebbe scambiare per modellini di aereo. Volano, volano intorno agli scienziati, si preparano ad una nuova mossa.

Qualcuno riesce a catturarne uno a imprigionarlo nelle sue mani. Per farne cosa? Non c'è tempo, il robot sta già mutando, ha preso atto della nuova situazione e sviluppa nuove articolazioni, nuove armi di offesa.

Panico: situazione fuori controllo.

Per la loro distruzione occorrerà l'intervento delle astronavi, ci sarà un duro prezzo da pagare.

giovedì 8 settembre 2005

Il viale del tramonto


L’uomo passeggia lungo un viale del grande giardino all’italiana, in lontananza si intravvedono le forme del lago e la lunga catena dei monti che raccolgono le sue acque; le foglie delle piante ornamentali hanno già il colore caldo dell’autunno e nella voce dell’uomo c’è una forte venatura di tristezza.
Accanto a lui una donna ascolta il suo lamento.
Lui sta raccontando quanto sia difficile separarsi da lei, ma è una nenia che non finisce più.
Allora lei rompe gli indugi: non è più il tempo di trascinare così a lungo questa situazione, questo sarà l’ultimo loro incontro.
L’uomo non si aspettava questa svolta; in un attimo una forte emozione attraversa il tutto suo corpo, come un brivido capace di risvegliare dal torpore che aveva lasciato l’estate.
Segue un breve ma intenso silenzio; quello che parla pochi secondi dopo è un uomo che ha cambiato tonalità nella voce e nell'aspetto, l’autunno improvvisamente sembra fare meno paura.
Ora l'uomo sembra più disponibile ad ascoltare e la donna può raccontagli qualcosa che riguarda il giardino in cui continuano a passeggiare. Le siepi opportunamente tagliate e sagomate compongono delle parole che rimangono scolpite: sono i messaggi lasciati da tutti quei musicisti che, al termine della loro carriera, sono approdati in questo luogo dorato.
Sono parole piene di poesia e di tenue felicità.

(sogno)

La vecchina

La vecchina viveva ai margini del bosco in un radura circondata da alti alberi e radici invadenti, il suo nome era Marisa, la sua casa era una baracca di legno oramai malandata e cadente. Con lei non c’era nessuno, era completamente sola, malata e senza più niente.
Purtroppo è stata trovata senza vita.

Mi sono svegliato con la certezza che la vecchina del sogno fosse Marianna. Il tempo della sua completa autonomia si avvicina…e il papà ha paura di perderla.

(sogno)

martedì 30 agosto 2005

Fichi, cioccolata e melanzane (2)

Qualcuno mi ha chiesto di commentare queste ermetiche righe.
Sono parte di un sogno, come tante delle pagine di questo blog. Perchè niente meglio del sogno è capace di svelare l'anima che è dentro di te, e il sogno è capace di ignorare quello strato di cultura e struttura che si stratificano nei pensieri razionali.

Fichi, cioccolata e melanzane: un mix di cibi che adoro mangiare, ricordano la Sicilia, le mie origini, ma in questo sogno l'ambientazione è una riviera dai nomi esotici: Uruguay, Argentina, Venezuela.
Purtroppo nel sogno non risco a mangiare il cibo che mi piace, perchè altrimenti, mi verrebbe mal di pancia.
Non è certo un caso che in quei giorni ho avuto problemi al lavoro con le agenzie del Sud America (le riviere) e che la fastidiosa "ernia iatale" mi ha distrurbato e inquietato...

Che cosa ti aspetti da me?

L’amore non è un sentimento a consumo, non si esaurisce mai, ne abbiamo riserve infinite. La vera difficoltà sta nello scoprirle, nell’oltrepassare il confine profondo tracciato dall’individualismo, dall’indifferenza, dall’egoismo, dal narcisismo, dalla paura, dall’attaccamento alle cose, dall’orgoglio, dall’odio, dalla vita stessa.
...
Non aver paura ad ammettere il tuo bisogno di ricevere tenerezza, e di darne, non aver paura a dirmi che mi ami.
...
Mi spiegò per esempio che il segreto della piena realizzazione è riuscire a comunicare agli altri ciò che si è attraverso quel che si fa, ma che per essere veramente equilibrati e sereni è indispensabile che ciò che si fa sia realmente quello che si vuole e non quello che vogliono gli altri.
Fin da bambini chi più chi meno ci modelliamo secondo l’immagine che gli altri, prima di tutto i genitori, ma anche gli insegnanti, gli amici, i nostri compagni di vita, e perfino i nostri colleghi di lavoro, hanno di noi o che vorrebbero avere. E molti crescono, si formano, si trasformano addirittura, per corrispondere a quell’immagine. Certe volte non se ne accorgono neppure perché è così radicato nella loro personalità questo bisogno continuo di essere all’altezza di un’idea che finisce di diventare l’idea stessa che hanno di loro.
Mi raccomando liberati da questo, perché verrà il giorno in cui ti accorgerai che comunque ti sia andata la strada che hai fatto è stata più interessante di quella che ti aspetta , che i ricordi hanno preso il posto dei progetti e che la tua vita non potrà più cambiare, se non in minima parte.Ecco quel giorno non dovrai avere rimpianti, dovrai consolarti con la consapevolezza che le scelte che hai fatto sono state le tue e non quelle che ti sei trovato a fare per pigrizia o peggio ancora per compiacere qualcuno.

da "Cosa ti aspetti da me?" di Lorenzo Licalzi

Cito questo brano, da un libro di Liscalzi perchè in questa storia di un anziano scenziato, ritrovo motivazioni e forza che consentono di non fermare mai la speranza di poter cambiare. Mi ritrovo in questa necessità di modellare me stesso secondo l'immagine voluta dai miei genitori, e trovarsi poi schiavi della necessità di essere all'altezza. Il percorso per risalire alle radici di se stessi sembra coincidere con quello della scoperta dell'amore.

giovedì 18 agosto 2005

Fichi, cioccolata e melanzane

(Sogno)

Questo negozio sembra quasi un banchetto della fiera: offre fichi e cioccolata, sembrano deliziosi, e in più sono conditi con dadini di melanzana; l'odore che sprigionano è davvero invitante; la commessa sembra un'esperta cuoca, lo si capisce dal tocco delle sue mani e dalle parole che sceglie per descrivere il gusto.
Per me è un richiamo irresistibile.
Peccato che non posso mangiarli, mi farebbero male, il sacchetto con le leccornie finisce tutto in una borsa.

Un campo di bocce

Ci sono tanti modi per onorare il ricordo dei propri cari. Spesso sono seriosi o intellettuosi.
L'idea di Pietro è tanto giocosa quanto tenera e profonda: ripristinare l'antico campo di bocce accanto alla casa di campagna di Montezemolo (al confine tra la provincia di Savona e Cuneo). L'idea è piaciuta se quasi ogni sera tanti amici si alternano e si auto-invitano per poter accostare e bocciare, contestare un punto e applaudire (a denti stretti) un colpo dell'avversario.
Beh, si capisce che anch'io ci ho provato, e nonostante il competente e consistente apporto di punti di Mariateresa, ho perso...
Una piccola piastrella ricorda il nome del papà Antonio che quel campo l'aveva ideato e che ora è tornato alla sua funzione di semplice e spontanea aggregazione fra anime.

§§

Questo bisogno di aver sempre presenti le proprie radici mi ricorda che sei anni fa quando traslocammo nella casa che ancora abito, ci fu da decidere come arredare l'ingresso.
Ebbene il nome che abbiamo dato a quel piccolo vano è, un po' pomposamente: "la stanza degli avi". Per entrare in casa Trichini bisogna attraversare il ricordo delle persone che ci hanno generato e che danno storia alla nostra vita.
A destra la macchina da cucire di Angela ricorda che anche nonna Salvina era sarta e subito sopra le foto in cornice di radica, dei nonni Trichini con il piccolo Toledo, più in là ancora un ricordo di Toledo: il flicorno e il berretto della banda musicale. Di fronte, la pendola di nonno Luigi Giacopinelli, e ancora l'armadio della bisnonna Teresa.
E infine per completare il viaggio, una cornice che racchiude vecchie foto dell'infanzia mia e di MariaTeresa.

Poi il viaggio, istantaneo, inconsapevole ma reale, finisce; ognuno può saldamente prendere il controllo della propria personalità.

mercoledì 17 agosto 2005

Senza barba

Dopo nove anni ho tagliato la barba! Farla crescere era stato un avvenimento niente affatto banale. MariaTeresa mi spronava a provare da vari anni, ma io solo all'idea, avvertivo un senso di disagio, probabilmente perchè mi sembrava di trasgredire agli ordini dei miei genitori, che, quando ero adolescete, erano contrari. Quando mi sono deciso a provare è stata una piccola conquista, un segno che stava cambiando qualcosa dentro di me, che volevo diventare pienamente adulto ed autonomo (avevo 43 anni!).
In nove anni quella barba nera è diventata sempre più brizzolata accompagnando una trasformazione che intanto procedeva dentro di me.
Qualche settimana fa ho "sentito" che era il momento di tagliarla e questo è il mio nuovo aspetto.


Me medesimo senza barba Posted by Picasa

Pomeriggio di Ferragosto: un grazie a questi genitori d'Aosta.

Pomeriggio di Ferragosto, seduto in una sdraio nel prato di Torrazza con MariaTeresa : cosa c'è di meglio, mentre mezza Italia sgomita nelle autostrade, che godere del silenzio, del verde del frutteto, di una brezza inaspettata e della compagnia degli amici Daniela e Claudio.
E così che nascono discorsi che non ti aspetti e non avevi programmato.
C'è spazio per raccontarsi della morte delle persone che si sono amate, di quelle che si vorrebbe aver amato di più, dell'abbandono ma anche a volte della serenità che ti lasciano dentro.
C'è spazio per meditare sulla rigidità mentale di alcune persone che non sanno guardare al di là delle delle regole e dei principi morali scordando che che il nostro primo compito non è giudicare ma amare.
C'è spazio per sperare che certi gesti semplici e veramente controcorrente diventino parte del nostro patrimonio di cristiani.

Come questo che Claudio mi ha segnalato tratto da:
l’editoriale di Giuseppe Frangi
(“VITA” – n° 12 - 26 agosto 2005)


Un grazie a questi genitori di Aosta

Con una notizia così certamente ci avremmo aperto un telegiornale.
Questi i fatti. È martedì 2agosto. Tre ragazzi valdostani, tre amici, stanno scendendo verso il mare per godersi una vacanza post maturità. Sono più o meno le 11, la loro auto s’è lasciata alle spalle il casello di Masone e si dirige verso Genova Voltri. D’improvviso un camion carico di carta, che viaggia senza più controllo, dopo aver divelto un centinaio di metri del viadotto piomba addosso alla loro auto e la scaraventa disotto. Sono 70 metri di volo che non lasciano scampo. Il bilancio finale è tragico morti Delio Denzel, 20 anni, Luca Miozzi, 19 anni e Michele Vai, 19 anni pure lui. E morto, dissanguato tra le lamiere del suo mezzo, anche Bamba Kebe Mamadou, senegalese, 47 anni, autista del camion che ha causato il disastro. Ma questa tragedia delle strade estive ha un epilogo imprevisto e umanamente sorprendente. I genitori dei tre ragazzi, al funerale, propongono una colletta. Hanno saputo che l’autista senegalese al paese aveva moglie e sei figli e vogliono in qualche modo aiutarli. Alla fine della messa contano 4.840 euro. Dice Roberto Miozzi, padre di Luca: “È stato un gesto di solidarietà, per non aggiungere dolore a dolore. Lui era qui per guadagnare la vita per sé e per i propri figli”. La esemplarità dei fatti parla da sé: non ci sono commenti da fare. Semmai c’è da ringraziare che persone con un cuore così e capaci di simili gesti gratuiti esistano. (Confrontare alla semplicità di quel gesto, cme sembrano vuote, inutili, supponenti le montagne di parole che si sono sprecate sull’emergenza immigrazione, sul pericolo islamico, sulla guerra di civiltà).
Certo, ci sarebbero altri ragionamenti da fare. Che riguardano lo stile di un’informazione patologica, incapace di cogliere i segnali di positività che la realtà trasmette ogni momento. Che riguardano quest’Italia, impantanata nelle polemiche estive dei nuovi e vecchi pirati della finanza e incapace di chinarsi sulla realtà della vita di tutti i giorni. E che riguardano anche la Chiesa. I tre ragazzi valdostani erano cattolici e profondamente cattolico è il gesto con cui i loro genitori hanno voluto ricordarli. Ma la Chiesa di oggi è capace di valorizzare comportamenti come questi? Sa ripartire dall’umano? Sa educare all’apertura verso l’altro, al rispetto nei suoi confronti, alla commozione verso il suo destino? Francamente vediamo prevalere più affanno di schieramento, più preoccupazione di fissare regole, più ambizione di conquistare un’egemonia intellettuale.....

venerdì 12 agosto 2005

Figli per sempre

19 Luglio 2005, Marianna e Dario hanno acquistato la loro casa.


Figli per sempre
Ivana Castoldi - Feltrinelli

Prefazione

Dario, sessantadue anni, sposato con figli, arriva in terapia con una strana, ma solo apparentemente strana, richiesta: “Dottoressa, mi aiuti a dialogare con mio padre... non ci sono mai riuscito”. Il padre, novantenne, era morto sei mesi prima.Dario non sapeva darsi pace. Era caduto in uno stato di profonda depressione e si tormentava al pensiero di aver ormai definitivamente perso l’occasione per dire a suo padre quello che da più di quarant’anni gli pesava sul cuore.È possibile tacere a un genitore, per così lungo tempo, pensieri e timori, sentimenti e risentimenti personali, pur desiderando aprirgli il cuore e farlo partecipe del nostro mondo interiore? Quali paure, quali rancori, quale pudore ci trattengono, a mano a mano che cresciamo in età e in consapevolezza, dal mostrare ai nostri genitori le tracce e i postumi della nostra esperienza di figli? A volte, questi esiti somigliano a profondi solchi incisi nella carne come ferite che faticano a rimarginarsi; altre volte, all’impronta di una carezza che ci fa palpitare il cuore di amore e riconoscenza. Non è solo il dolore a far morire le parole sulle labbra, a farci chiudere nell’isolamento; spesso, a inibirci è la nostra incapacità a parlare d’amore e di gratitudine.Con i genitori rimane sempre qualche conto in sospeso: molti segreti non si sveleranno mai; alcuni nodi non si scioglieranno mai e ci peseranno sul cuore per tutta la vita. In effetti, anche se diventando adulti prenderemo fisicamente o simbolicamente congedo dai nostri genitori per conquistare la nostra autonomia, rimarremo dei figli per tutta la vita. Anche quando resteremo orfani; anche quando, a nostra volta, diventeremo genitori.Questo legame viscerale tra genitori e figli è l’unico davvero inscindibile, nonostante tentiamo spesso di negarlo, di reciderlo, di dimenticarlo. Nella nostra esperienza di adulti non c’è “amore eterno” che tenga, al confronto. Il nostro destino di figli è la nostra fortuna e, insieme, la nostra condanna: una fortuna, se avremo potuto godere del calore affettivo e della comprensione dei nostri genitori; una condanna, se il loro atteggiamento insensibile e intransigente ci avrà tarpato le ali.Alcuni momenti particolarmente significativi (momenti di passaggio e di cambiamento per i figli come l’ingresso nei diversi ordini scolastici, l’inizio dell’attività lavorativa, il trasferimento in una casa propria, il matrimonio...) dovrebbero rappresentare altrettante occasioni di rafforzamento del dialogo con i genitori, anziché di conflitto e di incomprensione. È soprattutto l’abbandono della casa paterna, che andrebbe ritualizzato come un traguardo propizio di autonomia acquisita e di definitivo ingresso nel mondo adulto, a trasformarsi spesso in un evento carico di tensioni e diatribe.Quando ci chiudiamo la porta della casa paterna alle spalle per andare incontro al nostro destino di individui emancipati e responsabili, dovremmo poterci avviare con passo leggero, liberi dal peso dei sensi di colpa e delle recriminazioni. Dovremmo potercene andare non per reazione, esasperati dal deludente corso del rapporto con i nostri genitori, ma per un naturale bisogno di espansione e di potenziamento delle nostre risorse.Quanti figli come Dario rimpiangono di non aver avuto un dialogo costruttivo con i loro genitori? Quanti sono diventati degli adulti insicuri, profondamente segnati dalla sfiducia, persuasi del loro scarso valore e incapaci di mettere a frutto le loro doti personali?Altri invece, più fortunati, sostenuti dalla guida sollecita e dall’incoraggiamento di genitori più competenti nel loro ruolo educativo e affettivo, sono riusciti a conseguire una buona consapevolezza delle loro aspirazioni e dei mezzi per realizzarle. Anche questi figli, tuttavia, al momento di lasciare la famiglia, possono sentire il bisogno di ripristinare un dialogo che il pudore dei sentimenti, e delle parole, ha spesso penalizzato. Non c’è solo il silenzio delle ostilità, ma anche quello dell’inibizione, che deriva da un carente apprendimento del linguaggio analogico dell’affettività: quello dei sentimenti e degli slanci del cuore. La comunicazione genitori-figli ha sempre sofferto di un’afasia che riguarda non tanto la parola, quanto le emozioni che l’accompagnano.Pertanto, i figli in procinto di separarsi dalla famiglia d’origine avvertono quasi sempre l’esigenza di effettuare un bilancio del loro rapporto con i genitori, facendo una verifica della loro esperienza di figli.Tutti gli individui fanno il loro ingresso nell’età adulta con un variegato bagaglio di fallimenti e conquiste, di delusioni e speranze, che segnerà inevitabilmente la loro vita futura. Non sempre si ritrovano debitamente equipaggiati per farsene carico in maniera vantaggiosa. Sono ancora troppo invischiati in nodi da sciogliere, in danni da riparare, in dilemmi da chiarire.Rancori e dubbi a lungo covati, domande e bisogni inevasi alimentano legami di dipendenza difficili da risolvere. Per farlo, occorrerebbe finalmente poter stabilire un dialogo aperto, che non tema la crudeltà delle parole e l’inclemenza dei giudizi. Occorrerebbe accettare, in alcuni casi, il rischio di perdersi di vista, almeno temporaneamente, recidendo un vincolo che, in realtà, di affettivo ha conservato ben poco. È possibile ritrovarsi, comunque, magari a distanza di tempo, dopo che il dolore del distacco e la dissolvenza della memoria hanno affinato la nostra comprensione degli eventi, hanno smorzato i risentimenti e risvegliato gli affetti. Molte storie di genitori e figli lo testimoniano.Partendo da queste considerazioni ho voluto raccogliere, attraverso le interviste fatte nel corso di sedute psicoterapiche o di semplici colloqui, le parole di alcuni giovani adulti, che ho riportato nella forma di confessioni-rivelazioni ai genitori. Il materiale è autentico: io l’ho semplicemente ordinato e rielaborato, dandogli una veste un po’ più “letteraria”. Ne deriva un’uniformità di stile di scrittura e di espressione che rende irriconoscibili le “voci” dei singoli personaggi, i quali hanno diritto a un rigoroso anonimato.Credo possa essere utile anche per gli adulti, attraverso le testimonianze proposte, accostarsi all’esperienza di alcuni figli che, malgrado o grazie ai loro genitori, hanno raggiunto una buona consapevolezza di sé e hanno già intravisto la possibile soluzione dei loro problemi. Spero che qualche eco possa valicare i confini dei singoli casi per focalizzare l’attenzione del lettore sulle difficoltà dalle quali nessun rapporto tra genitori e figli è esente. Mi auguro che lo sforzo di raccontarsi e le esperienze di vita dei protagonisti delle diverse storie possano servire da incoraggiamento per altri figli cresciuti, i quali, già con la mano sulla maniglia della porta di casa nell’atto di andarsene, ancora tentennano timorosi, chiedendosi se valga la pena cercare un chiarimento con i genitori per le molte questioni rimaste irrisolte. Questi figli rischiano di lasciarsi alle spalle una voragine di silenzio che non verrà mai più colmata. Il rimpianto può far male più del dolore procurato da un conflitto aperto.Il tema di fondo del libro è quello della conquista dell’autonomia, che ho già trattato al femminile e al maschile in precedenti pubblicazioni. Questa volta è riferito ai giovani che, in maniera molto spesso conflittuale, si trovano a vivere la delicata fase dello svincolo dalla famiglia d’origine.Il superamento della dipendenza dai genitori si configura, in ogni caso, come un processo impegnativo e sofferto, anche se non necessariamente traumatico. In effetti, il rapporto con i genitori non si rivela sempre fallimentare. In diversi casi (ma dovrebbe valere per tutti), rappresenta un fondamento prezioso e determinante agli effetti della maturazione e dell’equilibrio psicologico degli individui. Anche dei successi vale la pena parlare, perché il dialogo tra genitori e figli non si riduca sempre e soltanto a un doloroso e sterile elenco di accuse e recriminazioni.